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Home Ambiente

Meloni a Cartagine

13/06/2023
in Ambiente, Approfondimenti, Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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Meloni a Cartagine
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Nonostante le strette di mano cordiali e i sorrisi con il presidente della Tunisia Kaïs Saïed, la spedizione euro-liberal-moderata-nazional-patriottica di Giorgia Meloni  Ursula von der Leyen e del premier olandese Mark Rutte se ne è tornata in Europa sbeffeggiata da un presidente eletto che in poco tempo si è trasformato in uno dei dittatori più spregiudicati, xenofobi e feroci del mondo arabo, dove i dittatori  non scarseggiano certo.

La nostra premier aveva fatto una grandissima impressione sul dittatore Saïed – sovranista e di destra come lei – che aveva visto in lei un politico europeo che dice chiaramente quel che gli altri si vergognano a dire e per questo, dopo aver lasciato Cartagine il 6 giugno, la Meloni l’11 giugno era di nuovo a Tunisi per parlare con il suo nuovo amico arabo-sunnita che va ad aggiungersi alla collezione degli uomini forti di Egitto, Libia, Algeria e Angola che la presidente del Consiglio italiana ha visitato/ricevuto cordialmente.

Come spiegava alla vigilia del nuovo viaggio africano la corrispondente in Tunisia di Jeune Afrique, Frida Dahmani «la Meloni sembra decisa a dare impulso alla sua intermediazione tra la Tunisia e l’Unione Europea (Ue). 

In programma questa domenica: il rapporto bilaterale Ue-Tunisia in vista della stesura di un accordo di cooperazione, ma anche risparmio energetico e migrazione.

Sono proprio questi i temi sui quali sta lavorando Giorgia Meloni per convincere tutti che questi temi sono cruciali per la Tunisia.

Ma anche per lei, visto che il leader italiano spera di potersi avvalere del sostegno dell’Ue nella seconda parte della sua offensiva, quella che punta ad ottenere dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) lo svincolo del prestito di 1,9 miliardi di dollari che ha concesso alla Tunisia ma subordinato alle riforme».

Il risultato dell’incontro tra la troika europea e il dittatore tunisino è stato invece che Saïed ha dettato agli europei le condizioni che la Meloni credeva di dettare a lui, atteggiandosi a nuovo Erdogan in 16esimo, ricattando l’Italia sui profughi e i migranti – proprio mentre dalla Tunisia arrivano immagini terribili sui trattamenti disumani ai quali vengono sottoposti – e rendendo visibile il doppio standard dell’Europa verso le dittature che ritiene amiche e utili.

E la dichiarazione finale della Meloni rafforza l’idea di un nulla di fatto, ma infiorettato per farlo sembrare un minimo successo: «Concordo pienamente con quello che diceva la Presidente von der Leyen, che voglio ringraziare molto per il suo instancabile lavoro.

Sono passati appena 5 giorni dal mio viaggio in Tunisia, siamo già riusciti a ottenere un importante risultato oggi, e davvero voglio ringraziare tutti.

Il risultato di oggi è anche frutto del lavoro diplomatico fatto dal Governo italiano, chiaramente ne sono lieta.

Siamo molto contenti di questa Dichiarazione congiunta firmata tra Unione europea e Tunisia: è un primo passo importante verso la creazione di un vero e proprio partenariato con l’Unione europea che possa affrontare in maniera integrata tanto la crisi migratoria quanto il tema dello sviluppo per entrambe le sponde del Mediterraneo.

Abbiamo un’importante finestra di opportunità da qui alla fine del mese, quando si svolgerà il Consiglio europeo: vogliamo continuare a lavorare tutti sodo per arrivare in quella data con un memorandum già siglato tra Unione europea e Tunisia.

A seguito di questo, Roma e l’Italia saranno pronte a organizzare la Conferenza internazionale sulla migrazione e lo sviluppo, della quale abbiamo parlato con il Presidente Saied, che è un’ulteriore tappa di questo percorso.

Chiaramente questo lavoro è anche propedeutico per riuscire a fare passi avanti nell’importante accordo tra la Tunisia e il Fondo Monetario Internazionale.

Grazie davvero alla Presidente von der Leyen, grazie al collega Mark Rutte.

Credo che questa immagine di oggi renda molto bene l’idea di quanto siamo impegnati a dare una risposta ai nostri vicini tunisini.

Grazie».

Un politologo tunisino – sotto anonimato per non essere arrestato – aveva previsto su  Jeune Afrique come sarebbe andata a finire: «Molti osservatori dubitano dell’esito di questa seconda fase perché, in una certa misura, Kaïs Saïed dovrebbe riconsiderare il suo pubblico rifiuto dei dettami del FMI. 

Se il FMI concede questo prestito su pressione della Meloni, sarebbe necessario riconoscere la sua influenza e riconsiderare il posto dell’Italia sulla scena internazionale.

Anche questa operazione di lobbyng di dimensioni piuttosto inedite è molto inaspettata. 

L’euroscettica Meloni, che ha costruito tutta la sua campagna elettorale sulla sua opposizione all’Europa, è riuscita a convincere la democristiana e molto eurofila Ursula von der Leyen, così come altri leader, tra cui il presidente francese Emmanuel Macron, evocando la situazione allarmante della Tunisia durante la riunione del G7 a Hiroshima».

A marzo la von der Leyen aveva detto al Consiglio europeo che «l’Unione è pronta a mobilitare altri 110 milioni di euro per il Nord Africa per evitare che le persone rischino la vita prendendo barche per l’Europa.

Una somma che andrebbe ad aggiungersi ai 208 milioni di euro già previsti per il 2023».

Ma intanto, mentre la Meloni visitava e accoglieva  i dittatori nordafricani stringendo mani imbrattate di petrolio e sangue, il Parlamento europeo criticava duramente la deriva autoritaria tunisina, facendo arrabbiare il suscettibile  Saïed  che ha poi risposto a brutto muso al trio e la Meloni si è trovata nell’imbarazzante ruolo di chi ha portato qualcuno a conoscere un amico e si è trovata di fronte una persona poco amichevole.

Come scriveva alla vigilia del fallimentare incontro la Dahmani, «la leader italiana gioca dunque alla grande, e rischia di apparire troppo intraprendente.

Ma senza dubbio ritiene che il dossier Tunisia sia una questione da gestire in fretta per scongiurare quella che lei considera una potenziale ondata di migranti irregolari in Europa, con l’Italia in prima linea.

Sono 45mila, dal gennaio 2023, di cui 30mila subsahariani e tunisini, ad essere entrati in Europa dalla Tunisia».

Numeri che ora il governo di destra cerca di far passare come “normali” mentre quando era all’opposizione definiva una catastrofe l’arrivo di meno della metà di migranti e profughi.

E dal vocabolario della destra sono spariti anche l’affondamento dei barchini, il respingimento in mare, il muro nel Mediterraneo…

Dopo aver accusato l’Europa ora se ne chiede l’aiuto mentre l’alleato ungherese Orban continua a dire quel che la Meloni diceva prima di diventare presidente del Consiglio.

E l’amico Saïed risponde alla speranzosa Meloni che se lo sogna che la Tunisia si riprenda i “negri” che sono riusciti a sbarcare in Italia e che li metta in campi profughi pagati dall’Europa, una soluzione che il dittatore tunisino ha definito irridentemente “disumana”, beffandosi dei valori fondanti dell’Europa che valgono evidentemente fino al confine ucraino, ma non sull’atra sponda araba, turca e Israeliana del Mediterraneo.

E  Jeune Afrique – come altri giornali africani e arabi – ricorda impietosamente che «la lotta all’immigrazione irregolare era stata uno dei temi elettorali dell’allora candidata del movimento di estrema destra Fratelli d’Italia, anche se da quando è salita al potere, svoltato l’angolo, ha cambiato strategia».

E la Dahmani aveva fatto preventivamente a pezzi anche quello che è stato il nucleo della strana conferenza stampa senza giornalisti della Meloni a Tunisi: «Non si tratta più di soluzioni puramente sicuritarie, punta a una  cooperazione che sostiene lo sviluppo locale in Paesi come la Tunisia.

Non è detto che questa formula sia sufficiente per convincere i giovani a restare nei Paesi di origine, né che sia soddisfacente di fronte all’impoverimento e alla precarietà generati dai cambiamenti climatici o dai conflitti.

Adottata in emergenza, la soluzione offerta a Tunisi dalla Meloni è in effetti puntuale.

E non sembra tener conto del fatto che il debito tunisino e le difficoltà economiche del Paese non possono essere compensate dagli 1,9 miliardi di dollari del FMI, e che servirebbe l’equivalente di un vero e proprio piano Marshall per rimettere il Paese in carreggiata.

Ma chi vorrà sostenere un Paese in stasi e che non soddisfa gli standard minimi di democrazia richiesti dalle nazioni occidentali?

Il presidente del Consiglio italiano conta su una forma di pragmatismo europeo per escludere ogni commento sui rischi di deriva autoritaria in Tunisia.

Soprattutto, la Presidente del Consiglio italiano è attenta a non guardare troppo al futuro, utilizzando le sue energie nel “qui e ora” per vincere una partita che ha iniziato senza essere sicura di ottenere il supporto necessario».

E’ la politica esplicitata con brutale pragmatismo dal ministro degli esteri ed ex commissario Ue Antonio Tajani: ci conviene dare finanziamenti al dittatore tunisino, altrimenti, se la crisi precipita ancora di più, potrebbe far peggio.

Che è l’esatto contrario di quanto l’Europa predica quando le dittature non sono “amiche”, invitando – giustamente – a sostenere l’opposizione democratica che le vuole abbattere.

La ricaduta di questo atteggiamento in Tunisia sarà il completo isolamento dell’opposizione democratica che sconfisse la precedente dittatura (anche quella filo-occidentale), dando il via alle primavere arabe.

Nella frenesia di ridare – su altre basi – un ruolo centrale a livello regionale alla diplomazia italiana, tra hub del gas e “Piani Mattei”, la Meloni il 6 giugno ha ricevuto anche il premier libico Abdel Hamid Dbeibah – che in realtà governa metà della Libia – e prima il Khalīfa Belqāsim Ḥaftar  che governa l’altra metà, proponendo a entrambi  «un cocktail di dinamismo, determinazione e progetti comuni – scrive Jeune Afrtique – Tutto questo per consolidare le relazioni energetiche e diffondere il suo discorso anti-migrazione».

E un esperto dell’International migration office (IOM) fa notare che, «se impediamo ai migranti di attraversare la Tunisia, passeranno immediatamente attraverso la Libia o il Marocco. 

Un punto cruciale che la Meloni non sembra aver considerato».

La Dahmani scrive che «in Tunisia l’opinione pubblica è sconcertata e si chiede quali leve vorrà – e potrà – attivare la Meloni per porre fine ai flussi migratori, conoscendo il coinvolgimento di potenti reti, in particolare la mafia, nel traffico di esseri umani.

Si interroga anche sulle motivazioni di questo improvviso interesse per la Tunisia e di questa ostinazione ad annunciare dal gennaio 2023 un imminente collasso del Paese che non c’è stato.

Ma è soprattutto sorpresa che il presidente Saïed non percepisca l’approccio della Meloni come un’ingerenza».

E alla fine – dopo il cordiale incontro –  Saïed  ha tirato fuori zanne e artigli e ha fatto a pezzi il castello di carte della Meloni.

Il sospetto che il presidente tunisino abbia usato la Meloni per dare all’Europa e al suo vessato popolo un segnale di onnipotenza e impunità è abbastanza fondato.

I dittatori sono fatti così: accettano solo vittorie personali.

(Articolo di Umberto Mazzantini, pubblicato con questo titolo il 12 giugno 2023 sul sito online “greenreport.it”)

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