
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
IL FOTOVOLTAICO VA INSTALLATO SU SUPERFICI CHE NON FORNISCONO PIÙ SERVIZI ECOSISTEMICI.
Temo non sia chiaro fra tutti i contendenti alle elezioni politiche come la rinuncia alle fonti fossili non debba avvenire a scapito del “suolo” e dei suoi “servizi ecosistemici” necessari alla “sopravvivenza umana” nel periodo infinito in cui si svilupperanno gli effetti dei cambiamenti climatici.
Nel Rapporto Ispra 2021 è stata fatta una stima della superficie potenzialmente disponibile per l’installazione di impianti fotovoltaici sui tetti e relative ipotesi sulla potenza fotovoltaica installabile.
La superficie totale degli edifici ricavabile dalla carta del suolo consumato 2020, al netto di quelli ricadenti nei centri storici la cui installazione è inopportuna per ragioni storico-paesaggistiche, ammonta a 3.481 km2.
Tenendo conto delle indicazioni a livello europeo sulla percentuale dei tetti effettivamente utilizzabile per ospitare pannelli fotovoltaici, oscillante tra il 49% e il 64% di riduzione della superficie, più un ulteriore 60% di riduzione di superficie per garantire la distanza minima tra pannelli per la loro manutenzione resta una superficie netta disponibile che può variare da 682 a 891 km2.
Tale superficie netta disponibile sarebbe in grado di fornire dai 66 agli 86 GW.
Lo studio di Ispra, poi, in considerazione del fatto che sul 10% delle superfici artificiali possano essere già stati installati pannelli fotovoltaici, stima la produzione di una potenza fotovoltaica compresa tra 59 e 77 GW, un quantitativo sufficiente a coprire l’aumento di energia rinnovabile previsto dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) al 2030.
Da notare che in questo calcolo sono rimaste escluse altre superfici artificiali utilizzabili, quali aree di parcheggio, aree adiacenti autostrade, linee ferroviarie, aree adiacenti altre infrastrutture e altre aree dismesse o comunque già impermeabilizzate.
DALLA “SOVRANITÀ ALIMENTARE” ALLA “SOVRANITÀ ENERGETICA”
Si deve, altresì, “rivoluzionare” la modalità di “approvvigionamento di energia” dal sole e favorire la costituzione fra associazioni di quartiere, aziende e singole famiglie di “comunità energetiche” che condividono la produzione di energia dal sole e la condividono all’interno dello stesso territorio, riducendo la dipendenza dalle grandi compagnie e dalle fluttuazioni del mercato internazionale dell’energia.
Con le comunità energetiche quell’energia ceduta in rete potrebbe essere messa a disposizione della comunità circostante, rendendo quei tetti una risorsa per tutta la cittadinanza e salvando nuovo consumo di suolo per produrre energia rinnovabile.
Aumentare gli spazi per l’auto produzione alimentare ed energetica dei territori è anche una forma di lotta contro gli effetti perversi della globalizzazione gestita da grandi aziende multinazionali, dai colossi dell’e-commerce, dall’ imperialismo economico e commerciale della Cina e delle grandi potenze, che stanno, tra l’altro, scippando le risorse naturali dei paesi più poveri.
Schiavon Dante