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Rodolfo Bosi
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Home Approfondimenti

Prepararsi al climate endgame. Sottovalutati i fattori di rischio catastrofico per la società e l’umanità

03/08/2022
in Approfondimenti, Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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Gli scienziati avvertono che «se gli aumenti delle temperature sono peggiori di quanto molti prevedevano o causano eventi a cascata che dobbiamo ancora prendere in considerazione o, in effetti, entrambe le cose, il riscaldamento globale potrebbe diventare “catastrofico” per l’umanità. Il mondo deve iniziare a prepararsi alla possibilità di un “climate endgame”».

A dirlo nello studio “Climate Endgame: Exploring catastrophic climate change scenarios” pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences  (PNAS) è un team internazionale di ricercatori guidato dall’università di Cambridge, che propone un’agenda di ricerca per affrontare gli scenari climatici  peggiori che includono dalla perdita del 10% della popolazione globale all’eventuale estinzione della specie umana e che chiede  all’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) di dedicare un futuro rapporto ai cambiamenti climatici catastrofici, sia per stimolare la ricerca che per informare l’opinione pubblica mondiale.

Secondo il principale autore dello studio, Luke Kemp del Centre for the Study of Existential Risk e del Darwin College dell’università di Cambridge, «ci sono molte ragioni per credere che il cambiamento climatico possa diventare catastrofico, anche a livelli di riscaldamento modesti.

Il cambiamento climatico ha avuto un ruolo in ogni evento di estinzione di massa. 

Ha favorito la caduta di imperi e ha plasmato la storia. 

Anche il mondo moderno sembra adattato a una particolare nicchia climatica.

I percorsi verso il disastro non si limitano agli impatti diretti delle alte temperature, come gli eventi meteorologici estremi.

Effetti a catena come crisi finanziarie, conflitti e nuove epidemie potrebbero innescare altre calamità e impedire la ripresa da potenziali disastri come una guerra nucleare.

Il rischio catastrofico c’è, ma abbiamo bisogno di un quadro più dettagliato».

La modellazione realizzata dal team di eminenti scienziati mostra «aree di caldo estremo (una temperatura media annuale di oltre 29° C), che potrebbero interessare 2 miliardi di persone entro il 2070.

Queste aree non solo sono alcune delle più densamente popolate, ma anche alcune delle più fragili dal punto di vista politico».

Un altro autore dello studio, Chi Xu dell’università di Nanchino, evidenzia che «le temperature medie annuali di 29 gradi colpiscono attualmente circa 30 milioni di persone nel Sahara e nella costa del Golfo.

Entro il 2070, queste temperature, e le loro conseguenze sociali e politiche, influenzeranno direttamente due potenze nucleari e sette laboratori di massimo contenimento che ospitano i patogeni più pericolosi. 

C’è un serio potenziale per effetti a catena disastrosi».

Il rapporto pubblicato dall’IPCC nel 2021 suggerisce che se la CO2 raddoppierà raddoppia rispetto ai livelli preindustriali – e siamo a metà strada – c’è una probabilità di circa il 18% che le temperature salgano di oltre  4,5° C.

Però, Kemp, che è stato uno degli autori dello studio “Focus of the IPCC Assessment Reports Has Shifted to Lower Temperatures” pubblicato a maggio su Earth’s Future,  fa notare che «le valutazioni dell’IPCC si sono spostate dal riscaldamento di fascia alta per concentrarsi sempre più sugli aumenti di temperatura più bassi».

Un lavoro che a sua volta si basa su uno studio precedente, “Betting on the best case: higher end warming is underrepresented in research”, pubblicato nel 2021 su Environmental Research Letters da un team di cui faceva parte Kemp,  che ha contribuito a dimostrare che «gli scenari delle temperature estreme sono sottoesplorati rispetto alla loro probabilità». 

E Kemp conferma: «Sappiamo meno degli scenari che contano di più».

Il team che ha pubblicato l’ultimo studio su PNAS propone un’agenda di ricerca che include quelli che chiama i “quattro cavalieri” del climate endgame: carestia e malnutrizione, condizioni meteorologiche estreme, guerre e malattie trasmesse da vettori.

I ricercatori avvertono che «l’ aumento delle temperature rappresenta una grave minaccia per l’approvvigionamento alimentare globale, con crescenti probabilità di “fallimenti del paniere alimentare” perché le aree più produttive del mondo dal punto di vista agricolo subiranno crolli collettivi.

Un clima più caldo ed estremo potrebbe anche creare le condizioni per nuove epidemie poiché gli habitat sia per le persone che per la fauna selvatica si spostano e si restringono».

E i rischi globali per la civiltà umana non finiscono qui: «Il collasso climatico potrebbe esacerbare altre “minacce interagenti”: dalla crescente disuguaglianza e disinformazione al collasso democratico e persino a nuove forme di armi distruttive dell’Intelligenza artificiale».

Un possibile e terribile futuro evidenziato nello studio riguarda le “guerre calde” nelle quali superpotenze tecnologicamente avanzate combattono sia per ritagliarsi uno spazio vitale in un mondo ad elevato tenore di carbonio, sia per realizzare giganteschi esperimenti  per deviare la luce solare e ridurre le temperature globali.

Lo studio evidenzia che i rischi estremi sono stati sottovalutati e che «una maggiore attenzione dovrebbe concentrarsi sull’identificazione di tutti i potenziali punti di non ritorno all’interno della “Terra serra”: dal metano rilasciato dal permafrost che si scioglie, alla perdita di foreste che fungono da “pozzi di carbonio” e persino al potenziale estinzione della copertura nuvolosa».

Un altro autore dello studio, Johan Rockström, direttore del Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung (PIK) fa notare che «più impariamo su come funziona il nostro pianeta, maggiore è il motivo di preoccupazione.

Comprendiamo sempre più che il nostro pianeta è un organismo più sofisticato e fragile. 

Dobbiamo fare i conti del disastro, per evitarlo».

Anche secondo la coautrice dello studio, Kristie Ebi dell’università di Washington – Seattle, «abbiamo bisogno di un lavoro interdisciplinare per capire come il cambiamento climatico potrebbe innescare la morbilità e la mortalità umana di massa».

Kemp ha concluso: «Un maggiore apprezzamento degli scenari climatici catastrofici può aiutare a costringere ad attuare un’azione pubblica. Comprendere l’inverno nucleare ha svolto una funzione simile per i dibattiti sul disarmo nucleare.»

Kemp e ci suoi colleghi mettono in guardia sulle conseguenze di un riscaldamento globale di 3° C: «Sappiamo che l’aumento della temperatura ha una “fat tail”, il che significa un’ampia gamma di probabilità più basse ma esiti potenzialmente estremi.

Affrontare un futuro di accelerazione del cambiamento climatico rimanendo ciechi di fronte agli scenari peggiori è, nel migliore dei casi, una gestione ingenua del rischio e, nel peggiore dei casi, è fatalmente sciocca».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 2 agosto 2022 sul sito online “greenreport.it”)

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