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Rodolfo Bosi
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Home Approfondimenti

Dalle grandi navi da crociera allo «shipping», l’insostenibile peso di Msc

18/04/2022
in Approfondimenti, Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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IL RAPPORTO DI RECOMMON. Un impero dalle mille diramazioni societarie, il cui cuore è in Svizzera con la holding di famiglia, la Mediterranean Shipping Company Holding SA, che a sua volta controlla due società, registrate in Svizzera e Lussemburgo, due paesi con giurisdizioni tra le meno trasparenti d’Europa.

È ormai oltre un decennio che le grandi navi come quelle del gruppo crocieristico MSC sono sotto i riflettori per i loro pesanti impatti ambientali.

Ma, come racconta il rapporto La Galassia MSC, appena pubblicato da ReCommon, la società fondata da Gianluigi Aponte è una super potenza soprattutto nello shipping, il trasporto marittimo globale.

Secondo la classifica stilata da Alphaliner, a marzo del 2021 MSC era la seconda compagnia al mondo dietro la danese Maersk, con una quota di mercato pari al 16,7%, aumentata notevolmente negli ultimi anni e sempre più vicina a quella della stessa Maersk (17,1%).

La parte del colosso della famiglia Aponte che si occupa di shipping possiede ormai 574 navi, con entrate stimate intorno ai 25,19 miliardi di dollari.

Un impero dalle mille diramazioni societarie, il cui cuore è in Svizzera con la holding di famiglia, la Mediterranean Shipping Company Holding SA, che a sua volta controlla due società, registrate in Svizzera e Lussemburgo, due paesi con giurisdizioni tra le meno trasparenti d’Europa.

Nel rapporto di ReCommon, oltre a evidenziare questa bulimia societaria, si pone con forza l’accento su come il settore dello shipping, con MSC assolutamente in prima fila, nei prossimi anni rischi di avere effetti ancora più estremi non solo di ingiustizia sociale, ma anche in termini di sostenibilità globale e di impatti sulla crisi climatica.

La grande trasformazione di flotte intere di navi cargo e turistiche in «navi bianche», pulite perché alimentate a gas fossile, e in un futuro (chissà se prossimo o remoto) a ammoniaca o a idrogeno, è tutt’altro che sostenibile.

Al contrario, viene utilizzata per giustificare la costruzione di nuovi depositi di LNG (gas naturale liquido) lungo le coste italiane e di altri paesi del Mediterraneo.

Nel frattempo la filiera si allunga e penetra fino a territori geograficamente lontani dai porti, ma concettualmente parte della stessa linea di produzione del just-in-time globale.

Così ad esempio l’interporto di Genova potrebbe estendersi fino alla Cortenuova freight station, nel bergamasco, dove un’ex acciaieria è diventata il cuore di un nuovo polo logistico sviluppatosi negli anni, che vede tra i suoi azionisti la Medlog, parte del gruppo MSC.

Il porto di Genova, dove MSC è particolarmente attiva, dal canto suo è sempre più stritolato nella morsa di un sistema dei trasporti al collasso tra traffico urbano, extraurbano e camion che trasportano su gomma i milioni di TEU che arrivano ogni anno via mare fino ai suoi terminal.

Così l’Autorità di sistema portuale e le altre istituzioni si sono spese per fare in modo che la nuova diga foranea venisse percepita dalla popolazione come la vera svolta per il futuro della città.

La diga infatti dovrebbe permettere l’arrivo a Genova di navi cargo tra le più grandi al mondo, lunghe 400 metri e con capacità di oltre 20 mila TEU, che necessitano fondali profondi e terminal attrezzati con gru di quasi cento metri di altezza.

Tutto in nome del commercio globale, che a Genova converge nelle mani di una grande azienda, la MSC.

Tra luci e ombre, il settore dello shipping è tra quelli usciti meglio dalla pandemia.

Msc e Maersk ne sono l’esempio: le due società hanno saputo sfruttare al meglio sia la posizione di oligopolio de facto che la loro particolare posizione di leader delle tratte che collegano Europa e Cina e Stati Uniti e Cina, per rafforzarsi anche attraverso il complesso fenomeno del blank sailing.

Ovvero la drastica riduzione delle navi su queste tratte, con conseguente diminuzione dei posti container a livello mondiale, creando una rapida ascesa dei prezzi dei noli, con un picco a maggio 2020 di +682%, e assestandosi su aumenti medi del 400%.

Il fenomeno è in leggera riduzione, tuttavia possiamo già definire questa come una concausa della forte inflazione che sta ricadendo su tutti noi, insieme all’aumento di gas e petrolio accelerato dall’invasione dell’Ucraina.

Lo shipping invece ne esce molto bene. Insomma, come al solito gli impatti sociali e ambientali della riorganizzazione del commercio mondiale ricadranno sulla collettività, mentre i profitti saranno esclusiva dei soliti noti.

(Articolo di Luca  Manes, pubblicato con questo titolo il 14 aprile 2022 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)

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