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Rodolfo Bosi
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Home Approfondimenti

Perché il diluvio del Pakistan è colpa del cambiamento climatico

06/09/2022
in Approfondimenti, Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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L’Unicef ha consegnato 32 tonnellate di forniture mediche salvavita e altri aiuti di emergenza per aiutare i bambini e le donne colpiti dalle devastanti inondazioni in Pakistan. 

La spedizione che è arrivata a Karachi e ha consegnato al governo pakistano comprende medicinali, forniture mediche, compresse per la purificazione dell’acqua, kit per il parto sicuro e integratori alimentari terapeutici.

Gli aiuti saranno immediatamente inviati ai bambini e alle famiglie che ne hanno maggiormente bisogno in alcuni dei 72 distretti più colpiti.

Abdullah Fadil, rappresentante dell’Unicef in Pakistan, ha detto che «le inondazioni hanno lasciato bambini e famiglie all’aperto, senza accesso ai beni di prima necessità.

Questa spedizione è fondamentale, ma è solo una goccia nel mare di ciò che è necessario.

Il rischio di un’epidemia di malattie trasmesse dall’acqua, come il colera, la diarrea, la dengue e la malaria, continua ad aumentare ogni giorno, poiché la gente è costretta a bere acqua contaminata e a praticare la defecazione a cielo aperto.

Aumentano anche i pericoli di zanzare, morsi di serpente, malattie della pelle e respiratorie. Abbiamo bisogno di un sostegno urgente per aiutare i bambini che lottano per la sopravvivenza».

Domani è previsto l’arrivo di un secondo carico di 34 tonnellate di forniture umanitarie, con medicinali per il trattamento delle infezioni parassitarie, kit di rianimazione e sterilizzazione, micronutrienti per le donne in gravidanza, materiale didattico e kit ricreativi per aiutare i bambini a superare i traumi.

Le forti piogge monsoniche hanno lasciato un terzo del Pakistan sott’acqua, colpendo più di 33 milioni di persone.

La metà di queste persone sono bambini, di cui almeno 3,4 milioni hanno bisogno di un sostegno immediato e salvavita. 

L’Unicef ricorda che «le operazioni di soccorso e salvataggio sono ancora estremamente difficili da portare a termine: molte strade sono ancora interrotte dall’acqua delle inondazioni». 

Sono state distrutte più di 1,2 milioni di case, 5.000 chilometri di strade e 240 ponti. 

Nell’ambito del Flash Appeal delle Nazioni Unite di 160 milioni di dollari per sostenere la risposta nazionale alle inondazioni, l’Unicef chiede 37 milioni di dollari per raggiungere i bambini e le famiglie che necessitano di aiuti salvavita.

Una tragedia umana causata da fiumi che hanno rotto gli argini, inondazioni improvvise e laghi glaciali “scoppiati”. 

I ricercatori affermano che la catastrofe climatica è probabilmente iniziata con ondate di caldo eccezionali.

Come ricorda Smriti Mallapaty  su Nature,  «ad aprile e maggio, in molti luoghi le temperature hanno superato i 40° C per periodi prolungati. In una torrida giornata di maggio, la città di Jacobabad ha superato i 51° C». 

Secondo Malik Amin Aslam, l’ex ministro pakistano del cambiamento climatico, «queste non erano normali ondate di caldo: erano le peggiori al mondo. 

In Pakistan avevamo il posto più caldo della Terra».

L’aria più calda può trattenere più umidità e già all’inizio dell’anno i meteorologi avevano avvertito che le temperature estreme avrebbero probabilmente comportato livelli di pioggia sopra il normale durante la stagione dei monsoni.

Athar Hussain, un climatologo della COMSATS University Islamabad, aggiunge che «il caldo intenso ha anche sciolto i ghiacciai nelle regioni montuose settentrionali, aumentando la quantità di acqua che scorre negli affluenti dell’Indo».

L’Indo è il fiume più grande del Pakistan e lo attraversa da nord a sud, alimentando paesi, città e vaste aree di territorio agricolo.

Non è chiaro esattamente quanto scioglimento glaciale in eccesso sia defluito nei fiumi, ma già a luglio erano stati notati flussi elevati e acqua fangosa nel fiume Hunza, che alimenta l’Indo, il che suggerisce un rapido scioglimento che ha raccolto grandi quantità di sedimenti mentre si spostava a valle.

Le ondate di caldo hanno coinciso anche con una intensa bassa pressione atmosferica nel Mar Arabico, che già a giugno ha portato forti piogge nelle province costiere del Pakistan, un fenomeno molto raro.

Andrew King, un climatologo dell’università di Melbourne ha detto a Nature che «queste caratteristiche insolite sono state poi esacerbate dall’arrivo anticipato del monsone il 30 giugno, che è stato generalmente più umido su una regione più ampia per un periodo di tempo molto prolungato».  

Hashmi, un ingegnere delle risorse idrauliche del Global Change Impact Studies Centre di Islamabad, evidenzia che «l’effetto è che finora il Pakistan ha ricevuto quasi tre volte la piovosità media annua per il periodo dei monsoni. 

Le province meridionali del Sindh e del Baluchistan hanno ricevuto più di cinque volte quella media». 

Ma Aslam aggiunge che «l’inondazione non è finita.

Nel Sindh si è formato un lago allungato, largo decine di chilometri, e altra acqua continuerà a versarvi dentro. Il peggio non è passato».

Alcune agenzie meteorologiche avevano previsto che La Niña, che crea condizioni monsoniche più forti in India e Pakistan, continuerà fino alla fine dell’anno, per King, «non è un collegamento super forte, ma probabilmente sta svolgendo un ruolo nel rafforzare e le precipitazioni».

Ma Hussain  dice che dietro tutto questo c’è probabilmente il riscaldamento globale di origine antropica: «I modelli climatici suggeriscono che un mondo più caldo contribuirà a precipitazioni più intense.

Tra il 1986 e il 2015, le temperature in Pakistan sono aumentate di 0,3° C ogni decennio, un valore superiore alla media globale».

I ricercatori concordano ma fanno anche presente che altri fattori hanno probabilmente contribuito alla crisi umanitaria in corso che presto si trasformerà in devastazione economica, come un sistema di allerta precoce inefficace per inondazioni, la cattiva gestione dei disastri, l’instabilità politica e uno sviluppo urbano non regolamentato. 

Il diluvio pakistano è stato anche amplificato dalla mancanza di infrastrutture di drenaggio e stoccaggio delle acque e dal fatto che milioni di persone vivono in aree ad elevatissimo rischio idrogeologico.

Aslam conclude: «Questi sono problemi di governance, ma sono minuscoli in relazione al livello della tragedia che stiamo vedendo accadere».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 5 settembre 2022 sul sito online “greenreport.it”)

 

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