Lo scorso 28 febbraio, la A.Co.S l’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali di Roma Capitale ha presentato in Capidoglio i risultati della XIV Indagine sulla Qualità della Vita e dei Servizi Pubblici Locali a Roma.
Secondo quanto è emerso dall’indagine i cittadini romani percepiscono la qualità dei servizi di mobilità e di igiene urbana in costante peggioramento, mentre per altri servizi la percezione in alcuni casi migliora.
In particolare, l’emergenza rifiuti è diventata “la madre” di tutte le questioni ambientali irrisolte che impattano e influenzano la qualità della vita dei nostri concittadini.
È una storia lunga e controversa quella del rapporto fra Roma e il suo ciclo dei rifiuti.
Una storia a volte anche segnata da risvolti giudiziari inquietanti e da numerosi fallimenti, spesso border line fra politica e malaffare.
La gestione dei rifiuti di Roma è stata ostaggio degli interessi morbosi di qualche imprenditore con pochi scrupoli.
Quasi sempre è stata il terreno fertile su cui i partiti hanno costruito le proprie campagne elettorali.
Poco più di un anno fa l’allora amministratore unico di Ama Stefano Zaghis, espressione diretta della giunta Raggi, (poi sostituito da Angelo Piazza dal sindaco Gualtieri) aveva smantellato il sistema della raccolta differenziata spinta investendo risorse economiche considerevoli a favore del ritorno alla raccolta stradale.
L’obiettivo di quella manovra era puntare esclusivamente alle frazioni dell’organico e dell’indifferenziato che servono ad alimentare biodigestori e termovalorizzatori, con buona pace delle promesse elettorali della sindaca pentastellata.
Poco o nulla è cambiato da questa strategia con la giunta Gualtieri.
I comitati e le associazioni di cittadini che da anni si battono per rendere sostenibile il ciclo dei rifiuti a Roma e che avevano sperato in un cambio di passo si sono dovuti ricredere e sono tornati sul piede di guerra.
Infatti, con due delibere approvate ad inizio febbraio, la giunta capitolina ha approvato i progetti che Ama presenterà per partecipare ai bandi del PNRR.
I progetti prevedono due biodigestori (per il trattamento della frazione umida), due impianti multimateriale e otto nuovi centri di raccolta (isole ecologiche).
Il tutto per un ammontare di 193 milioni di euro provenienti per lo più dai finanziamenti del PNRR.
Ma l’opposizione dei comitati e dei cittadini più direttamente coinvolti nei progetti si focalizza principalmente sui megaimpianti di trattamento dei rifiuti e sulla connotazione “bio” data ai due digestori anaerobici di Casal Selce , Cesano e più recentemente anche a Fiumicino, che dovrebbero trasformare l’umido in gas e “compost” tramite un processo detto appunto di digestione anaerobica.
Contrari a questa scelta anche alcuni esponenti della maggioranza, come il consigliere dei Verdi Ferdinando Bonessio.
Il 27 febbraio scorso i cittadini e i comitati impegnati sulla questione rifiuti si sono incontrati presso il Centro Spin Time per un convegno che ha delineato le motivazioni scientifiche alla base della contrarietà ai biodigestori anaerobici e per definire le azioni da intraprendere a tutela dei territori interessati, fra cui anche un presidio al Campidoglio che ha avuto luogo il 10 marzo scorso.
È emerso che il processo di digestione anaerobica (strumentalmente definito “bio”) ha in realtà ben poco di biologico e determina, al contrario, impatti ambientali di notevole entità.
Secondo gli studi condotti dal Prof. Gianni Tamino del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, il processo di metanizzazione dei digestori anaerobici produce appena il 10% di gas, una parte della quale serve ad alimentare l’impianto stesso.
Un livello di Resa Energetica in rapporto alla Energia Investita (EROI – Energy Return On Investment) che, secondo il biologo Giuseppe Zicari non arriva alla soglia critica della sostenibilità economica pari almeno a 3.
Quello del biogas è infatti pari a 1,2, mentre per l’energia eolica l’EROI è pari a 5 e può arrivare fino a 7 per il fotovoltaico.
Tolto il 10 per cento di gas, il restante 90 per cento del materiale introdotto nell’impianto (sempre secondo lo studio del Prof. Tamino) non è compost, ma “digestato”, un materiale fangoso privo di carbonio e ricco di azoto nocivo per la terra e per gli allevamenti.
Per essere utilizzato come compost dovrebbe essere trattato in impianti aerobici di compostaggio, eventualmente con altri materiali.
Ciò assimila a tutti gli effetti il digestato a un rifiuto.
Inoltre, il processo determina considerevoli impatti ambientali in termini di produzione di polveri sottili, rumori, emissioni odorigene, emissioni climalteranti dovute agli spostamenti effettuati da grandi mezzi di trasporto da e verso gli impianti di centinaia di tonnellate di rifiuti e fusti di gas ogni anno.
Tale processo sembra insostenibile dal punto di vista ambientale anche in termini di impronta idrica.
Secondo uno studio dell’Arpa Piemonte, un impianto di digestione anaerobica impiega un metro cubo di acqua (ossia una tonnellata) ogni 5 tonnellate di rifiuti organici in ingresso.
Tutto questo si traduce in una bocciatura del cosiddetto biometano in quanto non è un metodo economico e neppure pulito, ma soprattutto non è ascrivibile alla economia circolare che dovrebbe essere l’elemento qualificante su cui si fonda la transizione ecologica prevista dal PNRR.
L’economia circolare, infatti, si basa su sistemi naturali che utilizzano il sole quale fonte di energia esterna e un continuo riciclo della materia senza produzione di rifiuti o combustione.
La scelta che anche il Comune di Roma ha adottato di una strategia dei grandi impianti e del trattamento dei rifiuti basato sulla combustione é figlia di una politica degli incentivi distorta che favorisce il recupero di energia (incenerimento e produzione di energia elettrica attraverso la combustione di biomasse e biogas) a danno del recupero di materia che garantisce invece la circolarità del ciclo economico.
Lo sviluppo tecnologico raggiunto nel campo delle fonti di energia rinnovabili porta ad essere il fotovoltaico, l’eolico e l’idroelettrico la prima opzione nella scelta delle fonti energetiche.
In alternativa a questa strategia, i comitati, le associazioni, primo fra tutti il Movimento Legge “Rifiuti Zero” puntano sull’avvio di una vera economia circolare che nello specifico della gestione dei rifiuti significa trasformare i rifiuti in risorse.
Un percorso che si basa su elementi che non sono solo logistica e impianti, ma che prevedono un coinvolgimento diretto delle persone in un vero e proprio cambio di quel paradigma culturale che associa il rifiuto ad uno scarto del quale ci si deve in qualche modo liberare.
Per questo è importante puntare su un rifiuto differenziato di qualità attraverso il coinvolgimento attivo della popolazione e su una strategia basata sulle linee guida fondamentali della strategia Rifiuti Zero:
Ridurre la produzione dei rifiuti;
Riusare i beni materiali recuperabili;
Riciclare i rifiuti trasformandoli in materie prime seconde.
Tale strategia per Roma, tradotta in azioni concrete, si dovrebbe articolare sui seguenti punti:
1. raccolta differenziata spinta porta a porta domiciliare o condominiale obbligatoria e adottata contemporaneamente in tutti i Municipi della città;
2. realizzazione di piccoli impianti ipoteticamente a livello municipale, tralasciando quelli di particolare rilevanza turistico-economica, come il I e il II Municipio. Questa impostazione oltre a garantire una “diluizione” degli impatti, rispetta il principio di “prossimità” o di “autosufficienza territoriale” secondo il quale il rifiuto deve essere trattato in impianti ubicati vicino ai luoghi di produzione degli stessi. L’esatto opposto dei megaimpianti che concentrano in un territorio limitato gli impatti ambientali di rifiuti prodotti altrove, generando effetti negativi sulla salute pubblica e contrapposizioni laceranti nel tessuto sociale.
La progettazione degli impianti deve essere ispirata al principio del recupero dei materiali e basati:
- sulla digestione aerobica a freddo (senza combustione) per la frazione organica provenienti dalla raccolta differenziata di qualità, in grado di produrre compost pronto all’uso;
- sul sostegno alla creazione di una rete di centri dedicati al riciclo dei materiali recuperati;
- sulla Individuazione, attraverso la partecipazione e la responsabilizzazione delle comunità locali di aree dove collocare piccole aree di raccolta rifiuti residuali.
L’11 marzo la procura di Velletri ha sequestrato e chiuso la discarica di Albano Laziale, che accoglieva quotidianamente tra le 800 e le 1000 tonnellate di rifiuti non differenziati di Roma (per il 95 per cento) e Provincia, a causa di una irregolarità nelle procedure di fidejussione dell’impianto.
Questa decisione determinerà, in tempi brevissimi, un ulteriore peggioramento della già compromessa situazione dei rifiuti a Roma e dimostra come l’assenza di una gestione sostenibile e corretta del ciclo urbano dei rifiuti ponga lo stesso in una condizione di costante emergenza.
Lo sviluppo di una strategia complessiva che superi la logica del “tappa buchi” da un lato, ma che rispetti i principi di sostenibilità ambientale ed economica dall’altro, ha bisogno di una assunzione di responsabilità forte da parte della politica.
È necessario uscire dalla orbita di influenza dei gruppi di potere che da sempre influenzano l’enorme business dei rifiuti nella nostra città (oltre 10 miliardi di euro l’anno), una comfort zone che i cittadini romani pagano con una delle tasse sui rifiuti più onerose in ambito nazionale a fronte di un servizio fra i peggiori in assoluto.
(Articolo di Luigi Di Paola, pubblicato con questo titolo il 4 aprile 2022 sul sito online “comune.info”)
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