Lo studio “Photoprotection in metal halide perovskites by ionic defect formation”, pubblicato recentemente su Joule da un team internazionale di ricercatori guidato da Nga Phung della Technische Universiteit Eindhoven e dell’Helmholtz-Zentrum Berlin für Materialien und Energie conferma ulteriormente le potenzialità delle pervoskiti ibride organiche-inorganiche, il materiale innovativo che potrebbe sostituire il silicio per la realizzazione di impianti fotovoltaici più efficienti, economici e duraturi.
Del team di ricerca faceva parte anche il gruppo di Materials Modeling e Simulations dell’università di Ferrara che spiega che lo studio «dimostra che, similmente a quanto accade nelle piante, la perovskite risponde alle sollecitazioni energetiche della luce solare con un meccanismo di auto-protezione, che permette di mitigare gli effetti degradativi della luce sul materiale».
Uno degli autori dello studio Simone Meloni del Dipartimento di scienze chimiche, farmaceutiche ed agrarie dell’università di Ferrara ricorda che «fino a oggi si è creduto che la luce solare che incide sulle celle a perovskiti creasse “difetti” nella struttura cristallina del materiale fotoassorbente, la rimozione di uno o più atomi dalla loro posizione nel reticolo del cristallo.
Si pensava che, a lungo termine, questi difetti portassero alla degradazione del materiale stesso, e quindi a un calo di efficienza.
Un problema non di poco conto: non si può certo pensare di schermare il pannello fotovoltaico dalla luce solare, la sorgente di energia che deve essere trasformata in corrente elettrica per alimentare i nostri fabbisogni.
Il nostro studio dimostra invece che, proprio come accade nelle piante, le celle a perovskite sono dotate di un meccanismo di auto-protezione: sfruttano la possibilità di creare difetti per mitigare gli effetti degradativi della luce solare, così possono continuare a funzionare controllando la loro efficienza in base all’intensità della luce.
E’ vero che l’energia solare in eccesso porta alla formazioni di difetti nella struttura molecolare del materiale. Tali difetti, però, non hanno un effetto negativo, anzi: prevengono l’aumento eccessivo della temperatura che porterebbe alla degradazione completa del materiale.
La formazione dei difetti nella perovskite riduce l’assorbimento della luce e il rilascio dell’energia in eccesso, e auto-limita la quantità dei difetti che si formano.
Nei periodi di buio poi, ad esempio la notte, il materiale ricostituisce la sua struttura cristallina ordinaria, predisponendosi al successivo ciclo giorno/notte».
Grazie alla possibilità di utilizzarle per fabbricare celle ad alta efficienza con materiali e processi a basso costo, in 10 anni di ricerca nel settore le perovskiti ibride organiche-inorganiche sono riuscite a sopravanzare materiali che erano stati studiati per più di un cinquantennio.
Meloni conclude: «Le celle fotovoltaiche basate sulle perovskiti sono capaci di convertire in corrente elettrica più di un quarto della luce solare che le colpisce, superando l’efficienza delle tradizionali celle a silicio.
Possono essere fabbricate con facilità e in maniera economica, al contrario delle celle al silicio che richiedono un processo lungo, laborioso ed energivoro.
Questa scoperta rappresenta un’assoluta novità e apre nuove vie per l’introduzione di una nuova tecnologia fotovoltaica che possa dare un reale contributo alla tanto desiderata transizione energetica e ridurre sensibilmente la dipendenza da combustibili fossili».
(Articolo pubblicato con questo titolo il 5 agosto 2022 sul sito online “greenreport.it”)