“Se ti addiviene di trattare delle acque consulta prima l’esperienza e poi la ragione”, ammoniva già mezzo secolo fa l’enciclopedico Leonardo da Vinci.
L’Homo Novus del Rinascimento non minimizzava i guai di allora e prevedeva quelli futuri perché sapeva che la Natura è “piena d’infinite ragioni”, e l’acqua poteva trasformarsi in arma bellica poiché “scarnifica” monti, campi e città.
Studiava le sue varie forme, analizzava la meccanica dei fluidi, la capacità di trasporto a valle e si disperava per i suoi eccessi, come leggiamo nel Codice Atlantico: “Ma con quali vocavoli potrò io descrivere le nefande e spaventose inondazione, contro alle quali non vale alcuno umano riparo, ma con le gonfiate e superbe onde ruina li alti monti, dripa le fortissime argine, disvelle le radicate piante e colle rapaci onde, intorbidate delle cultivate campagne, portando con seco le intollerabili fatiche di miseri e stanchi agrecultori, lascia le valli denudate e vili per la lasciata povertà”.
Leonardo ammoniva i potenti del tempo che lo ingaggiavano per opere di bonifiche, navigli, chiuse, ponti e canali mettendoli in guardia poiché i “monti sono disfacti dalle piogge e dalli fiumi […].
L’acqua riempie le valli, e vorrebbe ridurre la terra in perfetta sfericità, s’ella potessi”.
E progettava soluzioni perché l’acqua “non ha mai quiete, insinoché non si congiunge col suo marittimo elemento”.
Sapeva, insomma, quanto l’Italia fosse geneticamente esposta ad angosciosi problemi idrogeologici che noi abbiamo beatamente rimosso, moltiplicando la potenza devastatrice dell’acqua nella presunzione di potercela sempre cavare.
E oggi, in poche ore, un temporale esplosivo del terzo millennio porta a galla le allegre follie dell’urbanizzazione più sregolata e più abusiva d’Europa che condannano aree urbane sovraesposte e senza adeguati sistemi difensivi, e laddove esistono sono tarati per i tempi di Cavour o al massimo per la metà del secolo scorso.
Sullo stradario e sul geo-localizzatore troviamo oggi tutta la rischiosissima toponomastica del rischio idrogeologico italiano
Non è un caso che già i nomi dei luoghi urbanizzati – con autorizzazioni o abusivamente ma sempre senza criterio né difese strutturali -, da Nord a Sud e sulle isole siano talmente evocativi e così diffusi che basta accendere il navigatore e seguire le indicazioni di Google Maps o di un qualsiasi stradario per scoprire località un tempo occupate dall’acqua e oggi indicano parti di città, paesi, borghi, zone industriali, artigianali, commerciali, sportive e turistiche.
Sono rimaste le antiche denominazioni a ricordarci inutilmente che viviamo a Fosso o Fossa, Pantano, Bagnolo, Marana, Maranella, Stagni o Stagno, Fontanelle, Padule, Palude, Piscina, Laghetto, Fiumara, Acquapendente, Acquaviva, Acquafresca, Acquedolci, Acqua Traversa, Rio Fresco, Rio Secco, Rio Corto, Fonte, Fonteviva, Canale, Fossato, Riva, Isola, Rotta, Foce, Isola Persa, Morene, Campo, Catino, Mortizza, Macereto, Ghiaione, Breccia, Lama, Isola, Isolotto, Lagno, Gravina, Roggia, Gora, Naviglio, Anconella, Barena, Slavina, Calanca, Dirotta, Rovina, Smotta, Alluvione Cambiò, via del Diluvio, Contrada Piovega, Pozzallo, Campomorto, Infernetto, Punta Maledetta, Punta Malafede, via Affogalasino, Isola Sacra, via delle Idrovore, Bagno, Bagnoletto, Settebagni…
Rievocano quel che erano fino a metà del secolo scorso, e cioè acquitrini, isole fluviali, primordiali paludi, zone alluvionali e di espansione di corsi d’acqua.
La deregulation urbanistica italiana, caso unico nel continente e nel mondo avanzato, ha accatastato tanta edilizia abusiva graziata da ben 4 condoni
L’Italia ha sempre sanato ogni abuso con una sanatoria edilizia, una pratica sconosciuta nel resto d’Europa e nei paesi avanzati.
I tre condoni del 1985, del 1994 e del 2003 hanno riversato verso gli sportelli dei comuni ben 15.431.707 domande di sanatoria, pari a un italiano su quattro neonati compresi, per regolarizzare varie tipologie di illegalità edilizie.
Del resto, i soli annunci di trattative su possibili condoni in arrivo hanno sempre indotto in tentazione milioni di italiani ad abusare e consumare suolo.
Come rileva il centro ricerche del Cresme in una indagine per l’Ance, nel periodo 1982-1997 furono edificate circa 970.000 abitazioni totalmente abusive, con un trend edificatorio successivo di ben 26.000 costruzioni abusive all’anno sostenute anche da promesse elettorali di nuovi condoni.
L’incasso complessivo delle sanzioni pagate – ma sono circa 4 milioni le sanatorie ancora da riscuotere per ritardi comunali nella loro gestione – dovrebbe garantire allo Stato entrate complessive per circa 15,4 miliardi di euro, a fronte però di una clamorosa spesa pari a ben 45 di miliardi di euro per realizzare servizi e sottoservizi tutti a carico dei comuni per l’urbanizzazione delle aree edificate fuori dai Piani regolatori e senza strade, reti di acquedotto e fognatura, di elettricità e gas e altri servizi.
I condoni varati ufficialmente “per fare cassa” hanno quindi sempre aperto grandi voragini nelle casse comunali.
Ma, nonostante questo scandalo, arrivò anche il quarto condono per le case terremotate di Ischia colpita dal sisma il 21 agosto del 2017, voluto dal governo gialloverde Conte 1 e mascherato nella legge 2018 per la ricostruzione del ponte Morandi di Genova.
La norma riaprì i termini del condono del 1985, il primo e il peggiore che sanava edilizia abusiva anche in zone ad alto rischio idrogeologico e sismico.
E ad Ischia i residenti già avevano alle spalle la presentazione di circa 28mila richieste di sanatorie per i condoni precedenti per un abusivismo diffuso e tollerato e fonte di problemi di sicurezza per migliaia di cittadini sui circa 64.000 abitanti dell’isola.
Tanti sindaci italiani hanno provato a opporsi, a fare i conti con l’Italia abusiva e ad abbattere case abusive, ma generalmente sono stati lasciati soli o sfiduciati dalle loro maggioranze.
La cultura dell’illegalità a lungo non ha trovato contrasti e il fenomeno è ancora evidente se nella “Relazione sugli indicatori di Benessere equo e sostenibile 2023”, presentata nei giorni scorsi dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, si legge che l’«indice di abusivismo edilizio», pur essendo sceso negli ultimi anni, è ancora alto: era di quasi il 20% nel triennio 2015-17, è sceso nel 2021 al 15%.
Per ogni 100 costruzioni autorizzate dai comuni 15 sono abusive.
Gran parte delle trappole idrogeologiche costruite dal secondo dopoguerra quando il paesaggio italiano diventò terra di conquista del cemento
Sono state urbanizzate dagli anni Sessanta del Novecento pianure alluvionali, colline franose, arenili in erosione.
Calpestando leggi, normative e regolamenti, con silenzi complici e intrallazzi sono state tirate su talmente tante costruzioni da triplicare, nel flash di appena sette decenni, il costruito di 2500 anni precedenti.
Nei soli ultimi 70 anni siamo passati dal 2,8% di costruito nazionale del 1956 all’8,3% di oggi.
Quasi triplicata l’occupazione si suoli anche molto fragili.
La follia dell’iperconsumo non si è fermata nemmeno davanti ai morti e alle devastazione delle più violente alluvioni del secolo scorso iniziate la notte del 4 di novembre del 1966 quando le acque dell’Arno entrarono a 70 chilometri all’ora dentro Firenze e la “tempesta perfetta” su larga scala tra le più penalizzanti della storia della nostra meteorologia colpì duro tutto il centro-nord.
Furono 1.119 i comuni devastati dall’acqua in 34 Province, da Udine a Brescia e Padova e da Trento a Venezia, travolti da torrenti e fiumi in piena nei bacini dall’Arno al Po, dal Tevere all’Adige, dal Brenta-Bacchiglione al Piave, dal Livenza al Tagliamento.
Passata però l’emergenza epocale, il tempo di rimuovere fango e macerie, e l’abusivismo ricominciò come se nulla fosse.
L’indole alla cementificazione abusiva o regolare ma suicida portò alla cementificazione persino delle rive dei fiumi esondati, come lungo l’Arno nel passaggio fiorentino con i nuovi quartieri a sud, con la sola accortezza di edificare quartieri su palafitte di cemento per lasciare un margine di sicurezza per futuri rischi di piena, ma gran parte di quei vuoti sono oggi diventati negozi, cantine, garage.
La struttura di missione italiasicura calcolò da Palazzo Chigi nel 2018 oltre 20.000 chilometri di corsi d’acqua sigillati sotto il cemento e l’asfalto delle nostre città, trasformate da acque superficiali in acque sotterranee, costrette dentro tubi o gallerie oggi palesemente inadeguate a sostenere pressioni e portate di acqua di piena.
Sono stati moltiplicati i rischi idraulici facendo sparire dalla vista rii e torrenti e fiumi nei tratti urbani dei quali nessuno più ricorda l’esistenza, nomi e percorsi.
Spesso gli uffici tecnici comunali non hanno nemmeno più le cartografie e i tracciati, e i vecchi fontanieri non ci sono più.
Purtroppo, quando sono in picco di piena le tombature esplodono e l’acqua riemerge puntualmente devastando come a Bologna o a Milano, e tutti a sorprendersi.
Nessuna sorpresa allora, se dall’archivio dell’ISPRA salta fuori che, dal 1990 ad oggi, l’Italia naturale è stata “mangiata” ogni anno a grandi bocconi fra i 150.000 e i 244.000 ettari impermeabilizzati.
Ogni anno abbiamo perso un’area naturale grande due volte l’intera superficie di Roma.
Negli ultimi 60 anni hanno cambiato uso circa 1,3 milioni di ettari di suolo, con una velocità media di 70 ettari al giorno, 8 m2 al secondo.
Sono stati urbanizzati quasi 22.000 km2 di campagne, il 60% delle aree agricole coltivate e il 19% di terre vergini, e oltre 500 km di fascia naturale costiera, il 20% dell’affaccio più bello tra 0 e 300 m dal mare.
Sono stati ricoperti di asfalto e cemento persino 34.000 vietatissimi ettari di aree protette, il 9% delle zone a pericolosità idraulica, il 5% delle rive di fiumi e laghi, il 2% di aree montane a pendenza elevata, e zone umide e arenili sabbiosi.
L’espansione delle città è avvenuta nel totale disordine urbanistico e con effetto sprawl che in un brevissimo arco di tempo ha visto processi di diffusione insediativa senza paragoni, grazie a pianificazioni urbanistiche le più eluse d’Europa.
Ma il Parlamento ancora oggi non riesce ad approvare una legge per fermare o almeno contenere gli abusi del suolo, e anche questo clamoroso e tollerato boicottaggio strizza l’occhio e favorisce chi impermeabilizza terreni e le tragedie.
Perché persino nel 2020, nell’anno del lockdown da pandemia e del tutti a casa, è cresciuto più cemento che popolazione con il suolo naturale “sigillato” avanzato di altri 56,7 milioni di m2, al ritmo di 2 m2 al secondo per oltre 21.000 km2.
Per ognuno dei 420.000 bambini nati nel 2021, calcola ISPRA, l’Italia ha regalato in dote 135 m2 cemento su terreni vergini.
Con il dato più sconcertante dell’avanzamento di abusi nelle aree più a rischio idrogeologico, a partire dalla Sicilia.
La mosaicatura dell’ISPRA segnala oggi in codice rosso 12.405 km2 di territorio urbanizzato dove vivono 4,8 milioni di italiani, dove ci sono 1.351.578 edifici, 596.254 strutture industriali con 2.306.229 addetti e 31 mila testimonianze di beni culturali.
Le aree a pericolosità media si estendono per 25.398 km2, con altri 6,2 milioni di residenti, e quelle a pericolosità bassa per 32.961 km2 con 2,1 milioni di persone.
Sono 13,1 milioni gli italiani a rischio di un allagamento.
Oggi con un clima completamente cambiato il rischio incombe su 7.275 comuni, sul totale dei 7.904, con aree a “pericolosità elevata” o “molto elevata”
Finora hanno insegnato poco o nulla le oltre 5.400 alluvioni e 11.000 le frane che ci hanno colpito negli ultimi 70 anni lasciando oltre 6.000 morti, migliaia di feriti, milioni di sfollati e danni in media per 4 miliardi all’anno dal dopoguerra.
Se negli ecosistemi naturali le acque meteoriche filtrano lentamente nel sottosuolo, in ambienti iper-urbanizzati senza criterio le superfici impediscono l’assorbimento e lo scorrimento causando ristagni e allagamenti con una sempre più ridotta capacità di ricezione e smaltimento dell’acqua nelle reti fognarie.
Ma il drenaggio delle acque meteoriche non è stato quasi mai preso in considerazione nella galoppante storia dell’urbanizzazione italiana, e oggi i rigurgiti dalle fogne aumentano le inondazioni già dopo qualche acquazzone.
Eppure,l’urbanistica moderna offre soluzioni per trattenere, conservare, far assorbire l’acqua piovana, riducendo il più possibile l’effetto-scivolamento sulle pavimentazioni impermeabili.
La risposta della città agli eventi meteoclimatici sempre più dirompenti sta nel saper diventare il più possibile città spugna con azioni contemporanee per:
-aumentare quote di verde e di terreni drenanti, riducendo dove è possibile cementificazioni e pavimentazioni impermeabili:
– raccogliere acqua piovana in diffusi “contenitori” di accumulo nei singoli edifici e nei quartieri per poterla riutilizzare per l’innaffiatura di parchi e giardini pubblici e privati e suoli erbosi, il lavaggio di automobili, di strade e l’utilizzo come riserva idrica in caso di incendi;
– creare aree di laminazione periferiche e bacini utili a gestire gli eccessi di acqua e capaci di drenare ingenti volumi di pioggia in breve tempo, tarati per condomini, per la città o per unioni di città;
-aumentare la permeabilità naturale del terreno, con effetti positivi anche sulla ricarica delle falde acquifere con pavimentazioni permeabili con materiali altamente porosi;
-predisporre pozzi disperdenti o di infiltrazione, bacini o sistemi modulari di vasche di infiltrazione e di accumulo
-creare aree verdi urbane con parcheggi con canali vegetati, tetti-giardino, copertura vegetale degli edifici che riduce il deflusso di acque piovane rallentandone la velocità di scorrimento e trattenendo fino al 70-80% del flusso estivo e il 20-35% invernale;
– installazione di rain gardens con positivi effetti anche estetici.
Ai nuovi sistemi di drenaggio urbano sostenibili si potrebbero intanto estendere i bonus di ristrutturazioni edilizie e gli sgravi fiscali utili ad avviare una transizione più che necessaria. In attesa di una legge che blocchi il folle consumo di suolo.
(Articolo di Erasmo D’Angelis, pubblicato con questo titolo il 28 ottobre 2024 sul sito online “greenreport.it”)