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Rodolfo Bosi
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Home Approfondimenti

L’eterna promessa della destra sul nucleare: Salvini, se vinciamo la prima centrale in 7 anni

11/08/2022
in Approfondimenti, Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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A margine di una visita alla sede di Telefono donna all’Ospedale Niguarda, Matteo Salvini è tornato ieri a spandere promesse sul nucleare, ormai un classico italiano per la destra in campagna elettorale.

Secondo il leader della Lega passa dall’atomo «l’unico modo per arrivare a pagare meno la bolletta della luce» con «numeri dicono che il nucleare di ultima generazione è la forma di energia più pulita, perché non produce neanche scorie ed è più sicura dal punto di vista degli incidenti sul lavoro e per i cittadini.

Sono in corso di costruzione decine di centrali nucleari ovunque», e presto – assicura – ce ne potranno essere anche in Italia: «Dalla posa della prima pietra occorrono 7 anni, non 7 giorni, quindi se vinciamo le elezioni nell’arco di 7 anni potremmo produrre energia a minor costo rispetto a quella di oggi».

Dove verranno costruite queste centrali nucleari, forse in Lombardia come indicato dallo stesso Salvini a giugno?

«Mah, poi saranno i cittadini a decidere», glissa adesso l’ex vicepremier.

Sarebbe un esercizio di serietà sbilanciarsi almeno sulla localizzazione del pur necessario Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, ma niente: la carta delle aree idonee è pronta da marzo, come confermato dal Governo, ma neanche i più accaniti fan del nucleare si espongono nel merito.

Ma evidentemente, la serietà non è un prerequisito per le proposte politiche sul nucleare.

Anche perché, a dispetto dei numeri in libertà citati da Salvini, chiunque vinca le elezioni nessuna nuova centrale potrà essere realizzata in Italia, almeno nel breve periodo.

Quella nucleare è infatti la più costosa e lenta tra le tecnologie possibili per decarbonizzare la nostra produzione di energia.

Quando nel 2008 la destra (allora berlusconiana) firmò con un protocollo d’intesa con Sarkozy – poi bocciato dal referendum del 2011 – per costruire in Italia quattro reattori Epr di nuova generazione, in Europa c’erano già due impianti di questo tipo in via di realizzazione: a Olkiluoto (Finlandia, iniziato nel 2005) e a Flamanville (Francia, iniziato nel 2007).

L’impianto finlandese è entrato in funzione nel 2022, con 13 anni di ritardo sul previsto e costi triplicati a circa 6mila dollari per kW; in Francia i lavori sarebbero dovuti durare 5 anni ma sono ancora in corso, in compenso i costi sono quadruplicati a oltre 8mila dollari per ogni chilowatt di potenza installata.

Non sta andando meglio neanche per il terzo reattore in costruzione in Europa, quello di Hinkley Point (UK), col Governo inglese che nel 2012 si è impegnato ad acquistare la futura produzione di elettricità a 92,50 sterline per MWh per 35 anni (al netto dell’inflazione): quella da fotovoltaico ed eolico costa già ora tra la metà e un terzo, arrivando proprio in UK fino a un quarto.

Basterebbero dunque i problemi economici a bocciare gli investimenti sul nucleare in quei Paesi che non vi sono già invischiati, ma non mancano anche altre valide motivazioni, come: difficoltà di gestione dei rifiuti radioattivi, rischio di incidenti rilevanti, imperitura contiguità dell’industria civile con quella militare, dipendenza da autocrazie (la Russia nel 2020 aveva in capo il 38% della lavorazione globale dell’uranio, oltre ad aver progettato 17 delle 31 centrali in costruzione dal 2017, mentre altre 10 sono cinesi).

Non a caso l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), tracciando la roadmap per la decarbonizzazione globale, stima che al 2050 il 90% dell’elettricità verrà prodotta da rinnovabili e solo l’8% da nucleare (rispetto al 10% traguardato nel 2020).

Il che non significa che non verranno realizzate nuove centrali nucleari, ma che si concentreranno prevalentemente nei Paesi che sono chiamati a gestire la dismissione degli impianti esistenti – circa i due terzi dell’installato a livello globale ha più di 30 anni –, in quelli autocratici come la Cina, o in Paesi in via di sviluppo legati da interessi geopolitici.

È questa l’ammucchiata nucleare cui guarda con interesse la Lega e l’intera destra italiana, con l’unica conseguenza pratica di rallentare ulteriormente l’avanzata delle fonti rinnovabili nel Paese, ovvero la strada maestra per decarbonizzare (davvero).

Alle nostre latitudini, l’unica tecnologia nucleare per la produzione di energia su cui è ancora utile investire – cum grano salis – è semmai la fusione: un tema che però non scalda la campagna elettorale, anche perché pure il Consiglio Ue ha da tempo confermato che su questo fronte non ci saranno impianti industriali pronti prima del 2050.

Per allora però dovremo aver già raggiunto l’orizzonte emissioni nette zero delineato dal Green deal, con una tappa intermedia al 2030 di -55% di emissioni di gas serra rispetto al 1990, per evitare che la crisi climatica già in corso diventi irreversibile oltre che catastrofica.

«Le affermazioni di Salvini, un po’ come quelle della sua premier in pectore (Giorgia Meloni, ndr) continuano a lasciare basiti – commentano nel merito i co-portavoce nazionali di Europa Verde, Angelo Bonelli ed Eleonora Evi – Per lui il futuro è il nucleare, un’energia che rimane pericolosa e costosa e che avrebbe come unico risultato non certo quello di abbassare i costi delle bollette ma di indebitare drammaticamente il nostro Paese perché parliamo di un’energia che vive solo grazie agli ingentissimi finanziamenti pubblici.

Le posizioni espresse da Salvini, degne figlie della peggiore destra che egli stesso rappresenta, altro non sono che l’ennesimo, becero tentativo di bloccare la transizione ecologica e le attività ambientalmente sostenibili.

Se vogliamo davvero diventare energicamente indipendenti, riducendo i costi per gli italiani, la soluzione è una sola: l’energia proveniente da fonti rinnovabili».

(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 10 agosto 2022 sul sito online “greenreport.it”)

*****************

N.B. – Dal momento che il ritorno al nucleare entra nel programma elettorale, non si capisce perché i 25.935.372 di italiani che nel 2011 hanno bocciato il nucleare dovrebbero ora ricredersi: forse Salvini è convinto che tutti i cittadini sono dei creduloni e si fidano ciecamente delle sue promesse elettorali.

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

 

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