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Rodolfo Bosi
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Home Approfondimenti

Accordo di Parigi: i Paesi del G7 ancora lontani. ma le imprese italiane sono più virtuose

07/09/2022
in Approfondimenti, Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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Un nuovo rapporto del CDP, un’ONG che gestisce il sistema mondiale di divulgazione ambientale per aziende, città, Stati e regioni, e della società di consulenza strategica Oliver Wyman,  mostra come «i progressi fatti dalle economie del G7 contro i cambiamenti climatici siano ancora insufficienti, tanto che i traguardi prefissati in vista della COP27 appaiono sempre più fuori portata.

Sulla base degli attuali obiettivi di riduzione delle emissioni delle imprese, nessun paese del G7 ha un settore della propria economia in grado di decarbonizzarsi abbastanza velocemente per raggiungere l’obiettivo degli 1,5° C; piuttosto, con i progressi fatti fino a oggi, il G7 in aggregato raggiungerebbe un innalzamento globale delle temperature di 2,7° C».

Laurent Babikian, global director capital markets di CDP, ha ricordato che «il fattore più importante per una rapida riduzione delle emissioni in linea con l’Accordo di Parigi è la definizione di obiettivi ambiziosi.

Non è accettabile per nessun Paese, tanto meno per le economie più avanzate del mondo, avere settori che mostrano ancora un’ambizione così scarsa.

Con queste informazioni, i governi, le autorità di regolamentazione, gli investitori e l’opinione pubblica devono chiedere di più alle imprese con un alto impatto ambientale che non hanno ancora fissato target climatici.

Sebbene la voce di questi player si stia alzando, dobbiamo fare in modo che la strada verso gli 1,5° C rimanga percorribile, in vista anche della COP27.

Le aziende con alti livelli di emissioni, i loro investitori e finanziatori devono immediatamente fissare e onorare i loro obiettivi attraverso piani di transizione credibili per permetterci di raggiungere questo traguardo».

Lo studio si basa sui CDP temperature ratings, degli strumenti scientifici che trasformano gli obiettivi delle imprese per la lotta ai cambiamenti climatici in un rating numerico.

In pratica, si mettono a sistema tutti i progressi sulle emissioni prodotte lungo l’intera value chain di un’azienda (Scope 1-3) e da questi si calcola il probabile innalzamento delle temperature che si otterrebbe se il ritmo del raggiungimento degli obiettivi non si modificasse.

Questi rating vengono poi aggregati e ponderati in base alle emissioni per definire il riscaldamento globale di un Paese.

Dal rapporto emerge che «le imprese italiane e tedesche sono quelle che hanno fatto i maggiori passi avanti, dato che le emissioni collettive porterebbero a un aumento del surriscaldamento globale di “appena” 2,2° C».

A seguire ci sono la Francia (2,3° C), il Regno Unito (2,6° C) e gli Usa (2,8° C), mentre le peggiori del G7 sono aziende canadesi con  + 3,1° C.

Un aspetto chiave evidenziato dal rapporto è «la chiara e consistente sovraperformance delle società europee rispetto a quelle nordamericane e asiatiche in tutti i settori.

Ad esempio, relativamente alla produzione di energia l’Europa registra un livello di surriscaldamento di 1,9° C, rispetto ai 2,1° C delle aziende nordamericane e ai 3° C di quelle asiatiche.

Non a caso, gli obiettivi del settore energetico prefissati in Europa sono molto più stringenti, con una politica di contenimento entro i 2° C (o anche più ambiziosa) che copre l’80% delle emissioni attuali.

Complessivamente, le imprese europee hanno registrato un progresso, passando da un incremento delle temperature di 2,7° C nel 2020 a 2,4° C nel 2022, dovuto in buona parte al grande incremento nel 2021 – pari all’85% – delle società con obiettivi di riduzione delle emissioni fondati su basi scientifiche (SBT)».

Gli alti rating di temperatura per Paesi come il Canada e gli Stati Uniti sono invece da imputarsi al tasso di aziende con obiettivi poco ambiziosi o addirittura senza alcun obiettivo in ambito climatico.

Lo dimostra il fatto che in Canada meno della metà (43%) di tutte le emissioni Scope 1 e 2 dichiarate sono sostenute da un obiettivo.

Per fare un confronto, in Francia e in Germania, questa percentuale è superiore al 90%.

James Davis, partner per i servizi finanziari di Oliver Wyman, conclude: «L’analisi mette in luce grandi differenze nell’ambizione e nella volontà delle aziende di combattere i cambiamenti climatici, e l’urgente necessità di diffondere le best practice in modo più ampio e rapido se vogliamo avere una possibilità di ridurre le emissioni per raggiungere gli 1,5°C – un obiettivo la cui importanza è stata sottolineata dai recenti fenomeni meteorologici estremi.

Una politica di sostegno da parte dei governi è fondamentale, così come la risoluzione di problemi strutturali presenti in alcuni settori e regioni.

Più il sistema finanziario si impegnerà per raggiungere il net zero, indirizzando capitali verso i pionieri dell’economia a basse emissioni di carbonio, e più l’attenzione sulle emissioni, sugli obiettivi e sui piani di transizione energetica sarà alta, sostenuta anche dal passaggio alla rendicontazione obbligatoria di dati ambientali in molte giurisdizioni chiave».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 6 settembre 2022 sul sito online “greenreport.it”)

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