l progetto “Offshore Ibleo” di Eni e Edison è un progetto destinato alla produzione di gas naturale: secondo la descrizione che ne fa l’Eni prevede lo sviluppo integrato di due giacimenti a metano, Argo e Cassiopea (scoperti nel 2008 a circa 20-22 km al largo della costa di Agrigento), localizzati nel Canale di Sicilia, 7 chilometri l’uno dall’altro, a circa 30 chilometri dalla costa e a una profondità d’acqua di oltre 600 metri.
Lo sviluppo del progetto implica la realizzazione di 8 nuovi pozzi di produzione e l’utilizzo di infrastrutture esistenti quali la piattaforma Prezioso e il gasdotto Greenstream, in una zona del Canale di Sicilia ad una trentina di chilometri al largo della costa delle province di Ragusa, Caltanisetta ed Agrigento: il progetto interesserà un’area di oltre 145 chilometri quadrati per 20 anni.
Il tracciato del gasdotto Greenstream, lungo 520 Km., realizzato tra il 2003 ed il 2004: collega la Libia alla Sicilia e trasporta a pieno regime 8 MLD di metri cubi di gas naturale all’anno.
Piattaforma Prezioso
Per l’esattezza il progetto prevede al largo delle coste di Licata la perforazione ed il completamento di sei pozzi nei campi ARGO e CASSIOPEA (Argo 2 e Cassiopea 1-5) e la perforazione di due pozzi esplorativi (Centauro 1 e Gemini 1)”, a beneficio di ENI Spa.
L’area marina interessata è situata all’interno del Canale di Sicilia, canale strategico per le rotte marine e per la presenza di fauna marina, tra cui specie protette di cetacei tutelati, oggetto del programma di ricerca denominato “Biodiversità Canale di Sicilia”: inoltre è ubicata all’interno della ZPS “Torre Manfria, Biviere e Piana di Gela”, per il 3,6% della superficie totale della Rete Natura regionale, in prossimità del SIC “Biviere e Macconi di Gela”, inclusa nell’Important Bird Area (IBA) n. 166 “Biviere e Piana di Gela”.
Mentre gli 8 pozzi ricadono nella suddetta specifica area marina del Canale di Sicilia, le rimanenti opere, quali l’installazione di una piattaforma (denominata “Prezioso K” a circa 60 metri da altra piattaforma esistente “Prezioso”) e la posa delle relative condotte sottomarine, ricadono all’esterno dell’area, a 11 chilometri dalla costa.
Il progetto prevede anche un’area a terra (“onshore”) di circa 2.500 mq per la realizzazione di infrastrutture di connessione con la rete distributiva e per stoccaggio temporaneo, a circa 5 chilometri dal centro del Comune di Gela.
L’area “onshore” è gravata da vincolo idrogeologico ed è situata a 2,6 km dal Biviere di Gela, il più grande lago costiero siciliano, Riserva Generale Orientata, protetta in base alla legge n. 394/91 e classificata quale Zona Umida di Importanza Internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar per la tutela di diverse specie di fauna, migratoria e stanziale, e floristico-vegetazionale.
Anche il Golfo di Gela riveste importanza naturalistica quale rotta di avifauna acquatica tra Europa e Africa, espressamente tutelata dall’Accordo AEWA nell’ambito della convenzione di Bonn per la conservazione delle specie migratrici, ratificata in Italia dalla l. n. 66/06.
La fascia costiera dunale del SIC ospita a sua volta, in aree demaniali, habitat prioritari e specie “target” (Muscari gussonei Leopoldia) mentre le Isole Pelagie, in area “C” e “G” sono aree marine protette.
Sul progetto nel corso del 2010 ha espresso parere negativo la Regione Siciliana, che ha evidenziato la problematica relativa ai danni ambientali derivanti da trivellazioni da piattaforme petrolifere in vicinanza a coste già soggette a un forte processo di antropizzazione e de naturalizzazione, con conseguente sottrazione di poteri amministrativi regionali da parte del Ministero.
Ma poi c’è stato il parere istruttorio conclusivo della domanda AIA-VIA presentata da Eni s.p.a. Piattaforma Prezioso K del 14 febbraio 2013 n. 593, a cui ha fatto seguito il 21 giugno 2013 il parere favorevole n. 1263 CTVA espresso dalla Commissione Integrata VIA-IPPC sul progetto “Offshore Ibleo Campi Gas Argo e Cassiopea, pozzi esplorativi Centauro 1 e Gemini 1”.
Il 19 agosto 2013 anche il Ministero dei Beni e le Attività Culturali e del Turismo, Direzione Generale del Paesaggio ha espresso parere favorevole sulla “Pronuncia di compatibilità ambientale Concessione d3C.G.-A.G. perforazione dei pozzi Gemini 1 e Centauro 1 e sviluppo dei giacimenti Argo e Cassiopea – Proponente ENI Spa Direzione Exploration & Production”.
Il progetto è stato consentito dall’articolo 38 del decreto Sblocca Italia, convertito nella Legge 164/2014: in forza anche e soprattutto del suddetto dispositivo è stato emanato il Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di concerto con il Ministro dei Beni e le Attività Culturali e del Turismo n. 149 del 27 maggio 2014, recante “Concessione di coltivazione d.3G.C.-A.G. derivante dai permessi di ricerca G.R.13.AG e G.R.14.AG”.
Con decreto del Direttore Generale della Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche del 31 ottobre 2014 è stata conferita a favore di Eni S.p.A. ed Edison S.p.A. la concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi contraddistinta dalla sigla “G. C1. AG” ubicata nel Canale di Sicilia, nella zona marina “G” per una durata di venti anni.
Il 6 novembre 2014 è stato firmato un contestato protocollo tra l’ENI ed il Presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta (vedi https://www.rodolfobosi.it/trivelle-in-sicilia-altro-che-ricchezza-i-dati-di-crocetta-sono-solo-sogni/).
Un paio di mesi fa il Movimento 5 Stelle ha segnalato alla Commissione Europea diverse possibili violazioni, che ora sono al vaglio congiunto della direzione generale Ambiente e di quella Energia.
Il Ministero per lo Sviluppo Economico (MISE) ha dato l’ok al progetto, che amministratori locali e associazioni ambientaliste hanno deciso di impugnare davanti al Tribunale amministrativo del Lazio: hanno chiesto ai giudici amministrativi di sospendere l’autorizzazione del ministero dello Sviluppo economico e rigettare il progetto, perché, secondo i ricorrenti, “si basa su una procedura di valutazione del rischio che è monca, pericolosa e inaccettabile“.
L’8 gennaio 2015 sono stati presentati dei motivi aggiunti per impugnare anche il decreto del Direttore Generale della Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche del 31 ottobre 2014.
Con Sentenza del TAR n. 7782 del 3 giugno 2015 è stato rigettato il ricorso.
Ne è stata data fra gli altri notizia nel seguente articolo, pubblicato con questo titolo il 4 giugno 2015 sul sito “ide@zione.news.it“.
Dichiarato infondato, ieri, dal Tar del Lazio, il ricorso dei comuni della costa del Canale di Sicilia contro l’accordo Regione – Eni per la ricerca di nuovi giacimenti petroliferi.
Adesso potrebbero sorgere altri 8 nuovi pozzi tra Gela, Licata e Ragusa.
Alla luce del provvedimento della giustizia amministrativa, torna a tuonare il Movimento 5 Stelle.
“Il contestato protocollo tra Crocetta e l’Eni del 6 novembre scorso, grazie anche al famigerato art. 38 dello Sblocca Italia di Renzi, comincia a produrre tutti i suoi effetti negativi”.
Lo ha detto il presidente della commissione ambiente all’Ars, il pentastellato Giampiero Trizzino.
Contro tale protocollo il M5S ha presentato oltre a due mozioni, votate favorevolmente in aula, a firma delle due deputate Angela Foti e Valentina Palmeri, anche un disegno di legge, nonché due proposte di referendum: uno consultivo ed uno abrogativo, entrambi approvati in commissione ambiente ed ancora in attesa di essere discussi in aula.
“Crocetta, che ricordiamo durante la campagna elettorale siglò l’impegno con Greenpeace a non trivellare, – aggiunge Trizzino – apra gli occhi e faccia immediatamente marcia indietro, perché in questo modo consegna la Sicilia alla devastazione del mare e delle coste”.
“È inconcepibile che al 2015 si debba ancora parlare di estrazione di fonti fossili – afferma il deputato alcamese Valentina Palmeri – quando il mercato energetico fornisce ormai alternative ecosostenibili riconosciute a livello mondiale, capaci di garantire anche il mantenimento dei livelli occupazionali”.
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Si riporta di seguito per esteso la pronuncia del TAR.
07782/2015 REG.PROV.COLL.
11490/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11490 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Greenpeace Onlus, Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF) Onlus Ong, Italia Nostra Onlus, Legambiente Onlus, Lega Italiana Protezione degli Uccelli – LIPU Birdlife Italia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., Comune di Ragusa, Comune di Santa Croce Camerina, Comune di Palma di Montechiaro, Comune di Licata, Comune di Scicli, in persona dei rispettivi Sindaci p.t., Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci), Legacoop Pesca Sicilia, Touring Club Italia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., tutti rappresentati e difesi dall’avv. Valentina Stefutti, con domicilio eletto presso la medesima in Roma, viale Aurelio Saffi, 20;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Ministero dello Sviluppo Economico, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi, 12; Comune di Gela;
nei confronti di
– Eni Spa – Upstream, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. prof. Stefano Grassi, con domicilio ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del Tar Lazio in Roma, Via Flaminia 189; – Edison Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Eugenio Bruti Liberati, Alessandra Canuti e Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo in Roma, Via Giulio Cesare, 14;
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
Comune di Vittoria, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Angela Bruno e Carmelo Giurdanella, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, Via dei Barbieri, 6;
per l’annullamento
1) quanto al ricorso:
– del Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di concerto con il Ministro dei Beni e le Attività Culturali e del Turismo n. 149 del 27 maggio 2014, recante “Concessione di coltivazione d.3G.C.-A.G. derivante dai permessi di ricerca G.R.13.AG e G.R.14.AG: perforazione e completamento di sei pozzi nei campi ARGO e CASSIOPEA (Argo 2 e Cassiopea 1-5) e perforazione di due pozzi esplorativi (Centauro 1 e Gemini 1)”, a beneficio di ENI Spa, del parere n. 1263 CTVA del 21 giugno 2013 della Commissione Integrata VIA-IPPC, afferente il progetto “Offshore Ibleo Campi Gas Argo e Cassiopea, pozzi esplorativi Centauro 1 e Gemini 1”, del parere istruttorio conclusivo della domanda AIA-VIA presentata da Eni s.p.a. Piattaforma Prezioso K del 14 febbraio 2013 n. 593, del parere del Ministero dei Beni e le Attività Culturali e del Turismo, Direzione Generale del Paesaggio del 21 giugno 2013 del 19 agosto 2013 “Pronuncia di compatibilità ambientale Concessione d3C.G.-A.G. perforazione dei pozzi Gemini 1 e Centauro 1 e sviluppo dei giacimenti Argo e Cassiopea – Proponente ENI Spa Direzione Exploration & Production” nonchè di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali, nessuno escluso, ancorchè non conosciuti e con riserva espressa di formulare motivi aggiunti.
2) quanto ai motivi aggiunti depositati l’8.1.2015:
– del decreto del Direttore Generale della Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche del 31 ottobre 2014, con cui è stata conferita a favore di Eni s.p.a. ed Edison s.p.a., la concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi contraddistinta dalla sigla “G. C1. AG” ubicata nel Canale di Sicilia, nella zona marina “G” per una durata di venti anni nonchè di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali, nessuno escluso, ancorchè non conosciuti e con riserva espressa di formulare motivi aggiunti.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, del Ministero dello Sviluppo Economico nonchè di Eni Spa ed Edison Spa, con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 6 maggio 2015 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, tutti i soggetti in epigrafe, a vario titolo legittimati all’impugnativa, chiedevano l’annullamento dei provvedimenti descritti e individuati in epigrafe.
In sintesi, nella parte narrativa, i ricorrenti evidenziavano quanto segue:
a) la vicenda riguardava la compatibilità ambientale del progetto “Offshore Ibleo” e del programma di lavori relativo alla concessione di coltivazione derivante da permessi di ricerca relativa alla perforazione e completamento di sei pozzi di estrazione gas in due distinti campi e alla perforazione di altri due pozzi esplorativi, situati nel Canale di Sicilia, al largo delle coste del Comune di Licata, oltre ad altre opere;
b) i pozzi ricadevano in specifica area marina mentre le rimanenti opere, quali l’installazione di una piattaforma (denominata “Prezioso K” a circa 60 metri da altra piattaforma esistente “Prezioso”) e la posa delle relative condotte sottomarine, ricadevano all’esterno dell’area, a 11 chilometri dalla costa;
c) il progetto prevedeva anche un’area a terra (“onshore”) di circa 2.500 mq per la realizzazione di infrastrutture di connessione con la rete distributiva e per stoccaggio temporaneo, a circa 5 chilometri dal centro del Comune di Gela;
d) l’area era situata all’interno del Canale di Sicilia, canale strategico per le rotte marine e per la presenza di fauna marina, tra cui specie protette di cetacei tutelati, oggetto del programma di ricerca denominato “Biodiversità Canale di Sicilia; inoltre era ubicata all’interno della ZPS “Torre Manfria, Biviere e Piana di Gela”, per il 3,6% della superficie totale della Rete Natura regionale, in prossimità del SIC “Biviere e Macconi di Gela”, inclusa nell’Important Bird Area (IBA) n. 166 “Biviere e Piana di Gela”;
e) l’area “onshore” era gravata da vincolo idrogeologico e a 2,6 km dal Biviere di Gela, il più grande lago costiero siciliano, Riserva Generale Orientata, protetta ex l.n. 394/91 e classificata quale Zona Umida di Importanza Internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar per la tutela di diverse specie di fauna, migratoria e stanziale, e floristico-vegetazionale;
f) anche il Golfo di Gela rivestiva importanza naturalistica quale rotta di avifauna acquatica tra Europa e Africa, espressamente tutelata dall’Accordo AEWA nell’ambito della convenzione di Bonn per la conservazione delle specie migratrici, ratificata in Italia dalla l. n. 66/06;
g) la fascia costiera dunale del SIC ospitava a sua volta, in aree demaniali, habitat prioritari e specie “target” (Muscari gussonei Leopoldia) mentre le Isole Pelagie, in area “C” e “G” erano aree marine protette; inoltre, non erano stati considerati l’impatto con le vocazione turistica della zona e con i beni archeologico-paesistici ivi presenti;
h) lo studio di incidenza contenuto all’interno dello studio di impatto ambientale non coinvolgeva approfondimenti sui possibili incidenti ai pozzi, alle piattaforme o alle “sealines” in mare, limitandosi il Ministero a dare luogo, nella prescrizione A.17, ad un mero scenario previsionale sul punto senza valutazione di entità e riparabilità di un eventuale danno;
i) non era stato considerato il parere negativo espresso dalla Regione Siciliana nel corso del 2010, che evidenziava la problematica relativa ai danni ambientali derivanti da trivellazioni da piattaforme petrolifere in vicinanza a coste già soggette a un forte processo di antropizzazione e de naturalizzazione, con conseguente sottrazione di poteri amministrativi regionali da parte del Ministero;
l) non risultavano analogamente valutazioni, nella prescrizione A.2, in ordine agli impatti derivanti alla pesca commerciale e ai relativi danni ma risultavano solo considerati oneri compensativi, con erronea identificazione anche delle flotte effettivamente interessate;
m) non erano stati considerati gli impatti sulle risorse ittiche del Canale di Sicilia, limitandosi a prescrivere mere attività di monitoraggio, né erano previste adeguate norme per il c.d. “decommissioning”;
n) era assente qualsivoglia attività istruttoria tesa a verificare la componente geologica per subsidenza, sismicità e franosità, limitandosi anche in questo caso il Ministero a prescrivere semplici monitoraggi ed a consentire ad Eni spa di produrre solo successivamente i dati di simulazione della dispersione di sedimenti nell’ambiente marino;
o) non si era adeguatamente valutato l’impatto acustico dei rumori sui cetacei marini, il trattamento dei rifiuti e delle emissioni e la relativa reportistica dei quantitativi sversati in mare;
q) non vi era alcun riferimento al Piano di Emergenza Ambientale nel decreto VIA impugnato né alcuna considerazione sulla pericolosità degli incidenti che coinvolgono fuoriuscite di gas parimenti a quelle di petrolio.
Premesso ciò, nella parte in diritto i ricorrenti, in sintesi, lamentavano quanto segue.
“1) Violazione della Direttiva 92/43/CEE nel suo complesso ed in relazione agli artt. 2, 4, 6 e 7. Violazione della Direttiva 79/409/CEE nel suo complesso e in relazione all’art. 4. Violazione dell’art. 5 DPR 8 settembre 1997 n. 357 s.m.i. Violazione dell’art. 1 commi 2, 3 e 4 del DM 17 ottobre 2007 n. 184. Violazione dell’art. 174 del Trattato (art. 191 TFUE). Violazione della Direttiva 13/30/UE nel suo complesso ed in particolare in relazione agli artt. 2 e 3. Violazione dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241 s.m.i. Violazione di legge. Violazione dell’”Accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori dell’Africa-Eurasia” (AEWA)”. Violazione del Decreto Interministeriale 8 marzo 2013”
Riprendendo quanto già esposto in narrativa, evidenziando che tutto il progetto interessava non meno di otto siti ricadenti nella Rete Natura 2000 e partendo dalla ricostruzione normativa di cui alla “Direttiva habitat” in materia ed al dpr n. 357/97, unita a quanto previsto dal DM 17.10.07, n. 184, i ricorrenti insistevano sulla carenza della valutazione di incidenza di cui al procedimento ambientale approvato, sotto molteplici aspetti. In particolare, secondo i ricorrenti, non era stato rispettato il richiamato DM, il quale dispone misure ancor più restrittive della normativa primaria, laddove prevede che, ove vi sia una valutazione di incidenza negativa ovvero sussista il dubbio di danno per gli habitat e le specie presenti nel sito ZPS, non sia autorizzabile alcunché e le deroghe previste sono da rilasciare in condizioni di assoluta eccezionalità e solo se non sono coinvolti habitat e/o specie prioritarie, come invece nel caso di specie.
I ricorrenti evidenziavano anche che, nella fattispecie, pur essendo presente una valutazione di incidenza nel procedimento di impatto ambientale, quest’ultimo era carente per la mancata valutazione da parte della competente Commissione di molteplici aspetti. Non risultavano, infatti considerati gli impatti sull’ecosistema e i rischi derivanti da possibili fuoriuscite di gas, da collisione di navi in transito con la piattaforma, da fenomeni di “blow-out” di gas durante la perforazione, anche in relazione a cause meramente naturali e non necessariamente per errore umano. Inoltre, lo studio di incidenza non risultava espletato per l’IBA n. 166 di cui al sito “Biviere e Piana di Gela”.
Risultava violato, quindi, il c.d. “principio di precauzione”, cristallizzato nell’art. 191 TFUE, cogente per tutte le pubbliche amministrazioni e richiamato espressamente nel primo “Considerando” della recente Direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi, che estende la sua regolamentazione sia alle acque marine sia alle specie sia agli habitat di cui alle Direttive 92/43/CEE e 09/147/CE.
Né risultavano valutati i possibili impatti sulle aree costiere prospicienti al progetto “Offshore Ibleo” e la vicinanza con altri impianti a rischio, siti a relativa distanza dal collettore degli oleodotti che è il più vicino a terra e alle aree tutelate.
Non risultava rispettato, inoltre, l’Accordo “AEWA” sulla conservazione degli uccelli selvatici migratori dell’Africa-Eurasia, ratificato dall’Italia con l. n. 66/06, dato che qualsiasi studio ornitologico con metodo scientifico avrebbe finito per concludere che l’istallazione di impianti come quelli assentiti sarebbe andata ad incidere irreversibilmente sull’avifauna oggetto di tutela internazionale. Così pure non risultava rispettato il Decreto interministeriale 8.3.2013 tra MISE e Ministero dell’Ambiente che riteneva non perseguibile, nelle aree sensibili in terraferma e mare, lo sviluppo di progetti con potenziale impatto ambientale.
“2) Violazione di legge. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 comma 17 del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 s.m.i.”.
Richiamando la successione procedimentale che aveva contraddistinto la valutazione dell’ambito di incisione del progetto nel limite di cui all’art. 6, comma 17, d.lgs. n. 152/06, come introdotto dal d.lgs. n. 128/10, i ricorrenti evidenziavano che comunque l’intero programma non si sviluppava oltre le 12 miglia marine, in quanto la piattaforma “Prezioso K” e l’”Export Plem” si trovano all’interno di tale limite, che opera in riferimento non solo alle attività di coltivazione ma anche per quelle di ricerca e prospezione.
Inoltre, la stessa realizzazione della piattaforma aveva richiesto una VIA, a conferma della sua considerazione come fonte di rischio, ed era comunque un manufatto da escludere nella sua realizzabilità entro il richiamato limite, ai sensi dell’art. 2, lett. f), g), h) e i), DM 4.11.2011.
Né il procedimento in questione poteva dirsi tra quelli “pendenti”, per i quali era applicabile sul punto la deroga ai sensi dell’art. 35, comma 1, l.n. 134/12, dato che la relativa istanza doveva essere già archiviata prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 128/10, in assenza di riperimetrazione, gravante sul proponente.
“3) Violazione di legge. Violazione degli art. 117 comma 3 Cost. Violazione dell’art. 14 lett. e), l), m) dello Statuto Speciale della Regione Siciliana”.
Richiamando i due pareri negativi espressi dalla Regione nel corso del procedimento, i ricorrenti lamentavano che il Ministero, senza richiedere il perfezionamento di un”intesa”, aveva sottratto poteri amministrativi alla Regione, con contestuale fissazione di regole non qualificabili come “principi fondamentali” ex art. 117, comma 2, lett. m), Cost., vertendosi, nel caso di specie, in materia di legislazione “concorrente”.
Inoltre, i ricorrenti evidenziavano che comunque il Ministero non aveva fornito adeguata motivazione nel discostarsi dal parere negativo regionale, come invece avrebbe dovuto.
“4) Travisamento, illogicità, contraddittorietà sotto diversi profili. Difetto di motivazione e di istruttoria sotto ulteriore profilo. Travisamento, illogicità, difetto di presupposto, contraddittorietà sotto diversi profili. Eccesso di potere per sviamento”.
Non risultava effettuata alcuna valutazione approfondita in ordine ai rischi di incidente relativi alla posa delle condotte “sealines” e alla loro potenziale danneggiabilità da parte di ancore, pescherecci, attrezzi da pesca e altro, di cui alla Prescrizione 4 dell’Allegato 1 al d.m. impugnato, così come, nella Prescrizione 9, era previsto un piano di monitoraggio, da concordarsi con l’ISPRA, sugli effetti delle perforazioni nell’ambiente marino e della pesca, a conferma che lo studio di incidenza e quello di impatto ambientale erano stati del tutto carenti sul punto.
Analogamente doveva concludersi per la Prescrizione 17, che imponeva di realizzare uno scenario previsionale idoneo a quantificare gli impatti dovuti ad incidente in fase di perforazione del pozzo o coltivazione del giacimento e di incendio sulla piattaforma, che confermava come la Commissione VIA non si fosse soffermata su tale punto fondamentale. Ciò valeva anche per la Prescrizione A2 in ordine agli impatti derivanti dalla pesca.
Tali osservazioni confermavano, quindi, la carenza di istruttoria, considerando che le prescrizioni, pur facendo parte integrante del provvedimento, non possono sostanziarsi in una integrazione di un progetto lacunoso né rimandare la soluzione delle criticità alla valutazione del solo soggetto proponente, come rilevato dalla giurisprudenza che era richiamata.
Si costituivano in giudizio le sole Amministrazioni statali indicate in epigrafe, avendo dapprima l’Avvocatura erariale rappresentato anche la Regione Siciliana e, successivamente, con atto del 21.10.14, provveduto a revocare la costituzione già effettuata ai sensi dell’art. 43, comma 3, r.d. n. 1611/1933, ravvisando un conflitto di interessi in relazione alla richiamata espressione di parere negativo regionale nel corso del procedimento.
Si costituiva in giudizio anche Eni Spa – Upstream, rilevando l’infondatezza del ricorso.
Interveniva in giudizio “ad adiuvandum” il Comune di Vittoria, illustrando argomentazioni a sostegno delle tesi orientate all’accoglimento del ricorso.
Con rituale atto recante motivi aggiunti, i ricorrenti chiedevano anche l’annullamento, previa sospensione, dell’ulteriore decreto del M.I.S.E. indicato in epigrafe – adottato “a valle” della decretata compatibilità ambientale del programma di lavori derivante dai permessi di ricerca – recante rilascio di concessione di coltivazione idrocarburi relativa alla zona marina “G” in favore di Eni Spa e Edison Spa.
I ricorrenti riportavano il ricorso introduttivo nella sua integralità, evidenziando, quindi illegittimità derivata.
Inoltre, essi insistevano sulla mancata valutazione dei rischi di incidenti, sulla insufficiente predisposizione di uno scenario previsionale a cura della proponente, di cui alle specifiche Prescrizioni A.17 e A.4, sulla violazione dell’art. 6, comma 17, d.lgs. n. 163/06 e inapplicabilità dell’art. 35, comma 1, l. cit., sull’impatto in ZPS, in IBA e in habitat di avifauna protetta.
In prossimità della camera di consiglio, le Amministrazioni statali costituite depositavano una prima memoria, in cui, oltre ad argomentare sull’infondatezza del gravame, eccepivano l’incompetenza territoriale di questo Tribunale, controvertendosi su un progetto ubicato nel Canale di Sicilia per il quale gli atti impugnati avevano effetti diretti esclusivamente in quell’ ambito locale. Le stesse Amministrazioni provvedevano a depositare anche una seconda memoria in relazione ai motivi aggiunti e al paventato “periculum”.
Depositava memoria anche l’Eni Spa mentre si costituiva in giudizio l’Edison Spa, insistendo per la reiezione del gravame.
Alla camera di consiglio la trattazione della domanda cautelare era rinviata al merito su istanza di parte.
In prossimità della pubblica udienza, le parti depositavano memorie ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi e, alla data del 6 maggio 2015, la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, ritiene sussistente la competenza territoriale di questo Tribunale.
L’art. 135, comma 1, lett. f), c.p.a. prevede infatti che sono devolute alla competenza funzionale inderogabile del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma “le controversie di cui all’articolo 133, comma 1, lettera o), limitatamente a quelle concernenti la produzione di energia elettrica da fonte nucleare, i rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche di potenza termica superiore a 400 MW nonché quelle relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti.
A sua volta, l’art. 133, comma 1, lettera o) cit. fa riferimento alle “controversie, incluse quelle risarcitorie, attinenti alle procedure e ai provvedimenti della pubblica amministrazione concernenti la produzione di energia, i rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali termoelettriche e quelle relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti”.
Nel caso di specie, risultano impugnati il decreto del M.A.T.T.M. di compatibilità ambientale relativo al progetto di coltivazione di gas metano “Offshore Ibleo – Campi Gas Argo e Cassiopea”, concernente anche a.i.a. per la nuova piattaforma “Prezioso K” ricompresa nel progetto, nonché, con i motivi aggiunti, il decreto del M.I.S.E. recante concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi collegata al richiamato progetto. Quest’ultimo si articola in complesse attività da realizzare e indicate nello stesso decreto impugnato, quali: a) lo sviluppo della coltivazione di due campi gas a circa 21 km dalla costa, attraverso il recupero, il completamento e la messa in produzione di due pozzi esistenti denominati Argo 2 e Cassiopea 1dir, la perforazione e la messa in produzione di nuovi quattro pozzi denominati Cassiopea 2dir, Cassiopea 3, Cassiopea 4 e Cassiopea 5; b) la perforazione di due nuovi pozzi esplorativi denominati Centauro 1 e Gemini 1; c) l’installazione della piattaforma Prezioso K, vicina all’esistente piattaforma Prezioso, e la realizzazione del ponte di collegamento fra le stesse, ricadente nella concessione di coltivazione “C.C3.AG”, a circa 11 km dalla costa, nel tratto compreso fra i Comuni di Licata e di Gela; d) la realizzazione del processo di trattamento del gas; e) l’installazione delle strutture in alto fondale e posa delle condotte sottomarine (sealines) di collegamento tra i pozzi e la piattaforma Prezioso K e tra la piattaforma e il Pipe Line End Manifold (PLEM) posizionato a circa 7 km dalla costa e alla profondità di circa 20 m; f) l’installazione del riser; g) la realizzazione dei sistemi di emergenza; h) la realizzazione delle opere a terra del progetto nel territorio del Comune di Gela in un’area, di circa 2.500 m2, individuata all’interno della già esistente area relativa al Progetto Gerre Stream (realizzazione di un misuratore fiscale del gas e l’installazione temporanea delle apparecchiature necessarie a garantire le operazioni di “pigging” della sealine di trasporto.
Tutte queste opere, quindi, prevedono la costruzione di manufatti di vario tipo legati indissolubilmente alla coltivazione al fine di dare luogo a “infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti”, ai sensi dell’art. 135 c.p.a. cit. e ciò vale anche per il decreto del M.I.S.E. impugnato con i motivi aggiunti, adottato – come ricordano gli stessi ricorrenti – “a valle” dei provvedimenti di compatibilità ambientale.
Si ricorda che, proprio in merito alla competenza del TAR Lazio, sede di Roma, ai sensi del richiamato art. 135, comma 1, lett. f), c.p.a. il Consiglio di Stato ha riconosciuto, in sede di regolamento di competenza ex artt. 15 e 16 c.p.a., che l’uso della locuzione “controversie” di cui a tale norma deve essere riferito non solo ai provvedimenti concernenti l’autorizzazione alla realizzazione dei rigassificatori ma anche a tutte quelle manifestazioni dei pubblici poteri che, anche indirettamente, attengano alla costruzione degli impianti in questione (Cons. Stato, A.P., ord. 26.7.12, n. 29).
Applicando tale chiave di lettura anche alle “infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti”, di cui alla medesima norma, il Collegio ritiene che l’inscindibilità del complesso delle opere realizzande dalla rete nazionale di trasporto, ove ivi presumibilmente confluisce il gas estratto e “lavorato”, consenta di escludere che i provvedimenti impugnati abbiano un effetto limitato al contesto territoriale in cui opera il Tribunale regionale amministrativo della Sicilia, ai sensi dell’art. 13 c.p.a., e che nel caso di specie operi la norma speciale di cui al richiamato art. 135 c.p.a.
A corroborare tale conclusione, valga anche il richiamo all’art. 38 d.l. n. 133/14, conv. in l. n. 164/14, operato dalle parti controinteressate, laddove è precisato, al comma 1, che “Al fine di valorizzare le risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti del Paese, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse strategico…”, con ciò confermando, con il richiamo all’interesse strategico, l’influenza sull’intera rete nazionale di gasdotti delle attività corrispondenti a quelle assentite con i provvedimenti impugnati.
Chiarito ciò e passando ad esaminare nel merito l’intero gravame, il Collegio ne rileva l’infondatezza.
Preliminarmente, il Collegio rileva che sia la difesa erariale che quella di Eni spa evidenziano la giurisprudenza che, in punto di valutazione ambientale, riconosce un’ampia discrezionalità agli organi tecnici preposti. Ciò, però, sottolinea il Collegio, non può valere a identificare una sorta di intangibilità dei provvedimenti che ne derivano tanto da configurare una inammissibilità dei relativi motivi di ricorso, residuando ampi margini di delibazione giurisdizionale, ammessi esplicitamente dalla stessa giurisprudenza richiamata, in ordine casi di illogicità manifesta, erroneità in fatto, evidente contraddittorietà che confluiscono in vizi di istruttoria e motivazione (per tutte: Cons. Stato, Sez. V, 21.11.07, n. 5910).
Dato che proprio tali vizi risultano prospettati dai ricorrenti, sia pure a conclusione di un’elaborata modalità descrittiva, dovrà valutarsi in relazione alle singole censure se essi possono riscontrarsi ma non in forma generale, secondo quando invece eccepito sotto profili di inammissibilità nei rispettivi “incipit” delle difese delle parti intimate.
Chiarito ciò, passando a valutare l’articolato primo motivo di ricorso, il Collegio rileva che i ricorrenti, pur riconoscendo la presenza di una “valutazione di incidenza” nel procedimento di impatto ambientale, lamentavano che non risultavano considerati i riflessi sull’ecosistema e i rischi derivanti da possibili fuoriuscite di gas, da collisione di navi in transito con la piattaforma, da fenomeni di “blow-out” di gas durante la perforazione, anche in relazione a cause meramente naturali e non necessariamente per errore umano e che, inoltre, lo studio di incidenza non era espletato per l’IBA n. 166 di cui al sito “Biviere e Piana di Gela”, risultando violato, quindi, il c.d. “principio di precauzione”, cristallizzato nell’art. 191 TFUE, e richiamato espressamente nel primo “Considerando” della recente Direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi, che estende la sua regolamentazione sia alle acque marine sia alle specie sia agli habitat di cui alle Direttive 92/43/CEE e 09/147/CE.
Sul punto, però, il Collegio rileva che lo studio di incidenza risultava effettuato su siti SIC e ZPS nonché per l’area IBA, con esclusione di impatti significativi laddove, per le opere “onshore”, le attività progettuali risultano inserite nell’area “Greenstream” di Gela destinata ad attività industriali.
Da quanto risulta agli atti, lo studio (cap. 3, par. 3.1) ha escluso impatti significativi con gli habitat in riferimento proprio all’IBA e alla funzionalità della Rete Natura 2000, comprensivi di flora e fauna, anche in riferimento al momento della sola cantierizzazione.
Né sul punto i ricorrenti forniscono elementi di censura più precisi in relazione alle specifiche disposizioni dello studio di incidenza, così da dimostrare l’intervenuta illogicità, contraddittorietà o erroneità in fatto valutabili in questa sede.
Inoltre, specifica prescrizione (A.1) prevede che per evitare interferenze con rotte navali, Eni spa dovrà chiedere preventivo nulla-osta alla Capitaneria di porto mentre altra specifica prescrizione (A.17) illustra che, in fase esecutiva e prima dell’avvio dei lavori, dovrà essere predisposto uno scenario previsionale idoneo a quantificare gli effetti negativi e significativi dell’habitat marino dovuto ad incidenti in fase di perforazione del pozzo o coltivazione del giacimento e di incendio alla piattaforma, indicando nel Piano di emergenza ambientale tutte le misure di pronto intervento e compensative. Analogamente (A.18) è prevista una prescrizione che obbliga Eni spa, in fase di progettazione esecutiva e prima dell’avvio dei lavori, a presentare un progetto di dismissione e ripristino dell’ambiente nella configurazione marina “ante operam”.
L’imposizione di tali attività “in fase di progettazione esecutiva e prima dell’avvio dei lavori” chiarisce come il provvedimento impugnato non abbia ignorato gli aspetti della valutazione ambientale cui era predisposto ma abbia, anzi, approfondito proprio quei profili critici paventati dai ricorrenti.
Che ciò sia avvenuto attraverso “prescrizioni” non sta a significare, poi, che la fase istruttoria sia stata carente e che il M.A.T.T.M. abbia cercato di rimandare ad una fase successiva ciò che invece doveva essere effettuato ai sensi della normativa vigente.
In argomento il Collegio evidenzia che la giurisprudenza ha riconosciuto come legittimo un giudizio positivo di compatibilità ambientale pur se condizionato all’ottemperanza di molteplici prescrizioni, in quanto una valutazione condizionata di tal guisa costituisce un giudizio allo stato degli atti integrato dall’indicazione preventiva degli elementi capaci di superare le ragioni del possibile dissenso, in ossequio al principio di economicità dell’azione amministrativa e di collaborazione tra i soggetti del procedimento (Cons. Stato, Sez. VI, 23.2.09, n. 1049, Sez. IV, 22.7.05, n. 3917 e 3.5.05, n. 2136; TAR Molise, 23.12.11, n. 992 e TAR Emilia Rom.ìagna, Bo, Sez. I. 30.11.09, n. 2527).
Che il complesso prescrizionale richiamato faccia riferimento alla fase di progettazione esecutiva e “prima” dell’avvio dei lavori, conferma comunque il carattere definito del progetto e la sua assentibilità, nel caso di specie anche ai sensi dell’art. 28 d.lgs. n. 152/05, essendo normale – come riconosciuto dalla giurisprudenza – che in sede autorizzativa l’Amministrazione possa imporre prescrizioni da porre in atto nella successiva fase esecutiva, dato che, al fine di realizzare un’opera di particolare complessità, occorrono necessariamente variazioni le quali non possono che interessare la fase esecutiva e che, in sede di autorizzazione, non possono che essere contemplate per mezzo, appunto, di prescrizioni condizionanti, la cui effettiva esecuzione potrà essere garantita successivamente, in sede di collaudo, verifica e monitoraggio (Cons. Stato, Sez. VI, 2.3.10, n. 1196)
In sostanza – e per concludere sul punto – l’articolazione di tutta una serie di prescrizioni specifiche e puntuali da parte del M.A.T.T.M., in sede di recepimento del parere della Commissione di valutazione impatto ambientale, non può essere automaticamente assunta quale indice o addirittura prova da sola dell’insufficienza e dell’incompletezza degli studi di impatto ambientale inerenti al progetto da parte del soggetto proponente – secondo la ricostruzione delle tesi dei ricorrenti – in quanto l’Amministrazione è titolare di un potere pieno di valutazione e di conformazione della decisione sull’opera e, in presenza di criticità del progetto valutabili solo “ex ante” e in via teorica, che potrebbero in astratto configurare una dubbia compatibilità ambientale, non deve necessariamente esprimere una v.i.a. negativa quanto piuttosto valutare la possibilità di prescrivere misure mitigative o modifiche al progetto, proprio nel rispetto del principio di economicità dell’azione amministrativa e di collaborazione tra i soggetti del procedimento (TAR Campania, Sa, Sez. I, 19.12.06, n. 2234 e TAR Lazio, Sez. I, 31.5.04, n. 5118).
Ne consegue, pertanto, che è nel diritto-dovere della P.A. apporre sul titolo autorizzatorio condizioni e prescrizioni preordinate a garantire, nel presente e nel futuro, la conformità della realizzanda opera alla normativa di settore.
Quanto detto si riflette anche per le parti di progetto “offshore”, in quanto è indicato (v. Cap. 4.1.2. e Cap. 5 dello studio di impatto ambientale) che non risulta la formazione di deviazioni dei percorsi migratori, ai sensi dunque dell’Accordo AEWA, fermo restando che nessuna attività di coltivazione è posta all’interno di aree marine o costiere protette a scopi ambientali, risultando la piattaforma “Prezioso K” e il relativo “Export Plem” all’esterno delle aree ricadenti nella Rete Natura 2000 e nell’IBA richiamato dai ricorrenti che, dal canto loro, non forniscono indicazioni oggettive di senso contrario fondate su una rilevazione, punto per punto, dei contenuto dello studio di incidenza e di impatto ambientale, anche in riferimento alle richiamate direttive “Habitat” 92/43/CEE e “Uccelli” 2009/147/CEE già 79/409/CEE, in cui non era riscontrata criticità nelle conseguenze sull’avifauna.
La circostanza che non risulta invasione irreversibile di aree protette, e quindi sottrazione di siti “conservati” ai sensi del d.m. n. 357/97, fa sì che non si riscontri l’ipotesi prospettata dai ricorrenti di presenza accertata di dubbio che il progetto possa essere foriero di danno per l’habitat e le specie presenti nel sito, ai sensi del d.m. n. 184/07.
Né può rilevare in senso decisivo il richiamo ad un incidente occorso nel Golfo del Messico, che ha originato la direttiva 2013/30/UE, sia perché non è dimostrata l’assoluta identità delle situazioni considerate e dei provvedimenti amministrativi rilasciati dalle competenti Autorità sia perché tale direttiva non è ancora recepita nell’ordinamento italiano sia, infine, perchè si limita a richiamare il c.d. “principio di precauzione”.
In ordine a tale principio, si ricorda che esso non può arrivare a legittimare una interpretazione delle disposizioni normative, tecniche ed amministrative, vigenti in un dato settore tanto da dilatarne il senso, fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli dell’area interessata, in quanto la situazione di pericolo, pur potenziale o latente, non deve essere meramente ipotizzata e deve incidere significativamente sull’ambiente e la salute dell’uomo. Sotto tale angolazione, il principio di precauzione, quindi, non consente “ex se” di attribuire ad un organo pubblico un potere di interdizione di un certo progetto o misura e, in ogni caso, esso affida alle Autorità competenti il compito di prevenire il verificarsi o il ripetersi di danni ambientali, lasciando però alle stesse ampi margini di discrezionalità in ordine all’individuazione delle misure ritenute più efficaci, economiche ed efficienti in relazione a tutte le circostanze del caso concreto (Cons. Stato, Sez. V, 27.12.13, n. 6250).
Ancora una volta, quindi, nel caso di specie, non si rileva, dalla impostazione delle censure dei ricorrenti e dagli elementi oggettivi da loro forniti in giudizio, la conclusione per la quale manchino del tutto o comunque non siano idonee le misure di prevenzione dei danni ambientali riscontrabili nelle molteplici prescrizioni dettate a tale scopo nel senso sopra evidenziato.
In tal senso, perciò, devono interpretarsi tutte le prescrizioni, tra cui si richiama quella A.2 sulla tutela della pesca.
Da ultimo, generica e apodittica appare l’affermazione dei ricorrenti in ordine alla circostanza per la quale risulta “intuitivo che qualsiasi studio ornitologico condotto seriamente nelle aree menzionate, svolto con metodi scientifici e per periodi legati a tutto il ciclo biologico delle diverse specie ivi ospitate, avrebbe finito per concludere che l’installazione di impianti come quello di cui si controverte sarebbe andato ad incidere irreversibilmente sull’avifauna oggetto di tutela con conseguenze su scala internazionale”, dato che tali conclusioni non sono suffragate da elementi oggettivi e incontrovertibili e non tengono conto che comunque il progetto va ad impattare per la gran parte su area già industrializzata e antropizzata, “Greenstream” di Gela destinata ad attività industriali.
Né il richiamo al d.i. 8.3.2013 appare rilevante, in quanto il progetto prende vita in data anteriore e comunque le ragioni di tutela della sicurezza sono ampiamente approfondite e illustrate nel progetto esaminato.
Non si riscontra quindi la carenza di istruttoria sotto i profili delibabili nella presente sede, rilevandosi che sia lo studio di impatto ambientale sia lo studio di incidenza hanno esaminato tutte le criticità derivabili dalla realizzazione del progetto allo stato degli atti. Nel primo, ai capitoli 5 e 6, sono illustrate le ricadute sui siti di importanza comunitaria, sono descritte le valutazioni sugli habitat e sulle specie animali presenti, anche in relazione all’avifauna di cui all’Accordo AEWA, e le conseguenze sull’attività di cantiere che risultano senza conseguenze irreversibili per quanto riguarda le attività “onshore”. Per quelle “offshore”, si è evidenziato che non ci sono ricadute dirette in aree protette, con valorizzazione della precauzioni (Cap. 5 dello Studio di impatto ambientale), poi riportate nelle singole prescrizioni al fine di evitare, in fase realizzativa, interferenze nocive di alcun tipo.
Per quel che riguarda il secondo motivo di ricorso, il Collegio rileva che il limite delle 12 miglia marine non è circostanza decisiva, applicandosi alla fattispecie l’art. 35, comma 1, d.l. n. 83/12, conv. in l. n. 134/12 e in coerenza con l’art. 4 d.lgs. n. 128/10, in quanto il procedimento era in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 128/10 cit., risultando avviato nel maggio 2010 dal Ministero in seguito ad istanza del luglio 2009.
Né è possibile concordare con l’apodittica affermazione dei ricorrenti, secondo i quali l’Amministrazione avrebbe dovuto archiviare l’istanza, non rilevandosi sulla base di quale normativa fosse necessaria da parte del proponente una riperimetrazione se solo la piattaforma “Prezioso K” rientrava nel detto limite e riguardava il solo trasporto di gas. Inoltre, l’art. 6, comma 17, “Codice Ambiente”, come introdotto dal d.lgs. n. 128/10, fa salvi i procedimenti concessori, conseguenti e connessi e l’efficacia dei titoli abilitativi (nel caso di specie i permessi di ricerca GR13AG e GR14.AG) già rilasciati alla data di entrata in vigore di tale d.lgs., anche ai fini dell’esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell’ambito dei titoli stessi, chiarendo così che il divieto in questione operava solo per il futuro in relazione a nuovi procedimenti autorizzatori e concessori.
Parimenti infondato è il terzo motivo di ricorso.
In primo luogo, nella normativa applicabile non si riscontra l’obbligatorietà di alcuna “intesa” con l’ente regionale. In secondo luogo sussiste la competenza esclusiva statale in materia ambientale e sul punto la Regione siciliana non può reclamare una commistione tra funzioni amministrative e funzioni legislative, come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale (sent. n. 380/2007).
Era dunque sufficiente la valutazione del parere regionale e una motivata deduzione sulle ragioni per non concordare con esso. Ciò è infatti avvenuto, in quanto la Commissione VIA ha esplicitamente richiamato nel suo parere le conclusioni della Regione ed ha esplicitamente motivato sul punto, rilevando che le criticità rappresentate “…sono in parte riconducibili alla coltivazione di campi petroliferi mentre presentano rischi potenziali nettamente inferiori nella coltivazione di campi gas come nel caso in esame. Le restanti considerazioni, valide per qualsiasi attività di perforazione e per qualsiasi tipologia di piattaforma off-shore, sono state prese in esame durante lo svolgimento dell’istruttoria in oggetto, richiedendo specifiche integrazioni e prevedendo apposite prescrizioni. Si ritiene quindi che il progetto in esame e le prescrizioni impartite nel presente parere abbiano preso in esame e risolto gli elementi di incompatibilità ambientale descritti nella soprarichiamata Delibera di Giunta Regionale”.
Tali conclusioni rientrano, per quanto detto in precedenza, nell’ampia valutazione discrezionale in argomento riconoscibile all’organo tecnico ministeriale e smentiscono l’assunto dei ricorrenti per il quale era assente una motivazione che giustificasse il discostarsi dalla considerazione negativa dell’ente regionale.
Proprio in relazione al contenuto dell’art. 14, lett. e), l) e m), dello Statuto regionale come richiamato dai ricorrenti, poi, non senza rilievo è quanto evidenziato dalle controinteressate nei propri scritti difensivi, laddove si ricorda che la stessa Regione Siciliana ha poi sottoscritto un protocollo d’intesa per l’area di Gela, depositato in giudizio, che prevede la realizzazione del progetto in questione, anche ai sensi di quanto indicato nel relativo art. 3, al fine di sviluppo delle attività “upstream” focalizzate sulla valorizzazione della “risorsa gas”, con le correlate corresponsioni di “royalties” e ricadute occupazionali.
Da ultimo, anche il quarto motivo di ricorso non appare condivisibile.
Dall’esame complessivo del quadro prescrizionale allegato al decreto del M.A.T.T.M. impugnato, risulta che le valutazioni in ordine ai rischi siano state effettuate e discrezionalmente valutate, nell’ambito di incisione “allo stato degli atti” delle prescrizioni allegate ai provvedimenti abilitativi, per quanto dedotto in precedenza.
Il Collegio, sul punto, richiama il capitolo 3 dello Studio di impatto ambientale che esamina i potenziali rischi di incidenti durante la fase di perforazione e di installazione della “sealines”, relativamente a fuoriuscita accidentale di gas (“blow out”), sversamento in mare del gasolio che alimenta i generatori, incendi, esplosioni, collisioni di navi con la piattaforma, posa delle condotte, rischio geologico, vulcanico e sismico, rischio da presenza di natanti di pesca e attrezzature varie. Risulta svolta una specifica analisi sulla stabilità dei versanti del fondale marino in relazione ad eventi franosi. In merito i ricorrenti non allegano elementi idonei a ritenere l’illogicità e erroneità del relativo provvedimento ministeriale sul punto né risultano indicati quali profili specifici si ritenga che siano stati trascurati in relazione alla peculiare conformazione del territorio di riferimento.
Tali valutazioni sono confluite nelle prescrizioni A.1, A.2, A.3, A.4, A.7, A.9, A.11, A.16, A.17.
Coerenti con la funzione delle modalità prescrizionali – secondo quanto in precedenza illustrato – sono poi le osservazioni delle controinteressate, per le quali il quadro delle prescrizioni non può che essere integrato nella fase successiva esecutiva, soprattutto per quel che riguarda gli aspetti relativi alle conseguenze sulla pesca, in quanto solo in tale fase saranno individuati i mezzi utilizzati, il periodo stagionale di lavorazione e cantierizzazione, il cronoprogramma dei lavori e di interdizione delle aree e la loro esatta definizione.
Ciò vale, in particolare, anche per quanto riguarda gli effetti prodotti sull’ambiente marino e le comunità bentoniche e ittiche (Prescrizione A.9) e sul complesso floro-faunistico e relativi ecosistemi (Prescrizioni A.12 e A.15), gli effetti acustici e relativa incisione sui cetacei (Prescrizioni A.13 e A.14), l’ampio monitoraggio “ante operam” ritenuto necessario (Prescrizione A.10), il controllo dei sedimenti rilasciati (Prescrizione A.11), lo scenario per eventuali incidenti (Prescrizioni A.17, B.18 e B.19), le modalità del progetto di dismissione (Prescrizione A.18).
Per quel che riguarda il parere espresso dal Mi.BACT, gli stessi ricorrenti si limitano a notare che in esso sarebbero state espresse “preoccupazioni” ma ciò non incide sulla sostenibilità dell’impianto del provvedimento impugnato, dato che il parere era comunque di contenuto positivo e i ricorrenti stessi non indicano quali peculiari conseguenze negative sul patrimonio protetto sotto tale profilo deriverebbero dal decreto censurato in questa sede.
In base a quanto finora indicato nulla aggiungono le argomentazioni dell’interveniente Comune di Vittoria, genericamente orientate ad individuare una carenza di istruttoria che non trova riscontro negli atti del procedimento, come illustrato.
In sostanza, risulta un quadro ampiamente articolato che il M.A.T.T.M. ha valutato, privo delle criticità espresse dei ricorrenti, per cui il ricorso non può trovare accoglimento.
Passando all’esame dei motivi aggiunti, per quanto riguarda la ritenuta illegittimità derivata, il Collegio richiama quanto finora espresso per confermare l’infondatezza delle censure.
In ordine alle restanti deduzioni dei ricorrenti (pag. 36 e ss. dell’atto recante i motivi aggiunti), il Collegio non può che rinviare a quanto sostanzialmente già illustrato in precedenza in ordine alla completezza e coerenza della Prescrizione A.4 e di quella A.17, in relazione al fine che la fattispecie della “prescrizione” assume nel contesto di un decreto autorizzativo in materia ambientale, alla non applicabilità al caso di specie della previsione dell’art. 6, comma 17, d.lgs. n. 152/06, per il principio “tempus regit actum” riconducibile alla deroga di cui al richiamato art. 35, comma 1, d.l. n. 83/12, conv. in l. n. 134/12 e in coerenza con l’art. 4 d.lgs. n. 128/10, al corretto ambito di applicazione delle direttive 92/43/CEE e 09/147/CE, al corretto ambito di interpretazione del “principio di precauzione”.
Nulla aggiungendo sul punto i motivi aggiunti, il Collegio ne rileva, quindi, ugualmente l’infondatezza.
Per quanto dedotto il gravame non può trovare accoglimento.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta.
Condanna in solido i ricorrenti a corrispondere le spese di lite, che liquida in totale in euro 6.000,00 oltre accessori di legge, da suddividere in tre parti uguali a favore delle Amministrazioni statali costituite e delle due controinteressate. Compensa con l’interveniente “ad adiuvandum”.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Giulia Ferrari, Presidente FF
Rosa Perna, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/06/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)