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«NON TUTTI GLI ALIENI SONO INVASIVI»

08/10/2023
in Approfondimenti, Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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«NON TUTTI GLI ALIENI SONO INVASIVI»
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Nella sesta estinzione di massa, altro nome della perdita di biodiversità, le popolazioni animali e vegetali alloctone invasive giocano un ruolo importante, insieme alla distruzione, degradazione e frammentazione degli habitat, ai cambiamenti climatici, all’inquinamento, alla caccia e alla pesca indiscriminate.

Al festival Pianeta Terra a Lucca (vedi scheda), di specie aliene invasive parlerà Piero Genovesi, responsabile del Servizio coordinamento fauna selvatica di Ispra e presidente del gruppo specialistico specie invasive dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn).

Chi è alieno e dove?

E chi è invasivo?

Aliene sono le specie di animali e di piante trasportate altrove da attività umane intenzionalmente oppure accidentalmente.

E dovremmo parlare di popolazioni aliene, più che di specie: nessuna specie, infatti, è aliena in tutto il mondo.

Il problema si pone se provocano un impatto ecologicamente negativo, anche se sono presenti magari da secoli (i ratti, per esempio, sono stati introdotti in Europa nell’anno Mille).

Per la Convenzione Onu sulla biodiversità del 1992, invasivo vuol dire dannoso per altre specie o per gli ecosistemi.

E non dipende solo dal numero: non sempre le specie aliene devono aumentare ed espandersi per causare impatti.

Nelle piante, certo, l’invasività è legata all’espansione: occupano spazio e competono con le altre.

Nei mammiferi non è detto: a volte una coppia di predatori introdotta su un’isola può causare l’estinzione di un’intera specie.

Spesso poi le minacce alla biodiversità e agli habitat si accompagnano a danni per le attività produttive, la salute umana, le comunità.

Si pensi al bellissimo giacinto d’acqua latinoamericano, che in Africa ostacola la navigazione, aumenta l’evaporazione togliendo acqua e aiuta anche la malaria.

Non necessariamente alieno è invasivo, e non dappertutto.

Lo è solo il 10% circa (3500) del totale delle specie aliene, come indica il recente rapporto Ipbes (v. ET del 7 settembre 2023).

In fin dei conti sono alloctoni anche il fagiano, il pomodoro, la patata, la gallina, il cedro – definiamo «para-autoctone» certe specie.

Quanto alla nutria, aliena e in soprannumero da noi, è invece minacciata in America latina, suo areale d’origine.

Altra sorpresa: per l’Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura) «Felix catus», il gatto domestico, è la specie aliena più dannosa a livello mondiale.

Perché aliena?

Perché non esisteva in natura; lo abbiamo inventato noi, anzi gli Egizi.

Utile, predava i topi che danneggiavano i raccolti.

Ma è poi diventato, su scala mondiale, la principale causa di mortalità man-made di fauna selvatica, si vedano diverse stime, anche su Nature, secondo le quali i gatti in natura predano fra i 7 e i 26 miliardi di mammiferi e uccelli ogni anno.

Il gatto domestico in libera uscita è un predatore straordinario e la sua densità è estremamente elevata perché ha cibo garantito dagli umani.

Quali invece i danni provocati anche da specie autoctone?

Partiamo dal cinghiale: autoctono perché ecologicamente da noi c’è sempre stato e non era neanche troppo diverso da quelli attuali, come confermano i dati genetici, anche se i cacciatori lo hanno diffuso in molte aree, come le Alpi.

Come per altre specie autoctone le cui popolazioni sono aumentate per fattori anche antropici e per la loro capacità di adattamento, i danni sono più riferiti alle attività umane (le colture soprattutto).

Ciò non toglie che, quando le loro popolazioni sono davvero numerose, cinghiali, cornacchie, gabbiani e altri possano avere anche un danno ecologico rilevante: tolgono risorse ad altre specie, predano.

I conflitti fra esseri umani e fauna selvatica si stanno ampliando in tutto il mondo, per una serie di fattori.

E nelle nostre aree, per l’abbandono delle campagne, l’aumento dei boschi e delle aree protette, una certa regolamentazione della caccia, le popolazioni terrestri di mammiferi e anche di alcuni uccelli sono aumentate.

Non solo cinghiali ma cervi, caprioli, lupi – passati in Italia da poco più di 100 a 3300 in 50 anni.

Euprotto e visoni: due esempi di situazioni estreme per via di errori umani.

Contro l’Euproctus platycephalus, raro anfibio endemico in Sardegna, congiurano gli effetti del caos climatico, la distruzione degli habitat, l’inquinamento; e l’introduzione delle voraci e alloctone trote per la pesca.

La pratica è tuttora in parte permessa, malgrado il suo impatto anche su molti pesci di acqua dolce.

Quanto ai visoni (specie alloctona) fuoriusciti dagli allevamenti da pelliccia, hanno provocato danni enormi alla fauna selvatica.

Oltre a evitare e vietare simili situazioni, come si può agire davvero sulle specie aliene invasive?

Prevenire in primis?

Il messaggio dell’ultimo rapporto Ipbes, al quale ho contribuito, è di speranza: mettere sotto controllo 3500 specie non richiede un cambiamento epocale, come invece la lotta contro i cambiamenti climatici.

Ed è una win win solution; conviene da tutti i punti di vista, ecologico, sociale, economico.

Occorrono attenzione, sostegni e volontà anche politica.

Puntare sulla prevenzione.

Invece ci si pensa quando la situazione è già esplosa.

Il granchio blu ufficialmente nell’Adriatico era già segnalato nel 1948.

Si trova una specie, si sa che altrove ha fatto disastri, lo si dice ma invano, da buone Cassandre.

Uno dei meccanismi generali di molte specie aliene è che hanno una finestra temporale durante la quale non aumentano di numero.

Lì si deve agire; poi la crescita può diventare esponenziale, rendendo spesso impossibile intervenire efficacemente.

Una volta fallita la prevenzione, uno strumento di contrasto è la lotta biologica con il ricorso ad antagonisti naturali.

Anch’essi alloctoni però.

Per esempio contro la cimice asiatica (Halyomorpha halys) che devasta i raccolti funziona abbastanza bene la vespa samurai (Trissolcus japonicus), presente negli stessi ambienti d’origine.

E’ stata introdotta da qualche anno.

Certo c’è in Italia un generale divieto di immissione di specie esotiche, ma – salvo per alcune specie pericolose – è possibile avere deroghe, purché si valuti il rischio.

Ora abbiamo strumenti più accurati per farlo rispetto al passato.

E va assicurato un attento monitoraggio.

Entra poi in scena la questione etica, quanto agli animali vertebrati, alieni o autoctoni.

Un controllo che in casi estremi prevede l’eradicazione significa abbattimenti, caccia, più predatori.

Interventi cruenti dunque.

Gli esperti dell’Ipbes hanno ammesso la difficoltà precisando: «Occorre certo minimizzare la sofferenza, ma non fare nulla significa, nel caso delle specie aliene, sacrificarne altre».

La questione è delicatissima.

Noi tecnici presentiamo scenari, prospettiamo soluzioni.

Ma accadono paradossi.

Un esempio.

Anni fa l’alloctono scoiattolo grigio era presente solo in Piemonte; un’eradicazione che era possibile, con anestesia e soppressione eutanasica.

Per la forte opposizione, il progetto fu bloccato e la specie si espanse.

Oggi, oltre alla minaccia per lo scoiattolo rosso nostrano, di grigi se ne uccidono di più, a scopo di contenimento.

Il regolamento europeo prevede che le specie definite aliene e invasive possano essere rimosse con metodi letali o non letali.

Fra i secondi, la sterilizzazione insieme ad altre misure territoriali.

Perché viene trascurata, per alloctoni e autoctoni?

Per i mammiferi, una sostanza che riduce solo in parte la fertilità in genere ha un effetto zero sulle popolazioni.

Abbiamo lavorato sulla sostanza GonaCon che però va iniettata e comunque andrebbe applicata in massa.

Quanto ai mangimi per i piccioni, attenzione a non sterilizzare altri uccelli, e comunque la fertilità cala di poco.

Non è solo un problema di fondi.

Per decenni gli inglesi hanno studiato il mangime contraccettivo per lo scoiattolo, ma invano.

Ci sono problemi tecnici, le sostanze ingerite vengono distrutte dai succhi gastrici.

Altra cosa, ed efficace, è la protezione delle colture contro gli ungulati, con le recinzioni.

(Intervista di Marinella Correggia, pubblicata con questo titolo il 5 ottobre 2023 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)

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