Nucleare sì o nucleare no?
Secondo l’indagine Ipsos “Osservatorio gli italiani e l’energia” presentata oggi al XVII Forum QualEnergia «l’81% degli italiani (a giugno 2024, cinque mesi fa, erano il 75%) non ha dubbi sulla contrarietà a questa tecnologia che il governo vorrebbe reintrodurre nel mix energetico all’interno del processo di decarbonizzazione nel Paese».
Legambiente, che ha commissionato il sondaggio insieme a Nuova Ecologia e Kyoto Club, spiega che si tratta di «un’avversione su cui pesano la percezione dei rischi correlati e i costi nascosti, e che fa il paio con quella che i cittadini hanno espresso sulla distanza minima che dovrebbe avere un impianto nucleare dalla propria abitazione: il 41% non lo vorrebbe in nessun caso.
L’effetto Nimby si riflette anche tra coloro che sono aperti a valutare un ritorno a questa tecnologia: solo il 18% sarebbe disposto ad accettare la costruzione di un sito a una distanza minima di dieci chilometri dalla sua abitazione, mentre il 20% non lo vuole per nulla.
A chiudere il cerchio dei dati raccolti sull’energia nucleare, quello che fa riferimento alla stima temporale dei benefici: secondo il 43% del campione il rientro dall’investimento si avrà dai 20 anni in su o addirittura non ci sarà, in quanto i costi per produrre questo tipo di energia sono incalcolabili».
Il vicepresidente di Kyoto Club Francesco Ferrante commenta: «E’ abbastanza impressionante il dato sulle opinioni dei cittadini sul nucleare.
Dopo mesi di campagna martellante sui media e social di qualche grande azienda e di una parte importante della politica, tesa a promuovere il ”ritorno” del nucleare nel nostro Paese, i nostri concittadini confermano la loro contrarietà, e anzi risulta aumentata la percentuale di coloro che non la considerano un’opzione valida.
D’altronde basterebbe vedere i costi delle ultime centrali nucleari in costruzione in Europa (da Flamanville in Francia a quella di Hinkley Point nel Regno Unito) per rendersi conto che il nucleare, oltre a portare con sé gli storici problemi di pericolosità e di incapacità di smaltimento delle scorie, sarebbe anche antieconomico.
Già con il referendum abrogativo del 2011 salvammo l’Enel da un’avventura che l’avrebbe messa in ginocchio, come è successo ai cugini francesi che sono falliti e poi salvati dallo Stato, il quale deve anche difendere la sua force de frappe.
Per fortuna gli italiani non si fanno incantare da sirene nucleariste e giustamente puntano sulle rinnovabili».
E lo scollamento tra le politiche fossili energetiche e parte anche dell’elettorato di destra emerge anche dal fatto che «il 64% di coloro che non sono d’accordo al definanziamento del fondo automotive previsto nella legge di Bilancio a favore del settore difesa – dice il rapprto Ipsos – Tra questi il 39% del campione preferirebbe vedere confermato il fondo automotive o alternativamente lo spostamento degli investimenti su altri settori industriali».
Il quadro su cosa pensano gli italiani sui temi energetici e su quale ritengano sia la strada giusta per garantire sicurezza e stabilità energetica senza trascurare la sostenibilità ambientale si chiude con il focus sulla transizione verso le fonti rinnovabili: «L’85% degli italiani associano le fonti rinnovabili alla sostenibilità ambientale, e rispetto al dato sui tempi di attesa per trarre vantaggio dall’investimento, il 44% ritiene che i benefici ci saranno entro dieci anni».
Per il 52% degli italiani la transizione energetica verso le fonti pulite permetterebbe al Paese di ridurre la dipendenza dai paesi esteri produttori di fonti fossili.
Se si sposta il focus dalla transizione energetica alle energie rinnovabili, il vantaggio di avere maggiore indipendenza dalle importazioni estere (35%) si affianca alla riduzione del costo energetico, avvertito come un ulteriore effetto positivo dal 37% degli italiani, e alla possibilità di autoprodurre la propria energia (35%).
Tra gli svantaggi legati alla transizione energetica, il 41% annovera i costi iniziali elevati per la riconversione/installazione dei sistemi di produzione di energie per cittadini e imprese.
Nonostante questo, il 58% è concorde che la transizione energetica sarà conveniente.
Anche la conoscenza e l’opinione sulle Comunità energetiche rinnovabili (CER) trovano spazio tra i contenuti dell’indagine Ipsos rivelando quanto ancora sia necessario lavorare sull’educazione al tema: solo 14% degli italiani dichiara di sapere cosa siano le CER.
Nonostante la scarsa conoscenza, il 76% le giudica una opportunità nazionale e/o locale in grado di rivoluzionare il futuro della produzione di energia. Tuttavia, emerge anche il timore che la burocrazia possa ostacolare il loro sviluppo e diffusione, vanificandone il potenziale (27%).
Il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, conclude: «Il contributo sempre più residuale dell’atomo per produrre elettricità nei prossimi decenni nel mondo è dovuto ai costi esorbitanti di questa tecnologia, sempre maggiori a quelle delle rinnovabili in tutti i continenti, come risulta chiaramente nei rapporti di una fonte non ambientalista come l’Agenzia Internazionale dell’Energia.
Le imprese nel mondo stanno investendo quasi esclusivamente in impianti a fonti pulite: lo scorso anno, secondo i dati di IRENA, in tutto il mondo, gli impianti a fonti rinnovabili hanno rappresentato l’86% della nuova potenza installata per produrre elettricità, mentre quelli a fonti fossili e gli impianti nucleari hanno contribuito solo per il 14%.
Basterebbero questi pochi dati per non riaprire in Italia una discussione che pensavamo di aver chiuso, per ben due volte, con il voto referendario del 1987 e 2011.
Il nucleare è morto, e non siamo stati noi ambientalisti ad ucciderlo, ma un killer insospettabile: il libero mercato.
Ne prenda atto il governo italiano».
(Articolo pubblicato con questo titolo il 28 novembre 2024 sul sito online “greenreport.it”)