Tra le molte declinazioni del sovranismo contemporaneo, eccoci ora al sovranismo eno-gastronomico, che trova realizzazione nella nuova legge della Regione Lombardia sugli agriturismi.
In sintesi, l’obiettivo è che negli agriturismi si arrivi a servire l’80% di prodotti lombardi e il 100% di vini lombardi e pesce lombardo.
Nelle intenzioni dell’assessore regionale Fabio Rolfi «gli agriturismi lombardi saranno le vetrine di eccellenza del nostro territorio e del nostro agroalimentare».
Colpisce il consenso che sembra circondare la nuova normativa lombarda in ossequio apparente allo spirito dei tempi.
Eppure cibo e vino sono cose troppo serie per essere lasciate ai capricci della retorica sovranista.
Vi sono infatti molti aspetti che non convincono e che meritano una seppur breve riflessione.
Primo: vetrina di che cosa?
Le identità gastronomiche sono locali, non regionali, specie in una grande e variegata regione come la Lombardia.
Mi spiego meglio.
Se sono in un agriturismo della Valtellina, un piatto o un vino della Bassa Mantovana sono probabilmente altrettanto “fuori luogo” di un cacciucco alla livornese.
Però ora saranno espressione legittima della nazione gastronomica.
Secondo: in una regione con una grande industria agro-alimentare, cosa significa “cibo lombardo”?
una mozzarella o un würstel prodotti in Lombardia come saranno catalogati?
Terzo: perché un’imposizione per legge invece di un marchio di qualità e di denominazione d’origine, ben tutelato e professionalmente promosso?
Il dubbio è legittimo specie in un’epoca in cui il consumatore ha ampie possibilità di informarsi sui vari Tripadvisor e reti sociali e può tutelarsi da solo, con la sua libera scelta di mercato.
E allora, se il turista sprovveduto si fa servire fritto misto surgelato e frizzantini di dubbia provenienza, è veramente necessario mandare le guardie regionali a salvarlo?
Intanto, mentre a tavola sventola la bandiera della nazione lombarda, la stessa legge apre alla industrializzazione dell’agriturismo, alzando il numero massimo di posti letto da 60 a 100!
Altro che attività non prevalenti di imprenditori agricoli; piuttosto veri e propri complessi alberghieri in contesto rurale.
Anche dietro al sovranismo eno-gastronomico fa capolino non lo Stato dell’interesse collettivo, ma lo statalismo ipocrita di tutela degli interessi particolari.
(Articolo di Nicola Bellini, pubblicato con questo titolo il 21 giugno 2019 sul sito online “greenreport.it”)