
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Sul teatrino della politica con la presentazione del “Rapporto consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici 2025” va in scena l’ennesima manifestazione di stupore, annuale anch’essa come i rapporti dell’Ispra, l’ennesimo “bla bla logorroico e ipocrita” della politica, incapace di pronunciare la parola “stop” al consumo di suolo, ora, subito, senza se e senza ma.
Riavvolgendo il nastro della nostra indifferenza è da almeno 15 anni che ci voltiamo dall’altra parte.
Siamo in piena crisi demografica e si continua a lottizzare: questo significa che per ogni nuovo appartamento ne resta uno vuoto .
Già nel 2011 i dati del censimento Istat elaborati dall’Osservatorio sui Laboratori Territoriali mostravano come in Italia il suolo edificato era raddoppiato in vent’anni, gli alloggi inutilizzati erano aumentati del 350% in dieci anni e, in pratica, il 25% degli alloggi era vuoto mentre 2,3 milioni di famiglie non potevano permettersi una casa.
Con il censimento ISTAT del 2019 il numero delle abitazioni non utilizzate era salito a 10 milioni pari al 29,73% delle case presenti sul territorio nazionale.
L’Ispra nel Rapporto 2022 certificava poi come era di 310 kmq la superficie occupata da edifici non utilizzati.
E’ in questo quadro nazionale che si inserisce la negatività del primato del Veneto.
Il Veneto è la regione che ha la maggiore superficie di edifici (immobili con varie destinazioni) rispetto al numero di abitanti: 147m2/ab (rapporto Ispra 2022).
Se si considera il consumo di suolo comprensivo di tutte le superfici artificiali che hanno perso la loro naturalità, il Veneto è la regione che ha il maggiore consumo di suolo rispetto al numero di abitanti: 448,13 mq/ab contro una media nazionale di 364 mq/ab(rapporto Ispra 2022).
In Veneto, anche le maggiori associazioni ambientaliste dinanzi a tale “compulsiva malattia da cemento” propongono pannicelli caldi.
La loro proposta è di limitare a 350 ettari l’anno il suolo consumabile da qui al 2050 e assumendo l’impianto concettuale della nefasta legge regionale con le sue classificazioni e le sue categorie astruse e distrattive dall’emergenza suolo (ambiti di urbanizzazione consolidata, Sportello Unico per le Attività Produttive, accordi di programma, ecc.) ed omettendo gravemente la connessione con gli obblighi dell’articolo 8 e dell’articolo 13 della NRL (legge europea per il ripristino della natura) che fissa al 31 dicembre 2030 (non il 2050) il termine per fermare il consumo di suolo e poter piantarci una quota di quei 3 miliardi di alberi previsti dalla NRL anche per la riforestazione dei centri urbani.
Come non fosse possibile applicare una “moratoria sul nuovo consumo di suolo” per dare il tempo agli enti locali di censire gli enormi volumi di cemento e asfalto da riadattare, riconvertire e perfino decementificare per rinaturalizzare quel che si può.
E’ sconcertante la mancanza di coraggio, politicamente bipartisan, nel proporre una terapia d’urto, nel mandare all’economia un segnale di discontinuità per proporre di creare lavoro attraverso un’economia del riciclo applicata al patrimonio edilizio e infrastrutturale, attraverso un’economia della manutenzione ed efficientamento energetico di immobili civili e industriali, attraverso la messa in sicurezza da frane e dissesto idrogeologico di piccole e grandi infrastrutture.
Come non fosse possibile modificare i piani attuativi della pianificazione urbanistica, come se questi si potessero variare solo per aumentare il consumo di suolo e non per diminuirlo.
Non c’è niente da fare anche gli ambientalisti non riescono a concepire lo stop al consumo di suolo, preferiscono nascondersi dietro la foglia di fico della rigenerazione urbana.
Un processo rigenerativo greenwashing che fino ad oggi è stato governato dalla rendita fondiaria e ha riguardato i centri urbani maggiori attraverso una rigenerazione urbana che si è accompagnata alla congestione urbanistica e alla gentrificazione delle città.
Eh sì, è troppo impegnativo attuare una politica di riqualificazione urbanistica e sociale (servizi sociali, di trasporto, servizi sanitari, servizi di comunità e cooperativi, ecc.) per il ripopolamento dei piccoli centri urbani e dei borghi che si stanno svuotando e dove aumenta l’edificato inutilizzato.
Dopo l’ennesimo rapporto Ispra non è più solo “maledetta ignoranza”: consumare suolo è un consapevole e strisciante “crimine ambientale” che gode di una illimitata prescrizione del reato ed è immorale perché priva le future generazioni di un bene primario.
Schiavon Dante
