Durante la sua visita in Libia per presenziare alla firma del “nuovo” accordo tra Eni e National Oil Corporation (NOC), la primo ministro Giorgia Meloni ha confermato l’appoggio dell’Italia al Governo di Unità Nazionale di Tripoli (GUN, che governa la parte occidentale del Paese) per la stabilizzazione del quadro politico e di sicurezza in Libia e per arrivare ad elezioni rimandate da anni anche a causa delle trappole politiche disseminate dagli stessi politici libici che ha incontrato e delle alleanze con Paesi stranieri del governo di Tripoli.
La Meloni ha detto che «nel pieno rispetto della sovranità libica (che di fatto non esiste in un Paese diviso in due e dove scorrazzano eserciti e milizie straniere e banda jihadiste e tribali, ndr), riteniamo che un ampio compromesso politico nazionale possa aiutare a sbloccare l’attuale situazione di stallo».
Un accordo dovrebbe affrontare i principali nodi aperti, vale a dire base costituzionale, distribuzione delle risorse e l’assetto istituzionale che porterà il Paese alle elezioni.
Ma quel che interessa di più alla premier italiana è il contrasto all’immigrazione e per farlo ha scelto la conferma della strategia rivelatasi fin qui fallimentare e di finanziare che quella immigrazione la gestisce e la alimenta facendo finta di reprimerla: la Guardia Costiera Libica.
La Meloni ha infatti detto che con il premier libico Abdul Hamid Dbeibah «abbiamo parlato e stiamo discutendo di come potenziare gli strumenti per combattere i flussi illegali, e non è un tema che riguarda solamente l’Italia e la Libia, è un tema che deve riguardare l’Unione europea nel suo complesso e la cooperazione europea verso il Nord Africa, perché il modo più strutturale per affrontare il tema delle migrazioni è consentire alle persone di crescere e di prosperare nelle loro Nazioni e questo si fa aiutando quelle Nazioni a crescere a prosperare.
Questo è uno dei temi che il prossimo Consiglio europeo affronterà: difesa della dimensione esterna; cooperazione in particolare con le Nazioni del Nord Africa, con le nazioni africane; priorità della rotta del Mediterraneo centrale come richiesto dall’Italia.
Il contributo dell’Italia alla stabilizzazione della Libia deve portare ad un impatto positivo sul tema dei flussi migratori e del contrasto alle migrazioni irregolari.
Noi oggi, in questa importante giornata, abbiamo adottato un’intesa firmata dai nostri rispettivi Ministri degli Esteri, che ringrazio, con l’obiettivo di potenziare le capacità e la cooperazione con l’autorità libica in relazione alla Guardia costiera.
C’è qui presente anche il Ministro Piantedosi.
Dobbiamo ringraziare anche lui e l’omologo Ministro degli Interni libico per questa iniziativa importante».
Dbeibah ha confermato di aver discusso dello «sviluppo della cooperazione tra Libia e Italia sul campo dell’immigrazione clandestina, la cooperazione economica, il sostegno agli sforzi della missione Onu e dell’inviato Onu Abdoulaye Bathily e il rafforzamento della cooperazione congiunta attivando il trattato di amicizia siglato tra Libia e Italia nel 2008».
Ma proprio dall’Independent Fact-Finding Mission on Libya (FFM) dell’United Nations Human Rights Council (HRC) è arrivata una clamorosa smentita del quadro “rassicurante” tracciato dalla Meloni e da Dbeibah che, dopo aver visitato il Paese, il 29 gennaio ha detto che «le autorità libiche devono agire per rendere giustizia al gran numero di vittime di violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario».
L’ex ministro della giustizia del Marocco e presidente della missione d’inchiesta in Libia, Mohammad Auajjar, ha sottolineato che «le famiglie di queste vittime hanno aspettato troppo a lungo per ottenere giustizia.
Le autorità libiche hanno il dovere di condividere informazioni sui loro parenti, incontrarli e fornire loro risposte.
Il silenzio è inaccettabile.
Anche noi abbiamo ripetutamente richiesto risposte sullo stato di molteplici indagini su gravi violazioni dei diritti umani, ma ad oggi non è stata fornita alcuna risposta soddisfacente».
E’ questo il regime con il quale l’Italia ha stretto patti per fermare il flusso di migranti e profughi e per aumentare quello di petrolio e gas.
E’ questa situazione di abuso, sfruttamento, tortura e morte che garantiscono le vedette della Guardia Costiera libica pagate e armate dall’Italia.
La missione conoscitiva, che comprende anche gli esperti Tracy Robinson e Chaloka Beyani, è stata istituita dall’ HRC nel giugno 2020 con il mandato di indagare sulle accuse di violazioni e abusi del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani commessi in Libia dal 2016.
Durante una visita dal 23 al 26 gennaio a Tripoli, gli esperti della FFM hanno incontrato vittime e rappresentanti delle vittime che hanno testimoniato su «esecuzioni extragiudiziali, torture, detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, tratta di esseri umani, sfollamento interno, esistenza di fosse comuni e obitori contenenti cadaveri a cui le famiglie non hanno accesso».
Molte vittime e i loro rappresentanti sono giunti da Bengasi, Sirte, Murzuk, Sebha e Misurata per incontrare la missione Onu che invece non è potuta andare a Sabha per incontrare le vittime, cosa che è stata impedita dalle autorità locali nonostante le ripetute richieste.
Inoltre, Auajjar, Robinson e Beyani si sono detti «rammaricati di non aver potuto incontrare il procuratore generale per avere informazioni sui numerosi casi raccontati dalle vittime che rientrano nel suo mandato investigativo».
La giamaicana Robinson, della Faculty of Law dell’ University of the West Indies (UWI), ha sottolineato che «le autorità statali che abbiamo incontrato ci hanno parlato dei loro sforzi per rafforzare lo stato di diritto, ma questi sforzi non sono riusciti a rendere giustizia alle vittime e alle loro famiglie.
Potevamo vedere la loro profonda perdita quando le vittime ci hanno parlato.
Il loro ansioso desiderio di giustizia non è stato soddisfatto, in molti casi da anni».
Gli esperti Onu si sono anche dispiaciuti per il fatto che «nonostante le ripetute richieste, le autorità non abbiano concesso l’accesso alle carceri e ai centri di detenzione in tutto il Paese».
L’anglo-zambiano Beyani, che insegna diritto internazionale alla London School of Economics, ha denunciato che «la detenzione arbitraria in Libia è diventata uno strumento pervasivo di repressione e controllo politico, il che spiega perché migliaia di persone sono private della libertà, spesso in pessime condizioni, senza un giusto processo o accesso alla giustizia».
Durante gli incontri in Libia, l’Independent Fact-Finding Mission si è unita all’appello di altri esperti delle Nazioni Unite per l’immediato rilascio di Iftikhar Boudra, detenuta a Bengasi quattro anni fa in seguito ai commenti critici che aveva fatto sui social media sulla militarizzazione nella Libia orientale controllata dall’Esercito Nazionale di Liberazione Libico.
La Boudra sarebbe in condizioni critiche e la sua famiglia afferma di non aver avuto il permesso di farle visita per 8 mesi.
Questa è la Libia che dovrebbe tenere sotto controllo i migranti per conto dell’Italia, in cambio delle importazioni di gas e petrolio e di motovedette, armi e infrastrutture.
(Articolo pubblicato con questo titolo il 30 gennaio 2023 sul sito online “greenreport.it”)