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Rodolfo Bosi
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Home Approfondimenti

Bombe al carbonio sotto l’Accordo di Parigi: 195 i mega impianti oil & gas già in attività o finanziati

31/05/2022
in Approfondimenti, Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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Secondo l’inchiesta “Revealed: the ‘carbon bombs’ set to trigger catastrophic climate breakdown”, pubblicato su The Guardian da  Damian Carrington e Matthew Taylor, «le major dell’Oil & Gas stanno pianificando decine di vasti progetti che minacciano di mandare in frantumi l’obiettivo climatico di 1,5° C. 

Se i governi non agiranno, queste imprese continueranno a incassare mentre il mondo brucia».

E’ quella che l’indagine del Guardian definisce un «bomba di carbonio» che farebbe esplodere l’Accordo di Parigi e tutti gli impegni presi dalla comunità internazionale.

Carrington e Taylor evidenziano che i loro dati esclusivi «dimostrano che queste compagnie stanno in realtà piazzando scommesse multimiliardarie contro l’arresto del riscaldamento globale da parte dell’umanità. 

I loro enormi investimenti nella nuova produzione di combustibili fossili potrebbero ripagarsi solo se i Paesi non riusciranno a ridurre rapidamente le emissioni di carbonio, cosa che secondo gli scienziati è vitale.

L’industria del petrolio e del gas è estremamente volatile ma straordinariamente redditizia, in particolare quando i prezzi sono alti, come lo sono attualmente. 

ExxonMobil, Shell, BP e Chevron hanno realizzato quasi 2 trilioni di dollari di profitti negli ultimi tre decenni, mentre i recenti aumenti dei prezzi hanno portato il capo di BP a descrivere la compagnia come un “bancomat”.

Il richiamo di colossali pagamenti negli anni a venire sembra essere irresistibile per le compagnie petrolifere, nonostante gli scienziati del clima di tutto il mondo abbiano affermato a febbraio che un ulteriore ritardo nel ridurre l’uso di combustibili fossili significherebbe perdere la nostra ultima possibilità «di garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti”. 

Come ha avvertito i leader mondiali ad aprile il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, «La nostra dipendenza dai combustibili fossili ci sta uccidendo».

I dettagli “riservati” dei progetti ai quali ha avuto accesso The Guardian dimostrano che «i piani di espansione a breve termine dell’industria dei combustibili fossili prevedono l’avvio di progetti di petrolio e gas che produrranno gas serra equivalenti a un decennio di emissioni di CO2 da parte della Cina, il più grande inquinatore del mondo.

Questi piani includono 195 bombe al carbonio, giganteschi progetti di petrolio e gas che porterebbero ciascuno almeno un miliardo di tonnellate di emissioni di CO2 nel corso della loro vita, in totale equivalente a circa 18 anni di emissioni globali di CO2.  

Circa il 60% di questi ha già iniziato a pompare.

La dozzina delle  maggiori compagnie petrolifere sono sulla buona strada per spendere 103 milioni di dollari al giorno per il resto del decennio sfruttando nuovi giacimenti di petrolio e gas che, se il riscaldamento globale deve essere limitato a ben al di sotto dei 2° C, non potrebbero  essere bruciati.

Il Medio Oriente e la Russia spesso attirano la maggiore attenzione in relazione alla futura produzione di petrolio e gas, ma Stati Uniti, Canada e Australia sono tra i Paesi con i maggiori piani di espansione e il maggior numero di bombe al carbonio. 

Gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia forniscono anche alcuni dei maggiori sussidi al mondo pro capite per i combustibili fossili».

Riassumendo e rilanciando l’inchiesta di The Guardian, Italy for Climate (I4C) sottolinea che i 195 i mega impianti Oil & Gas in fase di realizzazione o che hanno appena avviato le attività estrattive «potrebbero arrivare a produrre da soli quasi 650 miliardi di tonnellate di CO2 (quasi 20 volte le emissioni che produciamo oggi in un anno)».

Gli autori dell’inchiesta lanciano l’allarme: se i Governi non agiranno in fretta per bloccare l’attività di questi progetti, l’obiettivo di limitare l’aumento di temperatura a 1,5° C sarà irreversibilmente compromesso.

Da soli, infatti, questi progetti (nell’arco della loro vita) esauriranno abbondantemente tutto il carbon budget disponibile, ovvero la quantità di CO2 che ancora possiamo emettere in atmosfera da qui a fine secolo per rispettare l’obiettivo climatico.

I4C fa notare che «dei 195 impianti censiti, circa il 60% è già operativo mentre il restante 40% è ancora in fase di approvazione o costruzione.

In totale produrranno oltre 190 miliardi di barili di combustibili fossili, in pari misura sia di petrolio che di gas.

Numeri che preoccupano se si considera anche che oltre due terzi di questi volumi avverranno, secondo il Guardian, con una produzione estrattiva ad alto rischio, in zone molto fragili del Pianeta e con fuoriuscite di metano potenzialmente elevate».

A detenere il primato di produzione di combustibili fossili saranno l’Asia mediorientale (con quasi 33 miliardi di barili), la Russia (23 miliardi) e il Nord America (22 miliardi), mentre l’Europa si fermerà a 3 miliardi, come l’Australia.

Ma I4C avverte che «se guardiamo alle emissioni stimate dei diversi progetti, saranno di gran lunga gli Stati Uniti a produrre la maggior parte delle bombe di carbonio: ben 140 miliardi di tonnellate di CO2 (quasi un quinto delle 650 stimate nel complesso per tutti i 195 progetti) verranno infatti da questo Paese, seguito dagli Emirati Arabi con 107 miliardi di tonnellate di CO2 e dalla Russia con 83 miliardi di tonnellate di CO2.

La differenza fra i volumi di produzione fossile e di emissioni di CO2 stimate rende bene l’impatto particolarmente devastante che i progetti a più alto rischio, come quelli negli Stati Uniti per la produzione di GNL, possono avere sull’ambiente e sul clima».

Come fermare questo possibile disastro climatico annunciato?

Secondo The Guardian devono essere i Governi a porre immediatamente un freno ai programmi di espansione delle aziende Oil & Gas, a cominciare anche da una riduzione incisiva dei sussidi ai combustibili fossili.

«Anche perché – conclude I4C – quanto sta accadendo con la guerra in Ucraina e le criticità connesse importazioni fossili dalla Russia dovrebbe oramai aver acceso una spia ben visibile sui gravi rischi, energetici ed economici, oltre che climatici, di una economia ancora basata sui combustibili fossili».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 30 maggio 2022 sul sito online “greenreport.it”)

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