Cos’è un credito di carbonio?
Un credito è equivalente a 1 tonnellata di CO2: l’acquisto da parte di qualcuno dei crediti rende possibile evitare di emettere o assorbire le tonnellate di CO2 che gli corrispondono.
I mercati dei crediti di carbonio sono sostanzialmente due, quello obbligatorio e quello volontario.
Il primo è un meccanismo imposto da alcuni governi, nel nostro caso dall’Unione Europea, che impone ad alcuni settori industriali di ridurre anno dopo anno le loro emissioni di CO2: questo può essere fatto con interventi sul ciclo produttivo, per esempio dotandosi di un impianto fotovoltaico per autoprodurre l’energia necessaria, sia acquistando dei crediti di carbonio messi a disposizione da chi non ha emesso.
L’INCHIESTA DI THE GUARDIAN, Die Zeit e Source International mette il dito nella piaga del mercato volontario, dove chi decide di acquistare i crediti lo fa, appunto, volontariamente: aziende grandi e piccole che per scelta di responsabilità o spinti dalla domanda del mercato vogliono essere carbon neutral.
Questo acquisto, per le aziende, avviene sempre dopo aver fatto un’analisi dell’intera carbon footprint e aver identificato un percorso per la riduzione delle emissioni tramite interventi strutturali sui processi, sui trasporti, fino agli uffici e alle buone prassi per i dipendenti (per esempio incentivando l’uso dei mezzi pubblici o evitando l’aereo per viaggi a corto raggio).
Le aziende poi acquistano i crediti di carbonio, anche con spese piuttosto onerose, per realizzare la compensazione delle emissioni difficilmente eliminabili.
L’INCHIESTA SOLLEVA UNA POLEMICA non nuova: il rischio Greenwashing che si nasconde dietro l’etichetta carbon neutral di aziende e prodotti acquistata tramite progetti di compensazione delle emissioni di anidride carbonica, in particolare quelli legati a progetti di tutela delle foreste REDD+, che sono progetti NBS (Nature Based Solutions) orientati alla conservazione e tutela delle foreste da degrado ambientale e da deforestazione antropica.
I crediti di carbonio possono essere generati anche con altre modalità, che dall’inchiesta sono state escluse: progetti energetici finalizzati alla diffusione di impianti di generazione di energia pulita e di impianti di trasformazione energetica basate su biomasse o su cicli efficienti, progetti di potabilizzazione dell’acqua, gestione sostenibile dei rifiuti, agricoltura sostenibile.
NICOLA BAGGIO, FONDATORE e amministratore di OffgridSun, impresa specializzata in fotovoltaico non connesso dalla rete, responsabile di progetti in paesi in via di sviluppo certificabili in termini di crediti di carbonio, fa questo esempio: «Un modo per generare crediti di carbonio è anche quello di fornire acqua pulita nei paesi poveri mediante pozzi o acquedotti.
Senza tali infrastrutture, le popolazioni dovrebbero bollire l’acqua per eliminare germi e batteri, bruciando in modo inefficiente grandi quantità di legna.
Nel mondo lo fanno ancora 2,5 miliardi di persone».
IL MERCATO DEI CREDITI DI CARBONIO è ancora insignificante sul piano internazionale, ma in continua e costante crescita.
America Latina e Africa sono le zone geografiche dove viene sviluppata la maggior pare dei progetti nature-based, e secondo i dati raccolti nei registri volontari delle compensazioni, nel giro di 10 anni hanno aumentato rispettivamente del 54 % e dell’80% il numero di tonnellate di anidride carbonica equivalente.
Per quanto riguarda i crediti certificati da Verra, il mese di febbraio del 2023 è stato il quarto con più transizioni della storia, circa un terzo delle quali relative a progetti REDD+.
IL MECCANISMO DI GENERAZIONE dei crediti di carbonio è una questione complessa e il mercato che ne deriva, in quanto appunto mercato, non è immune da propaganda e manipolazioni.
Lucio Brotto è socio fondatore di Etifor, azienda di consulenza privata spin off dell’Università di Padova specializzata in consulenza, progettazione, ricerca e formazione in ambito ambientale, che nella filiera del mercato dei crediti assume il ruolo di sviluppatore di progetti di tutela forestale.
A suo parere un punto di debolezza del sistema risiede nella non definizione di quanto una azienda deve ridurre e di quanto può compensare, che permette a un’azienda, per esempio, di compensare e basta e non di ridurre.
SU TALE ASPETTO STANNO INTERVENENDO sia l’Unione Europea che un insieme di organizzazioni internazionali radunate sotto la sigla Science based target initiative, che vogliono imporre alle aziende di definire chiaramente quando e come ridurre e fino a che punto possono agire sulla riduzione, prima di passare al meccanismo della compensazione, che a un’azienda può risultare più economico.
Un’altra criticità, che è quella sui cui si concentra l’inchiesta, è il calcolo delle tonnellate di anidride carbonica evitate/assorbite.
IL PROBLEMA GROSSO, CONTINUA Lucio Brotto, è rappresentato dal fatto che spesso questi progetti di protezione delle foreste esistenti si sviluppano su scale enormi, da centomila a 2 milioni di ettari, e il prezzo dei crediti è arrivato ad essere ridicolo, anche di soli 0,50 cent.
Un prezzo che non corrisponde certamente al valore di un pezzo di foresta che assorbe una tonnellata di anidride carbonica.
«Una foresta non è fatta per fare crediti di carbonio, ma molto altro.
Fornisce acqua, cibo, combustibile, mentre il sistema dei crediti la valuta solo per uno dei suoi tanti valori».
La pensa allo stesso modo Nicola Baggio: «Più grandi sono i progetti, più il rischio di errori (fatti o meno in malafede è da dimostrare) è elevato.
Questo è un tema noto da anni, e il mercato ne è ben conscio: infatti il valore di 1 tonnellata di CO2 assorbita da un progetto di forestazione è molto più basso del valore della stessa tonnellata evitata per esempio con un progetto di accesso all’acqua o di cucine migliorate».
SECONDO NICOLA BAGGIO L’INCHIESTA contribuirà soprattutto a far sì che gli enti certificatori siano più attenti nei loro processi di verifica dei progetti, che peraltro avvengono annualmente e coinvolgono ulteriori enti terzi di certificazione.
«Il sistema dei crediti di carbonio è l’unico meccanismo di finanza privata che riduce le emissioni nei paesi in via di sviluppo, senza di esso moltissimi progetti non si potrebbero fare».
(Articolo di Serena Tarabini, pubblicato con questo titolo il 9 marzo 2023 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)
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