I sussidi ambientalmente dannosi garantiti annualmente dallo Stato italiano ammontano a 22,4 miliardi di euro, secondo il nuovo Catalogo pubblicato dal ministero dell’Ambiente, il primo col ministro Pichetto Fratin alla guida del dicastero.
Non sono mai stati così tanti, in base alle stime prodotte dal governo nel corso degli anni – siamo al quinto aggiornamento del Catalogo, stavolta con dati 2021 – e superano di gran lunga sia i sussidi ambientalmente favorevoli (18,6 mld di euro), sia quelli di incerta classificazione ambientale (11,5 mld di euro).
In tutto, sono le 168 sovvenzioni passate in rassegna dal ministero nella versione aggiornata del Catalogo.
Molti sono sussidi di tipo diretto (trasferimento di fondi, concessioni), ma quando si guarda a quelli dannosi la larga parte ricade tra i sussidi indiretti (come spese fiscali, esenzioni, agevolazioni).
Come sempre, a fare la parte del leone sono i sussidi alle fonti fossili, che da soli assorbono 14,5 miliardi di euro.
In quest’ambito ricade ad esempio la sovvenzione più gravosa sotto il profilo ambientale, ovvero il differente trattamento fiscale fra benzina e gasolio, a favore di quest’ultimo per 3,4 mld di euro annui.
Per la prima volta, il ministero ha inoltre osservato tutti e 168 i sussidi anche attraverso la prospettiva dell’economia circolare, in modo da poter capire quali siano utili o meno al suo sviluppo.
L’ANALISI DI CIRCOLARITÀ HA COSÌ consentito di individuare ben 52 sovvenzioni potenzialmente dannose per l’economia circolare – pari a un valore economico di 19 miliardi di euro nel 2021 – e 77 sussidi potenzialmente favorevoli, per 13,2 mld di euro.
Anche in questo caso, dunque, lo sforzo economico è concentrato dalla parte sbagliata.
Il ministero conviene sulla necessità di intervenire sui sussidi ambientalmente dannosi, specificando come «la loro graduale rimozione sia prevista nel lasso temporale entro il 2025», ma di fatto questo non sta avvenendo.
L’unico intervento in tal senso è arrivato col decreto Sostegni Ter del gennaio 2022, che e si è limitato ad eliminare cinque sussidi alle fonti fossili per appena 105,9 milioni euro.
Le intenzioni manifestate anche quest’anno dal ministero, ovvero usare la leva fiscale ambientale per spostare finalmente il carico fiscale dal lavoro alle attività inquinanti, di fatto restano lettera morta per il legislatore.
Eppure gli effetti sarebbero positivi non solo per l’ambiente italiano, ma anche per la società e l’attività economica nel suo complesso.
Fino alla quarta edizione del Catalogo, il ministero ha proposto un’analisi costi-benefici a livello macroeconomico di questa operazione, stimando cosa accadrebbe riallocando sussidi ai combustibili fossili per circa 12 miliardi di euro annui: in tutti gli scenari analizzati diminuirebbero le emissioni di gas serra italiane, e nei due terzi dei casi aumenterebbero anche Pil e occupazione.
Al contempo, è indispensabile sottolineare come la cancellazione dei sussidi alle fonti fossili debba essere ben governata per non portare anche a ricadute negative sulle fasce meno abbienti della popolazione.
Si tratta di un problema che riguarda molta della fiscalità ambientale – ma non solo, basti pensare all’Iva – che per sua natura si presenta come regressiva; ovvero, grava di più sui redditi bassi rispetto a quelli alti.
Per questo è indispensabile accompagnare simili misure con interventi correttivi o destinazioni del gettito adeguate (ad esempio a favore di interventi contro la povertà), in modo da renderli equi e sostenibili dal punto di vista sociale, anziché ambientali. In questo modo ci guadagniamo tutti.
Al contrario, a causa dei sussidi ai combustibili fossili rischiamo di perderci anche più di quanto immaginiamo.
PER STESSA AMMISSIONE DEL MINISTERO, l’analisi offerta dal Catalogo «non è da ritenersi esaustiva del complesso scenario di fiscalità ambientale nazionale, ma si basa sulla miglior conoscenza disponibile», il che naturalmente introduce un certo grado di aleatorietà; in altre parole, in base alla metodologia adottata, la stima dei sussidi ambientalmente dannosi può cambiare anche molto.
È quanto dimostra il recente rapporto Detox development elaborato dalla Banca mondiale, che a livello internazionale arriva a stimare in 7mila miliardi di dollari l’ammontare annuo dei sussidi alle fonti fossili, pari all’8% del Pil globale.
Tali sussidi sono responsabili del 14% della deforestazione, incentivano la diffusione di malattie zoonotiche (a partire dalla malaria) e aumentano la siccità, oltre a incidere in modo determinante sull’inquinamento atmosferico: «La scarsa qualità dell’aria è responsabile di circa 1 decesso su 5 a livello globale. E come mostrano le nuove analisi in questo rapporto – dichiarano dalla Banca mondiale – un numero significativo di queste morti può essere attribuito ai sussidi ai combustibili fossili».
UN PROBLEMA CHE CI TROVA IN PRIMA FILA, dato che nessun Paese europeo mostra performance peggiori del nostro a livello di inquinamento atmosferico, con 52.300 morti premature l’anno da PM2.5, 11.200 da NO2 e 6.067 per l’O3.
Eppure, al contempo l’Italia continua a gettare benzina sul fuoco.
La Banca mondiale, adottando la stessa metodologia impiegata dal Fondo monetario internazionale, ha infatti stimato l’ammontare dei nostri sussidi alle fonti fossili guardando ai loro impatti impliciti, riconoscendo che il loro prezzo «non riflette pienamente i vasti danni sociali e ambientali che provocano, inclusi l’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico».
GUARDANDO A QUESTE ESTERNALITÀ negative, non ricomprese nel prezzo per quello che di fatto è un fallimento del mercato a cui lo Stato sarebbe chiamato a porre rimedio, l’ammontare dei sussidi alle fonti fossili garantiti ogni anno in Italia sale di molto rispetto alla stima del ministero.
Fino ad arrivare al 2,1% del Pil nazionale: 41 miliardi di dollari, 676 dollari procapite che dir si voglia.
Un tesoretto che da solo supera gli impegni presi dal governo Meloni con l’ultima legge di Bilancio (35 mld di euro), ostaggio dei combustibili fossili.
(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 6 luglio 2023 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)
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