In queste ultime settimane, dopo la strage di Cutro, il governo italiano di destra sta mostrando ancora la faccia dura verso i migranti ma non sta (e non può) mantenendo le promesse elettorali fatte quando chi governa oggi era all’opposizione, mentre migliaia di profughi, richiedenti asilo e migranti economici e ambientali continuano a sbarcare e mentre i ministri – tra un discorso truce sulla sostituzione etnica e l’altro – portano a 500mila il numero dei migranti “regolari” di cui l’Itala ha bisogno per far funzionare agricoltura, industria e sistema pensionistico e sanitario.
Se qualcuno volesse cercare una spiegazione di questa schizofrenica politica del “no ai migranti – avremo bisogno dei migranti” del governo Meloni, farebbe bene a leggersi il nuovo “World Development Report 2023: Migrants, Refugees, and Societies” della Banca mondiale che ci ricorda che «le popolazioni di tutto il mondo stanno invecchiando a un ritmo senza precedenti, rendendo molti Paesi sempre più dipendenti dalla migrazione per realizzare il loro potenziale di crescita a lungo termine».
Il rapporto identifica invece nel trend attuale «un’opportunità unica per far funzionare meglio la migrazione per le economie e le persone.
I Paesi ricchi, così come un numero crescente di Paesi a reddito medio, tradizionalmente tra le principali fonti di migranti, affrontano una diminuzione della popolazione, intensificando la competizione globale per lavoratori e talenti.
Nel frattempo, si prevede che la maggior parte dei Paesi a basso reddito vedrà una rapida crescita della popolazione, mettendoli sotto pressione per creare più posti di lavoro per i giovani».
E la vecchia Italia che non fa più bambini e dalla quale i giovani fuggono alla ricerca di un lavoro stabile e ben pagato, è un caso di studio.
A pagina 75,del rapporto si legge: «Le politiche per la natalità hanno avuto un impatto misto e relativamente limitato in tutti i paesi.
Poiché il declino demografico è già avanzato, è improbabile che si inverta presto, se non per niente.
L’Italia, ad esempio, conta attualmente circa 2,4 milioni di bambine sotto i 9 anni.
Ognuna di queste ragazze dovrebbe avere 3,3 figli, se volessero costruire una generazione grande come quella dei loro genitori: un drammatico aumento del tasso di fertilità, rispetto a quello attuale di 1,3».
E in un commento su La Repubblica la Banca Mondiale fa un esempio concreto: «Paradossalmente, uno degli elementi chiave dell’aumento dei tassi di natalità è l’assistenza all’infanzia, che in molti paesi è fornita in modo sproporzionato dai migranti.
Migrazioni e politiche per la nascite non sono dunque due elementi di una semplice alternativa, ma anzi si completano a vicenda».
Anche qui le teorie del ministro Lollobrigida e le misure pro-natalità del governo Meloni vengono derubricate a semplice propaganda inefficace.
E anche l’ultima uscita della premier Meloni sul (necessario) incremento del lavoro femminile viene molto ridimensionata dal rapporto: «Italia, Grecia e Corea potrebbero potenzialmente aumentare la partecipazione delle donne al lavoro.
Tuttavia, la portata di tali cambiamenti è alquanto limitata in molti Paesi ad alto reddito, dove la partecipazione alla forza lavoro è già elevata».
E il Paese con il più alto livello di evasione fiscale e che vuole mettere una flat tax per i ricchi dovrebbe tener conto anche di un altro aspetto rivelato dal rapporto: «In media, i contributi fiscali netti dei migranti e dei cittadini naturalizzati nei paesi dell’Ocse sono più alti di quelli dei nativi».
Axel van Trotsenburg, senior managing director della Banca mondiale, sottolinea che «la migrazione può essere una forza potente per la prosperità e lo sviluppo.
Quando è gestito correttamente, offre vantaggi a tutte le persone, nelle società di origine e di destinazione.»
Il rapporto conferma quanto in molti vanno dicendo da anni.
«Nei prossimi decenni, la percentuale di adulti in età lavorativa diminuirà drasticamente in molti paesi.
La Spagna, con una popolazione di 47 milioni, dovrebbe ridursi di oltre un terzo entro il 2100, con quelli sopra i 65 anni che aumenteranno dal 20% al 39% della popolazione».
L’Italia segue lo stesso trend e anche Paesi in via di sviluppo come Messico, Thailandia, Tunisia e Turchia potrebbero presto aver bisogno di più lavoratori stranieri perché la loro popolazione non è più in crescita.
La Banca Mondiale evidenzia che «oltre a questo cambiamento demografico, stanno cambiando anche le forze che guidano la migrazione, rendendo i movimenti transfrontalieri più diversificati e complessi.
Oggi, i Paesi di destinazione e di origine abbracciano tutti i livelli di reddito, con molti Paesi come il Messico, la Nigeria e il Regno Unito che inviano e ricevono migranti.
Il numero di rifugiati è quasi triplicato nell’ultimo decennio.
Il cambiamento climatico minaccia di alimentare più migrazioni.
Finora, la maggior parte dei movimenti guidati dal clima avveniva all’interno dei Paesi, ma circa il 40% della popolazione mondiale – 3,5 miliardi di persone – vive in luoghi altamente esposti agli impatti climatici».
La critica alle politiche migratorie “difensive” e “respingenti” è durissima e spiazzante: «Gli approcci attuali non solo non riescono a massimizzare i potenziali guadagni di sviluppo della migrazione, ma causano anche grandi sofferenze alle persone che si spostano in difficoltà.
Circa il 2,5% della popolazione mondiale – 184 milioni di persone, inclusi 37 milioni di rifugiati – ora vive al di fuori del proprio Paese di nazionalità.
La quota maggiore, il 43%, vive nei Paesi in via di sviluppo».
Il rapporto sottolinea l’urgenza di gestire meglio la migrazione: «L’obiettivo dei responsabili politici dovrebbe essere quello di rafforzare la corrispondenza delle competenze dei migranti con la domanda nelle società di destinazione, proteggendo al contempo i rifugiati e riducendo la necessità di spostamenti fatti in situazioni difficili» e fornisce ai responsabili politici un quadro su come farlo.
Indermit Gill, economista capo e vicepresidente senior per l’economia dello sviluppo del gruppo della Banca mondiale, fa notare che «questo rapporto sullo sviluppo mondiale propone un quadro semplice ma potente per aiutare a elaborare politiche in materia di migrazione e rifugiati.
Ci dice quando tali politiche possono essere attuate unilateralmente dai Paesi di destinazione, quando è meglio realizzarle plurilateralmente dai paesi di destinazione, di transito e di origine e quando devono essere considerate una responsabilità multilaterale».
Il rapporto conclude: «I Paesi di origine dovrebbero rendere la migrazione per lavoro una parte esplicita della loro strategia di sviluppo.
Dovrebbero abbassare i costi delle rimesse, facilitare il trasferimento di conoscenze da parte della loro diaspora, sviluppare competenze molto richieste a livello globale in modo che, se migrano, i cittadini possano ottenere posti di lavoro migliori, mitigare gli effetti negativi della “fuga di cervelli”, proteggere i loro cittadini all’estero e sostenere il loro ritorno.
I Paesi di destinazione dovrebbero incoraggiare la migrazione laddove le competenze apportate dai migranti sono molto richieste, facilitare la loro inclusione e affrontare gli impatti sociali che sollevano preoccupazioni tra i loro cittadini.
Dovrebbero consentire ai rifugiati di spostarsi, trovare lavoro e accedere ai servizi nazionali ovunque siano disponibili.
La cooperazione internazionale è essenziale per fare della migrazione una forza forte per lo sviluppo.
La cooperazione bilaterale può rafforzare la corrispondenza delle competenze dei migranti con le esigenze delle società di destinazione.
Sono necessari sforzi multilaterali per condividere i costi dell’accoglienza dei rifugiati e per affrontare la migrazione in difficoltà.
Le voci che sono sottorappresentate nel dibattito sulla migrazione devono essere ascoltate: questo include i Paesi in via di sviluppo, il settore privato e altre parti interessate, e gli stessi migranti e rifugiati».
(Articolo pubblicato con questo titolo il 26 aprile 2023 sul sito online “greenreport.it”)