Grazie ad alcune azioni spettacolari, il gruppo ambientalista Ultima generazione è assurto alla ribalta delle cronache.
Hanno più volte bloccato grandi arterie stradali per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’emergenza climatica.
A causa loro, sono rimasti chiusi nel traffico viaggiatori irresponsabili alla guida di automobili a 500 cavalli ma anche genitori che andavano a prendere a scuola i propri figli, lavoratori a cottimo e veicoli di soccorso.
Supponiamo che, finita la manifestazione, gli attivisti se ne fossero tornati a casa con un Suv di grande cilindrata diesel.
Sarebbero credibili per l’opinione pubblica?
Due settimane fa mi sono trovato in un talk-show insieme ad un attivista di Ultima generazione.
Il gruppo ambientalista aveva il giorno prima gettato un po’ di vernice (per altro lavabile) sul Palazzo del Senato, seguendo quello che altri gruppi, come Just Stop Oil, hanno fatto in altri paesi.
La spettacolarità suscita l’appetito dei media, e non sorprende che siano stati finalmente invitati da televisioni ad esporre le proprie ragioni.
L’evento è rimbalzato viralmente sui social networks producendo un mare di critiche e qualche plauso.
Ho obiettato all’attivista che certe azioni eclatanti non sono solamente inutili, ma addirittura controproducenti.
Amici e colleghi mi hanno rimproverato perché quei ragazzi avrebbero dovuto essere lodati per il proprio impegno.
Domenico De Masi ha addirittura detto che si sarebbe unito a loro se solo avesse avuto qualche anno di meno.
Non sono d’accordo: c’è un problema di azione individuale e di raccolta del consenso assolutamente necessari per giungere effettivamente a cambiamenti strutturali, e in ben poco tempo.
Una questione epocale come contrastare il riscaldamento globale non può essere risolta solamente con azioni individuali, ma chi si dedica a questa causa non può esimersi dal dare il buon esempio.
L’Italia è un paese di medie dimensioni, è la diciassettesima nazione per emissioni di CO2 fossili e genera meno dell’1 per cento del totale mondiale.
Supponiamo che grazie ad una radicale azione governativa, sostenuta estesamente dall’opinione pubblica, il paese riesca in un decennio a raggiungere l’agognato obiettivo di emissioni zero.
Rappresenteremmo un grande modello per tutto il mondo, indicando che ci sono soluzioni raggiungibili con adeguate politiche, come già successo con il buco all’ozono.
Ma l’Italia sarebbe quantitativamente poco rilevante per l’intero pianeta se non per mostrare a tutte le altre nazioni una via percorribile.
Se un paese intero può dare l’esempio, perché non lo dovrebbero dare anche le città, i quartieri, le scuole, gli individui?
E gli attivisti che si dedicano alla questione ambientale non dovrebbero essere i primi?
Nell’azione politica è sempre necessaria la congruenza tra mezzi e fini.
Molti movimenti ambientalisti hanno eseguito azioni eclatanti direttamente indirizzate a raggiungere obiettivi condivisibili in quanto tali.
Ridurre le emissioni richiede una quantità infinita di azioni, che vanno dal riciclaggio e il riuso, l’introduzione di tecniche adeguate nelle costruzioni, il rimpiazzo di veicoli inquinanti con quelli ecologici.
L’altro ieri, Greta Thunberg ed altri attivisti sono stati arrestati nel villaggio di Luetzerath in Germania perché intendevano bloccare l’espansione di una miniera di carbone.
La loro azione è riuscita a richiamare una grande attenzione mediatica, ed era direttamente indirizzata ad un obiettivo connesso con la questione ambientale: quegli attivisti ci stanno proteggendo da un più intensivo uso del fossile più inquinante.
In Italia, il governo ha deciso di riaprire le centrali a carbone per contrastare l’aumento del prezzo del gas dovuto all’invasione dell’Ucraina e alle sanzioni contro la Russia, come se una tragica emergenza giustifichi la riattivazione di tecnologie più inquinanti.
L’alternativa potrebbe essere ridurre i consumi oppure sostenere costi più elevati.
Se venisse bloccato l’ingresso alle centrali a carbone, governo e parlamento dovrebbero rendere conto delle proprie scelte ai propri elettori.
Perché allora prendersela con le opere del povero Vincent van Gogh, che oltretutto ricercava proprio nei suoi girasoli quella pace che l’industrializzazione metteva a repentaglio?
Non è la spettacolarità o andare in televisioni che ci porterà in un mondo più verde.
Non sono sufficienti le buone intenzioni: senza una congruenza tra mezzi e fini, l’opinione pubblica si allontana ancora di più dalle politiche verdi, e vedrebbe negli ambientalisti non delle avanguardie che lavorano per il bene comune ma degli esaltati.
La conseguenza è che si ridurrebbe il consenso per le liste verdi e che gli stessi partiti politici presterebbero meno attenzione ai programmi ambientali.
Ogni tanto, un predicozzo può aiutare a discernere tra le azioni fruttuose e quelle che invece sono controproducenti.
(Articolo di Daniele Archibugi, pubblicato con questo titolo il 19 gennaio 2023 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)
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