Il poligono militare di Capo Teulada, il secondo più grande d’Italia dopo quello di Quirra, sempre in Sardegna, è stato utilizzato per più di 70 anni senza che gli apparati militari si ponessero il problema del risanamento di aree bersagliate da proiettili, granate, bombe, razzi, missili.
Men che meno se lo sono posto in relazione al fatto che pochi anni dopo l’apertura del Poligono, venisse istituito un Sic (Sito di Importanza Comunitaria per la conservazione di habitat e specie) il cui territorio ricade per il 90% nel demanio militare.
SOLAMENTE IN RELAZIONE all’apertura di un’inchiesta della procura di Cagliari per disastro ambientale sono partiti i primi interventi, in particolare all’interno della cosiddetta penisola Delta, area corrispondente a un ventesimo circa dell’estensione del poligono predisposta all’arrivo colpi, dove secondo il rapporto dell’esercito (Operazione Pasubio) vengono raccolti, solo fra il 2017 e 2018, 171 quintali di residuati bellici e rilevati 13 superamenti dei valori di arsenico e piombo.
La perizia tecnica dei consulenti nominati dal Gup contemporaneamente ha constatato che, nonostante la grave situazione di inquinamento e degrado irreversibile del territorio, alcuni habitat e specie protetti da direttive europee avevano resistito, come i sistemi dunali, le praterie di Poseidonia e alcuni rettili ed uccelli prioritari.
Di conseguenza, secondo il piano di gestione dei Sic, l’area deve essere bonificata.
Obbligo di cui gli apparati militari si stanno preoccupando solo ora, cominciando col presentare a dicembre una richiesta di Valutazione di Incidenza Ambientale (tipologia di valutazione che si applica agli impatti di un intervento sulla biodiversità) per un progetto di bonifica della Penisola Delta.
L’INCHIESTA DEL 2014 che ha portato all’imputazione per omicidio e lesioni colpose, era partita dalla denuncia di alcuni residenti che attribuivano le patologie tumorali di cui erano affetti alle attività del poligono; e anche oggi è l’attenzione e la vigilanza della società civile a far arrivare i nodi al pettine.
Quella che dovrebbe essere un’operazione auspicabile, la bonifica di un territorio, viene contestata da Italia Nostra Sardegna, Cagliari Social Forum, Usb Sardegna, Cobas Cagliari, Madri contro la repressione, che la denunciano come un’operazione di facciata, il cui vero e unico fine, per altro ben esplicitato nella richiesta, è quello di riprendere i bombardamenti sospesi nel 2017 a causa dell’inchiesta.
La relazione inoltre è contraddittoria, omissiva e superficiale dicono le associazioni: vaghi gli interventi previsti, esclusi completamente dall’intervento i fondali marini, ignorato del tutto l’inquinamento di tipo radiologico e il campionamento di matrici biologiche, sottovalutati, non rilevati o dimenticati habitat e specie protette.
UN PROGETTO CHE DEFINISCE «non mitigabili» alcune conseguenze della bonifica (gli ordigni inesplosi in alcuni casi vengono fatti brillare sul posto, ad esempio) quando la Vinca serve proprio a suggerire mitigazioni e compensazioni a un intervento, altrimenti quell’intervento semplicemente non si può fare.
Su tutte le palesi criticità della relazione presentata dai militari le associazioni si preparano a consegnare puntuali osservazioni secondo quanto previsto dalla normativa; ma la criticità principale rimane quella della assoluta incompatibilità fra le esercitazioni militari e la conservazione di specie ed habitat.
Ragion per cui l’unico intervento possibile resta la smilitarizzazione quantomeno di quella parte del poligono che coincide con la Zona Speciale di Conservazione Isola Rossa e Capo Teulada, e un piano di bonifica reale.
(Articolo di Serena Tarabini, pubblicato con questo titolo il 19 gennaio 2023 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)
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