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Rodolfo Bosi
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Home Approfondimenti

Il troppo caldo sta soffocando la vita nel mare

11/06/2022
in Approfondimenti, Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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La crisi climatica espone mari ed ecosistemi costieri a condizioni mai verificatesi negli ultimi 11 mila anni, che vanno ben oltre la capacità di adattamento degli organismi marini.

Il livello medio del mare è aumentato più velocemente a partire dal 1900 che in ogni secolo precedente degli ultimi tremila anni.

Le ondate di calore marine sono raddoppiate in frequenza negli ultimi 40 anni.

Nel periodo 2011-2020, l’estensione dell’area di ghiaccio marino artico ha raggiunto il livello più basso dal 1850: alla fine dell’estate è stata inferiore a qualsiasi altro periodo degli ultimi mille anni.

Il fenomeno del ritiro dei ghiacciai a partire dagli anni ’50 è senza precedenti negli ultimi 2 mila anni.

Questi alcuni degli impatti dei cambiamenti climatici sul mare secondo il Sesto rapporto di valutazione dell’IPCC, la summa delle conoscenze sul clima basata sulla valutazione di articoli e studi scientifici di migliaia di scienziati in tutto il mondo.

La temperatura media dei mari è aumentata di 0,88°C nel periodo 2011-2020 rispetto al 1850-1900: l’acqua del mare si scalda un po’ meno della superficie terrestre (1,59°C), ma gli effetti non sono meno evidenti ed inoltre si sommano ad altri problemi ambientali come l’acidificazione delle acque, che è conseguenza diretta dell’aumento delle concentrazione di CO2 in atmosfera, e ad ulteriori stress non riconducibili al clima, come la degradazione degli habitat in seguito all’inquinamento, l’eccessivo sfruttamento delle risorse ittiche, l’eutrofizzazione, la de-ossigenazione, l’introduzione di specie aliene, ecc.

Tra gli effetti più allarmanti del caos climatico c’è l’aumento del livello medio del mare cresciuto di 20 cm nel periodo 1901-2018, con un tasso medio annuo di 1,3 mm tra il 1901 e il 1971.

Andando a misurare l’aumento negli ultimi 16 anni, si vede quanto il fenomeno stia accelerando, con il tasso medio annuo che ha raggiunto i 3,7 mm, quasi triplicato.

Sono i principi della fisica a spiegare l’aumento del livello del mare, determinato per il 50% dal fenomeno dell’espansione termica dell’acqua marina che, con l’aumento della temperatura aumenta il suo volume.

Il resto è dovuto per il 22% alla fusione dei ghiacciai, per il 20% alla fusione delle calotte polari e per 8% a cambiamenti nelle riserve di acqua sulla terra.

LE PROIEZIONI E I MODELLI MATEMATICI ci dicono che il livello medio del mare continuerà ad aumentare inesorabilmente nel corso del XXI secolo e nei secoli futuri, probabilmente per millenni, perché gli strati profondi degli oceani reagiscono molto lentamente ai cambiamenti ambientali: il meccanismo è innescato e sarà più o meno veloce al variare delle emissioni di CO2 nell’atmosfera.

Rispetto al 1995-2014, l’aumento viene stimato in 28-55 cm entro il 2100 se riusciremo a tagliare nettamente le emissioni e in 63-101 cm nello scenario di emissioni più elevato (37-86 cm e 98-188 cm nei due scenari entro il 2150).

Nel lungo termine, il livello del mare è destinato ad aumentare per secoli a causa del continuo riscaldamento profondo degli oceani e dello scioglimento delle calotte glaciali, e rimarrà elevato per migliaia di anni.

Nei prossimi 2000 anni, il livello medio globale del mare potrebbe aumentare di circa 2-3 m se il riscaldamento sarà limitato a 1,5°C e di 2-6 m se sarà limitato a 2°C.

LE ONDATE DI CALORE CHE SPERIMENTIAMO regolarmente in città si verificano anche nei mari: si tratta di periodi in cui l’acqua del mare raggiunge temperature estreme rispetto alla media di lungo periodo. Possono durare da giorni a mesi ed avere gravi conseguenze per gli ecosistemi.

Nel corso del XX secolo le ondate di calore marine si sono intensificate: dagli anni Ottanta non solo hanno raddoppiato la loro frequenza ma sono diventate più intense e di maggiore durata.

Quando durano da settimane a diversi mesi espongono specie ed ecosistemi a condizioni ambientali letali.

Eventi di mortalità di massa si sono verificati in ogni tipo di ecosistema marino, incluse barriere coralline, litorali rocciosi, foreste di kelp (un tipo di alga), di mangrovie, nell’oceano Artico come nei mari semi-chiusi come il Mediterraneo.

Nel Nord America (2013-16) e sulle coste orientali dell’Australia (2015-16, 2016-17 e 2020) eventi ampiamente documentati hanno causato bruschi impatti, ovvero perdita di biodiversità, collasso di attività di acquacoltura e di zone di pesca associate ad una ridotta capacità di alcune specie di proteggere le coste dall’erosione.

GLI EFFETTI SULLA BIODIVERSITÀ MARINA sono già ben evidenti: molti organismi marini, in particolare pesci e mammiferi, sono emigrati verso i poli in cerca di condizioni di vita più favorevoli.

Dal 1950 si osserva uno spostamento medio di 15,5 km ogni decade, con notevoli variazioni a seconda delle zone e delle specie, con conseguente necessità di delocalizzare le attività legate alla pesca.

Il cambio delle temperature, inoltre, determina un incremento della diffusione di patogeni marini (vari ceppi di vibrione) pericolosi anche per l’uomo e il bioaccumulo di tossine e contaminanti nella catena alimentare marina.

Il mare del futuro non sarà più quello del periodo pre-industriale, su questo c’è certezza da parte della comunità scientifica.

Con l’aumento di 2°C della temperatura globale entro il 2100 il rischio di estinzione di specie e il collasso di interi ecosistemi aumenta rapidamente; allora la tempistica dei cicli vitali si sarà alterata di una ventina di giorni (in anticipo o in ritardo) con il rischio che la fioritura del plancton non coincida più con la stagione di riproduzione dei pesci, con conseguente rischio di perdita di biodiversità che non verrebbe compensata dallo spostamento di alcune specie a latitudini più alte.

UN PROCESSO DI ADATTAMENTO ai cambiamenti innescati dal caos climatico è già in atto: se riusciremo a mantenere basse le emissioni di CO2 in linea con l’Accordo di Parigi, abbiamo a disposizione un’ampia serie di azioni efficaci e basate sulla natura (riqualificazione di habitat, conservazione, sistemi di allarme precoce nel caso di eventi estremi, ecc) che sono non solo economicamente sostenibili, ma possono portare a benefici multipli.

Tuttavia la loro efficacia declina nel tempo se non saranno affiancate da misure urgenti di mitigazione, cioè taglio delle emissioni.

Negli scenari a più alte emissioni, invece, serviranno azioni di adattamento molto radicali e impattanti, oltre che estremamente complesse e costose, come infrastrutture artificiali per la protezione delle coste, programmi di migrazione ed evoluzione assistita, migrazione delle persone e ricollocazione degli insediamenti umani, dalla fattibilità e dagli esiti quanto mai incerti.

(Articolo di Daniele Passeri, pubblicato con questo titolo il 9 giugno 2022 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)

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