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Rodolfo Bosi
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Home Archivi

Il Gran Sasso tra free rider, verdi integrali e falchi «No Sic»

27/12/2015
in Archivi, Aree naturali protette, edilizia, Governo del territorio, MATERIE TRATTATE, Natura, News, Parchi Nazionali, Piani territoriali, Siti di Importanza Comunitaria (SIC), Zone di Protezione Speciale (ZPS)
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Bivacco Bafile sul Gran Sasso

Bivacco Bafile sul Gran Sasso, Corno Grande

Da un lato i lavoratori della montagna, dall’altro le associazioni ecologiste.

In mezzo il Gran Sasso.

È, sì, uno scontro di interessi, quello che oppone — in sintesi — il comitato «#SaveGranSasso» — nato a L’Aquila per chiedere la riperimetrazione dei Siti di Interesse Comunitario (Sic) e delle Zone di Protezione Speciale (Zps) del Parco nazionale dei Monti della Laga — al cartello di associazioni ecologiste «EmergenzAmbiente Abruzzo» (appoggiato dal Prc) che combatte per andare nella direzione opposta e si oppone alla costruzione di nuovi impianti di risalita e seggiovie nelle aree tutelate.

Ma è anche un conflitto tra due modi opposti di pensare la montagna e la salvaguardia della natura, tra chi mette al primo posto la protezione delle specie animali e vegetali perfino a costo di creare zone off limits all’uomo, e chi crede che invece al centro delle politiche ambientaliste debbano comunque essere messe prima le persone, con i loro bisogni e i loro desideri, come sostengono molti operatori del settore ma anche alcuni amanti degli sport d’alta quota.

L’associazione giovanile «GranSassoAnnoZero», per esempio, preme per il finanziamento di progetti che promuovano la «cultura del free-ride in sicurezza, sci alpinismo, snowpark, bikepark, sci da fondo, parapendio, arrampicata, trekking», ecc.

Ma anche una pista di downhill può cozzare contro i vincoli di una zona Sic.

È una diatriba che si ripete da anni e che divide tante comunità montane, dalle Alpi alla Sicilia, a Livigno come sui Colli Berici, nel Parco del Pollino come in Abruzzo.

Non solo a L’Aquila, dunque, dove comunque la battaglia, almeno per il momento, è stata vinta dagli ambientalisti, dall’Ente parco e dal gruppo consiliare di Rifondazione comunista perché a bocciare il progetto comunale di costruzione di una nuova seggiovia in località le Fontari — prima opera di un Piano d’Area più ampio che prevede in futuro impianti di risalita à gogo per un costo complessivo di circa 40 milioni di euro — è arrivato all’inizio di dicembre il no del Comitato regionale per la Valutazione di impatto ambientale.

Il nuovo tracciato, che è lungo il doppio di quello che si vorrebbe sostituire e finisce in una delle zone tutelate, è stato giudicato «insostenibile» nell’impatto con un territorio annoverato tra i bacini di maggiore biodiversità d’Europa.

Ma la bocciatura era nell’aria e la petizione lanciata su avaaz​.org dal consigliere Prc Enrico Perilli che, al contrario del comitato «#SaveGranSasso», chiede di salvare le zone Sic e Zps e propone piuttosto di «puntare sul turismo sostenibile» per rilanciare l’economia locale, ha raggiunto ormai la quota di 10 mila firme.

Enrico Perilli

Enrico Perilli

Tutto questo, aggiunto alla minaccia del Prc di uscire dalla giunta di Massimo Cialente, ha convinto i «pro» a trattare con i «contro».

L’accordo raggiunto, con la mediazione del vicepresidente della Regione Giovanni Lolli, prevede innanzitutto l’impegno del centrosinistra a mantenere immutati i confini del parco e dei suoi vincoli, con buona pace dei «falchi no Sic».

Comune e Regione finanzieranno inoltre, con una parte dei fondi destinati alla ricostruzione post terremoto, una serie di interventi di rinaturalizzazione del territorio e di promozione di una vera cultura montana nella comunità aquilana.

Dove, a dire il vero, colate di cemento e mega opere sono quasi sempre state, nell’accezione comune, sinonimo di sviluppo.

E così, al posto di impianti di risalita inutili (quelli esistenti funzionano al massimo 40 giorni l’anno e nel Piano d’area sono previsti alcuni che dovrebbero arrivare solo a quota 1.400 metri. Ma anche in Trentino, se non fosse per gli aiuti regionali, molti impianti avrebbero già chiuso per fallimento) si è deciso di ristrutturare i rifugi ad alta quota e quelli pastorali abbandonati, ammodernare le strutture turistiche esistenti, smantellare i vecchi impianti in disuso, realizzare e sistemare una rete articolata di sentieri per escursioni giornaliere e trekking di lunga durata, anche su terreno innevato.

Per un piano d’area molto più ambizioso di quello supportato dai maestri di sci locali: far riconoscere dall’Unesco il Gran Sasso come Patrimonio mondiale dell’umanità.

 

(Articolo di Eleonora Martini, pubblicato con questo titolo il 19 dicembre 2015 su “Il Manifesto”)

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