In Europa e nel mondo si è parlato molto di «Città 30» e sicurezza stradale.
Nel vecchio continente ogni anno 22.700 persone vengono uccise dagli automobilisti e 120 mila rimangono gravemente ferite (il 37% dei decessi si registra nelle zone urbane).
Italia a parte, quasi ovunque sono già passati ai fatti: molte città europee – tra cui Parigi, Londra, Barcellona, Siviglia, Bruxelles, Berlino, Edimburgo – sono la prova circolante che il provvedimento funziona anche se applicato in maniera parziale e che non si tratta solo di convincere gli automobilisti a stare più leggeri con il piede sull’acceleratore.
UNA CITTA’ DOVE QUASI TUTTE le strade hanno un limite di velocità non superiore ai 30 Km/h è uno spazio urbano che ha subìto importanti interventi strutturali per togliere asfalto vitale alle automobili (marciapiedi più larghi, doppie corsie per le auto dimezzate, dossi, nuovi semafori piste ciclabili protette, nuove piantumazioni e più panchine in zone «car free»|…).
INSOMMA, REINVENTARE lo spazio pubblico a tutto beneficio di pedoni e ciclisti non solo è necessario – meno inquinamento, meno morti, meno rumore – ma è possibile.
E i fanatici dell’automobile non devono temere più tanto: non si verificherebbe nessun allungamento dei tempi di percorrenza, anzi il traffico scorrerebbe più fluido e con meno ingorghi.
Succede già in molte città europee.
Gli esempi sono decine e decine e stanno facendo scuola con risultati straordinari, se solo ci fosse qualche sindaco nostrano disposto ad imparare rapidamente la lezione (progetti avanzati in questo senso ci sono anche in Italia, a Parma, Bologna, Olbia, Cesena, Cosenza e in altri piccoli centri virtuosi grazie alla buona volontà dei sindaci).
VEDIAMONE ALCUNI.
In Francia, nelle città dove si circola a 30 Km/h, la mortalità in seguito agli incidenti si è ridotta del 70%.
A Grenoble, Lille (dove i ciclisti sono più che raddoppiati dal 2019), Nantes, Nizza, Montpellier e in altre duecento città medie e piccole.
A Chambery va attribuito il merito di averci pensato già nel 1979, quando c’erano circa 450 incidenti all’anno.
A Edimburgo (Scozia) la riduzione ha fatto registrare il 40% di incidenti in meno e il 33% di decessi in meno.
A Bruxelles (Belgio) si è riscontrata addirittura una maggiore fluidità del traffico e una sostanziale diminuzione di incidenti e di decessi dal 2021: il numero di morti e feriti è calato del 25% nei primi sei mesi rispetto alla media registrata tra il 2016 e il 2020 (da 87,8 si è scesi a 65).
A HELSINKI (FINLANDIA), nell’anno in cui il limite è stato adottato ovunque (2019) nessun pedone o ciclista ha perso la vita.
ANCHE LA SPAGNA HA TIRATO il freno: dal 2021 il limite è di 20 Km/h nelle strade urbane a senso unico e di 30 per quelle con una sola corsia per senso di marcia (50 per quelle a due corsie).
Bilbao, per esempio, dal 2020 ha tutte le strade con il limite a 30 e diverse città si sono già attrezzate per andare gradualmente in quella stessa direzione (Madrid, Saragozza, Malaga, Alicante, Oviedo, Pamplona…).
A GRAZ (AUSTRIA) IL LIMITE di velocità è storia da decenni e mentre nel 1992 solo il 44% dei cittadini aveva approvato la svolta oggi il gradimento supera l’80% (più che dimezzata la mortalità e una riduzione del 30% del rumore percepito).
A Zurigo (Svizzera) nel 2019 è stato calcolato che il rumore da traffico è calato addirittura del 50%.
Londra e Parigi sono le metropoli che più di tutte hanno rallentato la corsa del traffico automobilistico con l’istituzione di diverse centinaia di zone con limiti fissati alla fatidica soglia dei 30 chilometri orari.
QUANTO AD AMSTERDAM e Copenaghen, di fatto sono le città che per definizione hanno compreso per prime l’urgenza di umanizzare la velocità per il bene di tutti (automobilisti riottosi compresi).
(Articolo di Roberto Maggioni, pubblicato con questo titolo il 19 gennaio 2023 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)
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