Gli statunitensi hanno una lunga tradizione di scendere in piazza per protestare o difendere le cose in cui credono e la presidenza di Donald Trump sembra aver dato nuovo slancio a questa predisposizione, in particolare per le sue politiche anti-climatiche.
Ora, nuove ricerche suggeriscono che le manifestazioni per chiedere una maggiore azione climatica possono davvero avere un effetto positivo sull’opinione pubblica.
Una bella notizia per i ragazzi e le ragazze che proprio in queste ore stanno manifestando in tutto il mondo.
Un team di ricercatori della Pennsylvania State University ha scoperto che, dopo la March for Science e la People’s Climate March tenutesi negli Usa nella primavera 2017, le persone tendono ad essere più ottimiste sulla capacità della gente a lavorare insieme per affrontare il cambiamento climatico e avevano una migliore opinione delle persone che avevano partecipato alle marce per il clima.
Janet Swim, che insegna psicologia alla Penn State, ha detto che «i risultati suggeriscono che le marce contro il cambiamento climatico possono avere effetti positivi sugli astanti.
Le marce hanno due funzioni: incoraggiare le persone ad unirsi a un movimento e ad attuare il cambiamento.
Questo studio è coerente con l’idea che le persone che partecipano alle marce possono ottenere il sostegno dell’opinione pubblica, convincere la gente che possono verificarsi dei cambiamenti e “normalizzare” anche gli stessi partecipanti.
Recenti ricerche hanno dimostrato che le marce stanno diventando più diffuse negli Stati Uniti, non solo per il cambiamento climatico ma per molte altre questioni».
La Swim e gli altri autori dello stiudio, Nathaniel Geiger dell’università dell’Indiana, e Michael Lengieza, della Penn State, volevano capire se le manifestazioni per il clima fossero efficaci nel modificare i predittori psicologici di unire i movimenti e spiegano che «ci sono diversi fattori per prevedere che le persone si impegneranno e agiranno in futuro, uno di questi è l’efficacia collettiva: la convinzione che le persone possano lavorare insieme per attuare il cambiamento.
Le persone non vogliono fare una cosa se non avrà nessun effetto.
Sono interessate se le marce aumentano questo senso di efficacia, dato che una volta che vedi le altre persone fare qualcosa, potresti pensare che sì, è possibile».
Per lo studio, i ricercatori hanno reclutato 587 spettatori – persone che non hanno partecipato alla marcia ma l’hanno viste attraverso i media.
302 partecipanti hanno completato un sondaggio il giorno prima della March for Science tenutasi il 22 aprile 2017 e 285 hanno completato un sondaggio diversi giorni dopo la People’s Climate March tenutasi il 29 aprile 2017.
Tra le altre cose, ai partecipanti è stato chiesto quanto ne sapevano delle marce, le loro impressioni sulle persone che hanno partecipato alle manifestazioni e se credevano che le persone potessero lavorare insieme per ridurre il cambiamento climatico.
La Swim ricorda che «gli attivisti sono spesso visti negativamente: perché sono considerati o arroganti o eccentrici o comunque al di fuori della norma.
C’è una linea sottile tra manifestanti e altri attivisti che si esprimono e aumentano la consapevolezza della loro causa, pur non confermando stereotipi negativi, quindi una delle nostre domande era se le marce avessero aumentato o diminuito le impressioni negative sui manifestanti».
Ma i ricercatori erano anche interessati a come la copertura mediatica dei due eventi abbia contribuito ai risultati, hanno quindi rilevato le fonti di notizie preferite dai partecipanti e hanno codificato se le fonti fossero generalmente più conservatrici o progressiste.
Hanno così scoperto che «dopo la People’s Climate March, i partecipanti allo studio erano più ottimisti sulla capacità delle persone di lavorare insieme per affrontare i cambiamenti climatici, dato riferibile alle convinzioni di efficacia collettiva e che dopo la marcia i partecipanti allo studio avevano opinioni meno negative sui manifestanti.
Inoltre, dopo le marce i partecipanti allo studio che leggono o ascoltano regolarmente notizie pubblicate dai media conservatori credevano di più nell’efficacia collettiva e mostrano l’intenzione di agire.
Chi leggeva o ascoltava notizie dai media progressisti tendeva ad avere impressioni meno negative dei manifestanti, in particolare coloro che riferivano di aver sentito parlare delle marce.»
Swim ha detto: «Poiché controllavano fattori come l’affiliazione e le convinzioni politiche, questi cambiamenti erano probabilmente dovuti al modo in cui le loro fonti di informazione preferite rappresentavano le marce prima e dopo gli eventi.
Se le fonti di notizie conservatrici parlano solo della marcia dopo il fatto, questo potrebbe essere il motivo per cui i loro fruitori hanno una maggiore efficacia collettiva in seguito, perché non lo sapevano prima.
Inoltre, una fonte di notizie più liberal potrebbe tendere a vedere i manifestanti meno negativamente, il che potrebbe essere il motivo per cui i loro fruitori hanno avuto impressioni più favorevoli sui manifestanti».
La Swim ha concluso dicendo che in futuro vorrebbe studiare ulteriormente come le notizie e altre fonti di informazione contribuiscano alle convinzioni della gente sui cambiamenti climatici: «Ad esempio, un’analisi dei contenuti che aiuti a distinguere se è la copertura di una manifestazione che contribuisce a cambiare le convinzioni o se è il modo in cui vengono rappresentate le marce e le manifestazioni».
(Articolo pubblicato con questo titolo il 24 maggio 2019 sul sito online “greenreport.it”)