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Rodolfo Bosi
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Home Approfondimenti

Per poter continuare a nutrirci dobbiamo ridurre il consumo di carne di almeno il 75%

27/04/2022
in Approfondimenti, Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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Secondo lo studio “Meat Consumption and Sustainability”, pubblicato su Annual Review of Resource Economics da Martin Parlasca e Matin Qaim dell’Universitāt Bonn, che passa in rassegna lo stato attuale della ricerca su vari aspetti del consumo di carne, oltre agli effetti sull’ambiente e sul clima che includono sia quelli sulla salute che economici, «se vogliamo che il nostro pianeta Terra continui a nutrirci in futuro, i Paesi ricchi devono ridurre significativamente il consumo di carne, idealmente di almeno il 75%». 

Inoltre, «mangiare carne in piccole quantità può essere abbastanza sostenibile».

Il problema è che ci siamo sospinti troppo avanti con la nostra frenesia carnivora consumistica: ogni cittadino dell’UE consuma circa 80 chilogrammi di carne all’anno ma,  come fanno notare all’università di Bonn, «ogni bistecca succosa, ogni salsiccia prelibata ha un prezzo che non paghiamo al bancone, perché l’allevamento danneggia il clima e l’ambiente. 

I ruminanti, ad esempio, producono metano, che accelera il riscaldamento globale. 

Gli animali convertono anche solo una parte delle calorie che vengono alimentate in carne. 

Per nutrire lo stesso numero di persone, la carne richiede quindi una superficie molto più ampia. 

Questo va a scapito degli ecosistemi, poiché viene lasciato meno spazio per la conservazione delle specie naturali. 

Inoltre, chi mangia troppa carne vive a rischio: la carne in eccesso non è salutare e può favorire malattie croniche».

Quindi ci sono buone ragioni per ridurre significativamente il consumo di alimenti di origine animale.

«Se tutti gli esseri umani consumassero la stessa quantità di carne degli europei o dei nordamericani, mancheremmo sicuramente gli obiettivi climatici internazionali e molti ecosistemi crollerebbero», spiega l’autore dello studio, il prof. Matin Qaim del Zentrum für Entwicklungsforschung (ZEF) dell’Universität Bonn.

Sottolinea che «dobbiamo quindi ridurre significativamente il nostro consumo di carne, idealmente a 20 chilogrammi o meno all’anno.

La guerra in Ucraina e la conseguente carenza sui mercati internazionali dei cereali sottolineano anche che, per sostenere la sicurezza alimentare, agli animali dovrebbe essere somministrato meno grano.

Attualmente, circa la metà di tutti i cereali prodotti nel mondo viene utilizzata come mangime per animali».

Quindi, per l’umanità non sarebbe meglio passare completamente a diete vegetariane o, meglio ancora, vegane? 

Secondo lo studio, questa sarebbe una soluzione sbagliata a un problema giusto, perché ci sono molte regioni dove non è possibile coltivare alimenti a base vegetale.  

Parlasca spiega: «Non possiamo vivere sull’erba, ma i ruminanti possono farlo.

Pertanto, se le praterie non possono essere utilizzate in nessun altro modo, ha perfettamente senso mantenervi il bestiame. 

Anche dal punto di vista ambientale, non vi è alcuna reale obiezione al pascolo attento con un numero limitato di animali.

Le regioni più povere, in particolare, mancano anche di fonti vegetali di proteine ​​e micronutrienti di alta qualità. 

Ad esempio, ortaggi e legumi non possono essere coltivati ​​ovunque e, inoltre, possono essere raccolti solo in determinati periodi dell’anno. 

In questi casi, gli animali sono spesso un elemento chiave di una dieta sana.

Per molte persone sono anche un’importante fonte di reddito. Se si perdono i proventi di latte, uova e carne, questo può minacciare il loro sostentamento».

E i due autori dello studio evidenziano che «in ogni caso, il problema non sono i Paesi più poveri. 

Per i loro abitanti, la carne è solitamente molto meno frequente nel menu rispetto ai Paesi industrializzati. 

Ciò significa che sono in particolare i Paesi ricchi che devono ridurre il consumo di carne».

E attualmente non è che lo facciano davvero.

Anche se ci sono più vegetariani di prima, in tutta Europa il consumo aggregato di carne resta alto e in Nord America e Australia è ancora più elevato.

Per Qaim «é importante prendere in considerazione anche tasse più elevate sugli alimenti di origine animale. 

Questo è certamente impopolare, soprattutto perché, se si suppone che debba avere un effetto sterzata, un sovrapprezzo del 10 o 20% probabilmente non sarebbe sufficiente.

La carne, tuttavia, ha un costo ambientale elevato che non si riflette nei prezzi attuali.

Sarebbe del tutto ragionevole ed equo che i consumatori condividano maggiormente questi costi».

Inoltre, Perlasca e  Qaim chiedono che il tema del “consumo sostenibile” sia sempre più integrato nei programmi scolastici e nella formazione dei futuri insegnanti: «Dobbiamo diventare più sensibili all’impatto globale delle nostre decisioni.

Questo vale non solo con il cibo, ma anche con la maglietta che compriamo al discount da indossare per una sola serata a una festa».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 26 aprile 2022 sul sito online “greenreport.it”)

 

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