Inizio da oggi una serie di editoriali dedicati ai referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno 2025.
La ragione principale, ad ormai un mese dal voto, è quella di sopperire alla mancata informazione che é stata registrata finora ed addirittura al loro boicottaggio da parte delle forze di maggioranza.
Partiamo da una informazione generale.
Referendum abrogativo – Come dovrebbe esser noto, il referendum abrogativo previsto dall’art. 75 della Costituzione stabilisce che 500.000 cittadini o 5 Consigli regionali, possono proporre all’intero corpo elettorale “l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge“.
Per legge si intende una legge in senso formale, cioè approvata dal Parlamento secondo il procedimento ordinario, mentre per “atto avente valore di legge” si intendono i decreti legge e i decreti legislativi (adottati dal Governo su legge delega del Parlamento).
La Corte Costituzionale si pronuncia sull’ammissibilità del referendum.
Perché poi il referendum sia valido deve essere raggiunto il quorum di validità e cioè devono partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto.
Perché la norma oggetto del referendum stesso sia abrogata deve essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
Hanno diritto a partecipare al referendum tutti cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei Deputati.
La legge n. 352 del 25 maggio 1970 (“Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo”) dispone le modalità di attuazione della procedura referendaria.
Genesi dei 5 referendum abrogativi – Un quesito chiede di modificare le norme sulla cittadinanza e gli altri quattro riguardano il lavoro.
Il referendum sulla cittadinanza é stato proposto all’inizio di settembre del 2024 dal deputato Riccardo Magi, del partito progressista +Europa, a cui poi si sono aggiunti diversi altri partiti e associazioni, ed ha raccolto più di 637mila firme in poco tempo grazie a una massiccia mobilitazione online.
I quesiti sul lavoro riguardano invece tra le altre cose il Jobs Act, la legge sul lavoro introdotta nel 2015 dal governo di Matteo Renzi, e alcune norme approvate tra il 2008 e il 2021 sulla responsabilità solidale delle aziende committenti in caso di infortunio e malattia professionale dei lavoratori in appalto.
Sono stati proposti dalla CGIL e sono sostenuti da PD, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra: si sono dichiarati contrari, oltre ai partiti della maggioranza di governo, anche Azione e Italia Viva, il partito di Renzi.
Sui 4 quesiti sono state raccolte oltre quattro milioni di adesioni.
Tutti e cinque i quesiti sono stati dichiarati ammissibili dalla Corte costituzionale durante la camera di consiglio del 20 gennaio 2025, in cui invece è stata respinta la richiesta di referendum abrogativo della legge Calderoli sull’autonomia differenziata, dichiarata inammissibile.
Ai sensi dell’art. 87 della Costituzione con Decreto del Presidente della Repubblica del 25 marzo 2025 sono stati indetti i seguenti 5 referendum:
- «Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione»
- «Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale»
- «Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi»
- «Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione»
- «Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana».
Come e quando si vota – Con il D.P.R. del 25 marzo 2025 con cui sono stati indetti i 5 referendum sono state fissate anche le seguenti date e orari: Domenica 8 giugno dalle 7:00 alle 23:00 e lunedì 9 giugno dalle 7:00 alle 15:00.
Potranno votare anche i fuori sede che hanno presentato la domanda entro il 5 maggio per votare in un comune diverso da quello di residenza, gli italiani residenti all’estero iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) e quelli che si trovano temporaneamente fuori dall’Italia per motivi di lavoro, studio e cure mediche, a patto che abbiano fatto la richiesta entro il 7 maggio (tutte le indicazioni sono sul sito del ministero degli Esteri).
Modalità di voto: ogni elettore riceverà cinque schede di colore diverso, una per ciascun quesito.
Per ogni scheda, si potrà votare “Sì” per abrogare la norma o “No” per mantenerla.
Quorum: i cinque quesiti proposti sono stati tutti formulati come referendum abrogativi, cioè con cui i cittadini hanno potuto richiedere di eliminare del tutto o in parte le norme contestate.
Pertanto, come previsto dall’art. 75 della Costituzione italiana, ciascuno di essi sarà dichiarato valido se l’affluenza registrata supererà il quorum previsto della maggioranza (50% più uno) degli elettori, indipendentemente dal risultato positivo o negativo delle consultazioni.
Le posizioni delle forze politiche – Nella tabella seguente sono elencate tutte le posizioni, se presenti, dei partiti politici presenti nel Parlamento italiano ed europeo o associati a uno dei comitati promotori dei quesiti.
Invito all’astensionismo – “Andare a votare ai referendum è una scelta libera.
È una scelta non andare a votare“.
Con queste parole il ministro degli Esteri Antonio Tajani si è espresso a margine degli Stati generali dello sport organizzati da Forza Italia.
“Se la legge prevede che ci deve essere un quorum vuol dire che i cittadini devono conoscere l’importanza dei quesiti. Noi non condividiamo quindi non andare a votare è una scelta politica, non è una scelta di disinteresse nei confronti degli argomenti“, ha aggiunto il vicepremier e segretario di Forza Italia ricordando che “non c’è nessun obbligo di andare a votare” e che “è illiberale chi vuole obbligare ad andare a farlo“.
Tajani ha poi concluso: “Un conto è per le politiche, un altro per i referendum.
Se i referendum uno considera che non sia giusto, è giusto che non raggiunga il quorum“.
Nel 2016 è stato il Presidente Giorgio Napolitano a fare altrettanto, peraltro in modo esplicito e poco equivocabile: “Se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità; non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria“.
Ma allo stesso riguardo il Presidente Sergio Mattarella in occasione della festa dello scorso 25 aprile ha descritto la lotta all’astensionismo come “una lotta per affermare la democrazia nel nostro Paese“.
Anche ad ammettere che non c’è nessun obbligo di andare a votare per i referendum, nella posizione dell’On. Taiani, così come delle forze di maggioranza di governo e di quelle che portano oggi le stesse motivazioni, non si può non registrare una estrema contraddizione relativa proprio al quorum, dal momento che si esclude a priori che il 50% più uno dei voti possa essere raggiunto non solo dai “sì”, ma anche dai “no”.
In termini democratici che senso ha disincentivare una partecipazione al voto per far fallire i referendum, sperperando coscientemente il denaro pubblico che occorre per lo svolgimento di un a consultazione che invece dovrebbe essere sempre e comunque stimolata per garantire il raggiungimento del quorum e sapere sempre alla fine se abbiano vinto i “sì” oppure i “no”.
Dalla suddetta constatazione si desume che le forze di maggioranza di governo abbiano paura del voto democratico dei cittadini.
Per queste ragioni, dedicherò i successivi editoriali specificatamente ad ognuno dei 5 quesiti, fornendo per ognuno tutte le dovute informazioni pro o contro, che possano consentire ad ogni cittadino di andare a votare convintamente con una libera scelta tanto per un “sì” quanto per un “no”.
Dott. Arch. Rodolfo Bosi
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