Il vigente articolo 57 della Costituzione dispone testualmente quanto segue:
«Art. 57.
Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.
Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiori a sette; il Molise ne ha due, la Valle
d’Aosta uno.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.»
Il disegno di legge costituzionale S 1429, presentato dal Presidente Renzi e dal Ministro Boschi, prevedeva una modifica riguardante la composizione e l’elezione del Senato, contenuta all’art. 2, che al comma 1 disponeva testualmente:
«Art. 2.
(Composizione ed elezione del Senato delle Autonomie)
1. L’articolo 57 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«Art. 57. – Il Senato delle Autonomie è composto dai Presidenti delle Giunte regionali, dai Presidenti delle Province autonome di Trento e di Bolzano, dai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione e di Provincia autonoma, nonché, per ciascuna Regione, da due membri eletti, con voto limitato, dal Consiglio regionale tra i propri componenti e da due sindaci eletti, con voto limitato, da un collegio elettorale costituito dai sindaci della Regione.
La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nelle quali sono stati eletti.
La legge disciplina il sistema di elezione dei senatori e la loro sostituzione, entro sessanta giorni, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale.
Ventuno cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario possono essere nominati senatori dal Presidente della Repubblica.
Tali membri durano in carica sette anni». »
Nella relazione al disegno di legge le modifiche sono state spiegate nel seguente modo: «L’articolo 2 modifica l’articolo 57, disciplinando composizione e modalità costitutive del Senato delle Autonomie.
Esso prevede, in particolare, che il nuovo Senato sia formato dai Presidenti delle giunte regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano, dai sindaci dei comuni capoluogo di regione e di provincia autonoma, nonché, per ciascuna regione, da due membri eletti, con voto limitato, dal Consiglio regionale tra i propri componenti e da due sindaci eletti, con voto limitato, da un collegio elettorale costituito dai sindaci della regione.
Si prevede, dunque, una composizione paritaria tra rappresentanti delle regioni e rappresentanti dei comuni, ciò sia in considerazione della tradizione municipale che caratterizza la storia dell’Italia, sia in ragione dell’intento di configurare il nuovo Senato quale sede istituzionale di confronto permanente nella quale i rappresentanti degli organi titolari di potestà legislative e quelli di organi titolari di funzioni fondamentali proprie possano trovare punti di sintesi volti a meglio definire e armonizzare le politiche pubbliche sui territori e coniugarle con l’indirizzo politico nazionale.
Tale composizione prevede, inoltre, l’attribuzione di un eguale numero di seggi per ciascuna regione, fatta eccezione per la regione Trentino-Alto Adige, alla quale sono attribuiti, in virtù dello speciale statuto di autonomia delle province autonome di Trento e di Bolzano, due seggi in più.
È inoltre assicurata, per effetto della previsione del voto limitato per l’elezione dei senatori in ciascuna regione, la rappresentanza delle minoranze.
Ciò anche a sottolineare la natura del nuovo Senato quale organo che rappresenta le istituzioni territoriali in una prospettiva di leale collaborazione tra i livelli di governo, che va oltre la rappresentanza dei territori regionali, singolarmente intesi, e delle stesse maggioranze politiche.
La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nelle quali sono stati eletti.
La legge disciplinerà il sistema di elezione dei membri elettivi e la sostituzione dei senatori in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale.
A questa componente di natura territoriale, si affiancano ventuno cittadini che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario (i requisiti sono i medesimi attualmente previsti per la nomina dei senatori a vita), nominati dal Presidente della Repubblica per un periodo di sette anni.
Sono, infine, conseguentemente soppressi, ai sensi dell’articolo 32 del disegno di legge, i seggi del Senato assegnati alla circoscrizione Estero, che rimangono per la sola Camera dei deputati.»
Con riferimento all’art. 55 sulla composizione ed elezione del Senato della Repubblica le schede di lettura del testo di legge costituzionale definitivamente approvato (pubblicato sulla G.U. n. 88 del 15 aprile 2016) riportano le seguenti precisazioni: «L’articolo 2 del testo di legge costituzionale – modificando l’articolo 57 Cost. – definisce una diversa composizione e una nuova modalità di elezione del Senato della Repubblica.
In particolare, il nuovo Senato si compone di 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali, eletti dai consigli regionali o delle province autonome, in conformità alle scelte degli elettori, invece dei 315 senatori elettivi previsti dal testo costituzionale vigente.
Al contempo, il Presidente della Repubblica può nominare fino a 5 senatori, che durano in carica sette anni, tra i cittadini che hanno illustrato la patria per altissimi meriti.
Si aggiungono inoltre gli ex Presidenti della Repubblica in qualità di senatori di diritto e a vita.
Per il Senato, dunque, oltre a diminuire in maniera rilevante il numero dei componenti, l’elezione popolare diretta viene sostituita, per 95 membri, da un’elezione di secondo grado.
Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge del Governo S. 1429 sono illustrate le motivazioni di fondo che sono alla base della scelta di non prevedere l’elezione popolare diretta.
…….
L’elezione dei senatori avviene peraltro – a seguito di una modifica apportata nel corso dell’ultima lettura al Senato – in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione delle elezioni dei Consigli regionali o delle province autonome, secondo le modalità stabilite dalla nuova legge elettorale del Senato (art. 57, quinto comma, Cost.).
Per quanto riguarda le modalità di elezione dei 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali, il nuovo secondo comma dell’art. 57 Cost., stabilisce che i Consigli regionali e i Consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano eleggono i senatori, con metodo proporzionale (nel testo iniziale del disegno di legge era prevista invece un’elezione con voto limitato), tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori.
La composizione del Senato e la durata del mandato
La composizione del nuovo Senato viene quindi così configurata:
- 95 senatori sono eletti dai consigli regionali e dai consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano; ciascun consiglio elegge un numero di senatori in proporzione alla popolazione della regione quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione (quarto comma art. 57 Cost.); di questi 95:
- – 74 senatori sono eletti tra i membri dei Consigli regionali;
- – 21 senatori sono eletti tra i Sindaci dei comuni dei rispettivi territori, nella misura di uno per ciascun consiglio;
- fino a 5 senatori sono di nomina presidenziale, scelti tra coloro che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti in campo sociale, scientifico, artistico e letterario; Tra i 5 senatori non elettivi vanno inclusi anche i senatori a vita già nominati e in carica alla data di entrata in vigore della legge costituzionale in commento, alla luce di quanto previsto dall’art. 40, comma 5, del testo di legge.
- gli ex Presidenti della Repubblica.
Riguardo alla durata del mandato dei senatori elettivi, questa coincide con quella dell’organo dell’istituzione territoriale “da cui” sono stati eletti, ossia con la durata dei consigli regionali (articolo 57, quinto comma, come specificato nel corso dell’iter parlamentare alla Camera).
Il Senato diviene dunque organo a rinnovo parziale, non sottoposto a scioglimento.
In sede attuativa andrà chiarito il regime di prorogatio applicabile ai senatori elettivi, in particolare per quanto attiene alla fase temporale che intercorre tra l’insediamento del nuovo consiglio regionale ed il momento in cui il nuovo consiglio elegge, al proprio interno, i senatori.
Si ricorda che l’art. 39, comma 4, prevede – per la prima costituzione del Senato e fino alla data di entrata in vigore della nuova legge elettorale del Senato (da adottare ai sensi dell’art. 57, sesto comma, Cost.) – che, qualora alla data di elezioni della Camera si svolgano anche elezioni di consigli regionali o delle province autonome di Trento e di Bolzano, i medesimi consigli sono convocati in collegio elettorale entro 3 giorni dal loro insediamento.
L’attribuzione dei seggi alle Regioni
Per quanto attiene alle modalità di attribuzione alle regioni dei 95 seggi, il terzo comma dell’art. 57 Cost. prevede che nessuna Regione possa avere un numero di senatori inferiore a 2 e che ciascuna delle province autonome di Trento e di Bolzano ne abbia 2.
La ripartizione dei seggi tra le regioni, fermo restando le disposizioni appena viste, è effettuata, in proporzione alla popolazione della regione quale risulta dall’ultimo censimento, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti (come dispone anche il testo vigente dell’art. 57).
Si ricorda che in base al testo vigente dell’art. 57 Cost. nessuna regione può avere un numero di senatori inferiore a 7; al Molise ne spettano 2, alla Valle d’Aosta 1 (la previsione vigente si applica ad un totale di 309 senatori, dovendosi escludere i 6 senatori eletti nella circoscrizione Estero).
Una disposizione di coordinamento (art. 38, comma 1) adegua il testo dell’articolo 48, terzo comma, sopprimendo la previsione della circoscrizione Estero. [Per quanto riguarda il calcolo della ripartizione dei seggi per l’elezione (v. tabella infra) dei consiglieri regionali, anche se il testo fa riferimento, in termini generali, ai “consigli regionali” si intende che l’individuazione dei senatori per il Trentino-Alto Adige non spetti anche al consiglio regionale, essendo attribuito espressamente dalla Costituzione ai Consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano. A tale riguardo si ricorda che, dalla riforma del 2001, il Consiglio regionale della Regione è composto dai membri dei Consigli provinciali di Trento e di Bolzano (art. 25 Statuto, D.P.R. n. 670/1972). Va inoltre ricordato che gli statuti regionali talora prevedono non un “consiglio regionale”, ma un’“assemblea regionale” o un’“assemblea legislativa”, ma la norma costituzionale, facendo riferimento in termini generali ai “consigli regionali”, trova chiaramente applicazione in tutte le regioni.]
La seguente tabella espone la ripartizione tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dei 95 senatori elettivi, che conseguirebbe dalla nuova disciplina costituzionale, facendo riferimento ai dati relativi alla popolazione dell’anno 2011 (anno dell’ultimo censimento).
Nella tabella è altresì evidenziato il rapporto tra popolazione di ciascuna regione e numero di senatori alla stessa spettanti in base al calcolo numerico.
Dunque, nelle 8 regioni meno popolose e nelle 2 province autonome, cui spettano 2 senatori, il rapporto sindaco/consiglieri regionali è paritario, mentre le regioni più popolose possono contare su una rappresentanza molto più ampia di consiglieri regionali (come dimostra il caso della Lombardia, che è la regione più popolosa d’Italia).
Il riferimento all’ultimo censimento generale viene ripreso al comma 2 dell’art. 39 della legge, il quale specifica che, quando in base all’ultimo censimento generale della popolazione il numero di senatori spettanti ad una regione (come definito in base alle predette disposizioni) è diverso da quello risultante dal censimento precedente, il Consiglio regionale elegge i senatori nel numero corrispondente all’ultimo censimento “anche in deroga al primo comma dell’art. 57 Cost.”.
Da tale disposizione, finalizzata a tenere conto dell’esigenza di adeguarsi all’ultimo censimento generale, come previsto dalla Costituzione, deriva la possibilità che il numero massimo totale dei senatori elettivi vari rispetto a quello che il primo comma dell’art. 57 Cost. indica come numero fisso e non mutevole.
Ciò in considerazione del fatto che l’elezione in questione non necessariamente coinciderà, sotto un profilo temporale, tra le diverse regioni, e che quindi tale disallineamento potrebbe verificarsi per il periodo eventualmente intercorrente tra il rinnovo dei senatori in una regione che abbia variato il suo peso demografico ed il rinnovo dei senatori in altra regione che tale peso compensi.
Il numero dei senatori elettivi potrebbe dunque variare, per un periodo limitato, in aumento o in diminuzione quando, in base all’ultimo censimento, il numero di senatori spettanti ad una regione è diverso da quello risultante dal censimento precedente.
Le modalità di elezione dei componenti del Senato
Le “modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei componenti del Senato tra i consiglieri e i sindaci”, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale e locale sono regolate – in base a quanto previsto dal sesto comma dell’articolo 57 Cost. – con legge approvata da entrambe le Camere.
L’elezione dei senatori, come già detto, avviene con metodo proporzionale, da parte dei consigli regionali e delle province autonome tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei comuni del rispettivo territorio.
Si ricorda che la Costituzione vigente non individua il tipo di sistema elettorale da adottare né per l’elezione della Camera né per quella del Senato, rimettendo la relativa scelta alla discrezionalità del legislatore ordinario, mentre il nuovo articolo 57 Cost. indica, per l’elezione del Senato, il metodo proporzionale.
Tale metodo è peraltro riferito ad un’elezione di secondo grado, in cui la proporzionalità rispetto al corpo elettorale regionale può risultare mediata dall’adozione di un sistema maggioritario per l’elezione del consiglio.
La medesima disposizione esplicita i criteri da seguire nella ripartizione dei seggi:
- i voti espressi;
- la composizione di ciascun Consiglio.
I due criteri sembrerebbero prefigurare un sistema elettorale che tenga conto in qualche modo della composizione politica del consiglio, e che quindi potrebbe considerare, a titolo esemplificativo, la consistenza dei gruppi politici consiliari.
Intendendo invece l’espressione “voti espressi” e “composizione del consiglio” come una sorta di endiadi, i criteri potrebbero indicare un sistema con voto dei consiglieri e successiva attribuzione dei seggi con metodo proporzionale.
Si ricorda che tale impostazione è seguita dalla disciplina transitoria dettata dall’art. 39, comma 1.
Al contempo – a seguito di una modifica approvata nel corso dell’ultima lettura al Senato – i senatori sono eletti “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri” in occasione delle elezioni dei consigli regionali o delle province autonome, secondo le modalità stabilite dalla nuova legge elettorale del Senato.
La nuova legge elettorale del Senato determinerà le modalità con cui il richiamo alle scelte degli elettori inciderà sull’elezione dei senatori da parte dei consiglieri regionali e provinciali.
Il richiamo alle scelte espresse dagli elettori potrebbe anche riflettersi sull’interpretazione del richiamato criterio dei “voti espressi” ai fini dell’attribuzione dei seggi. Va peraltro considerato che tale operatività sembra praticabile ove la legge fosse approvata già nella legislatura in corso (v. infra) per le prime elezioni del Senato, solo nelle Regioni che procedono al rinnovo dei propri organi contestualmente all’elezione della Camera (o eventualmente in precedenza, ma dopo l’approvazione della nuova legge elettorale del Senato ed il suo recepimento da parte della legislazione elettorale regionale).
Giova inoltre ricordare che le leggi regionali elettorali hanno caratteri tra loro non omogenei.
La legge 165 del 2004 ha infatti dettato principi generali suscettibili di esser declinati in maniera differente da ciascuna regione.
Tale legge richiede in particolare: l’individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel Consiglio regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze; la contestualità dell’elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale, se il Presidente è eletto a suffragio universale e diretto [Nel caso in cui la regione adotti l’ipotesi di elezione del Presidente della Giunta regionale secondo modalità diverse dal suffragio universale e diretto, la legge richiede la previsione di termini temporali tassativi, comunque non superiori a novanta giorni, per l’elezione del Presidente e per l’elezione o la nomina degli altri componenti della Giunta]; il divieto di mandato imperativo; la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive secondo specifiche previsioni.
Al contempo, va tenuto presente quanto stabilito dal nuovo art. 55, secondo comma, Cost. in base al quale le leggi elettorali delle Camere promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza.
Inoltre, ai sensi della disposizione finale dell’art. 40, comma 6, i senatori della Provincia autonoma di Bolzano sono eletti tenendo conto della consistenza dei gruppi linguistici in base all’ultimo censimento.
Per una disamina di tale disposizione si rinvia al commento all’articolo 39, comma 1, sulle modalità di elezione del Senato in sede di prima applicazione.
Alla nuova legge elettorale del Senato spetta dunque l’individuazione di modalità per l’elezione di secondo grado dei senatori tenendo conto dell’insieme dei suddetti criteri, anche nel caso delle regioni a cui spettano due senatori, di cui uno deve essere sindaco (si tratta di 8 regioni e 2 province autonome).
Il termine per l’approvazione della nuova legge elettorale del Senato decorre dall’entrata in vigore della legge di riforma costituzionale e perdura fino a sei mesi dalla data di svolgimento delle elezioni della Camera dei deputati successiva alla data di entrata in vigore della legge costituzionale in esame (art. 39 del testo di legge).
Può porsi questione interpretativa circa la natura perentoria o ordinatoria del predetto termine di sei mesi. In base ad una risalente giurisprudenza costituzionale, esso sembrerebbe essere ordinatorio.
Può richiamarsi in proposito la sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 1957, in cui la Corte afferma che “la diversa natura del termine – se perentorio o soltanto ordinatorio – assume importanza nel campo del diritto privato e in quello processuale, specialmente nel senso che, in questi campi, decorso un termine perentorio, non possono più compiersi gli atti che entro quel termine dovevano essere compiuti.
Diverso invece è l’effetto del termine nei più vasti campi dell’attività amministrativa e di quella costituzionale, nei quali non si tratta di tutelare soltanto interessi privati, ma interessi pubblici, ed anche gli interessi privati sono tutelati sotto la sfera del pubblico interesse.
In tali campi, anche se si tratti di termini che appaiano perentori, non cessa, dopo il loro decorso, salvo i casi in cui il termine sia in modo tassativo stabilito dalla legge, il potere – che nello stesso tempo è dovere – della pubblica autorità di dare adempimento alle prescrizioni di legge. […].
Nel campo costituzionale […] non vi è alcun dubbio che permanga quel potere-dovere anche dopo il decorso del termine, con conseguente responsabilità – soprattutto di natura politica – qualora l’organo cui ne spettava l’esercizio non abbia provveduto in tempo.”
La sentenza riguarda la natura del termine previsto dalla VI disposizione transitoria della Costituzione, che fissa un termine di cinque anni per la revisione degli organi speciali di giurisdizione.
Prosegue la Corte: “termini di natura simile a quello in questione – ed anche brevi – si trovano in varie disposizioni transitorie della Costituzione: nella stessa disposizione VI per quanto attiene al riordinamento del Tribunale supremo militare in relazione all’art. 111; nella disposizione IX, riguardante l’adeguamento delle leggi alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni; nella disposizione VIII, circa le elezioni dei Consigli regionali; nella disposizione XVI – di cui non va trascurata l’importanza – che fissava il termine di un anno dall’entrata in vigore della Costituzione per la revisione ed il coordinamento con essa delle precedenti leggi costituzionali.
Orbene a questi termini non si è mai pensato di riconoscere carattere perentorio […].
Di vero, è la particolare natura e la posizione del destinatario dell’obbligo – e cioè il Parlamento – che deve senz’altro convincere della non perentorietà di quei termini, data la valutazione squisitamente discrezionale, perché di carattere politico, della scelta del momento in cui il Parlamento ritiene di dovere provvedere, e in considerazione ancora della singolare complessità dell’opera legislativa.”
Nelle more dell’entrata in vigore della legge elettorale del Senato (di cui all’articolo 57, sesto comma, Cost.), il testo di legge costituzionale detta specifiche disposizioni elettorali riguardanti la prima applicazione (articolo 39, commi 1 e 4).
Il sistema di elezione stabilito dal comma 1 dispone che in ciascuna regione (e provincia autonoma), ogni consigliere possa votare per una unica lista di candidati, formata da consiglieri e da sindaci dei comuni compresi nel relativo territorio.
I seggi sono attribuiti alle liste secondo il metodo proporzionale del quoziente naturale (costituito dal risultato della divisione del totale dei voti validi espressi diviso il numero di seggi spettanti alla regione) sulla base dei quozienti interi e – qualora ci siano ancora seggi da attribuire – dei più alti resti. Nell’ambito della lista, sono eletti i candidati secondo l’ordine di presentazione (cd. “lista bloccata”).
Per la lista che abbia ottenuto il maggior numero di voti, la norma in esame dispone che possa essere esercitata l’opzione per l’elezione del sindaco o, in alternativa, di un consigliere.
La norma dispone inoltre che, in caso di cessazione di un senatore dalla carica di consigliere regionale o di sindaco, è proclamato eletto, rispettivamente, il consigliere o sindaco che era risultato come il primo tra i non eletti della stessa lista.
….
Si rammenta che per la nuova legge elettorale del Senato è applicabile il controllo preventivo di costituzionalità introdotto dall’art. 73, secondo comma, Cost. per le leggi elettorali della Camera e del Senato.
In base all’art. 39, comma 11, inoltre, le leggi elettorali della Camera e del Senato promulgate nella legislatura in corso alla data di entrata in vigore della legge costituzionale, possono essere sottoposte – su ricorso motivato di almeno un quarto dei componenti della Camera o di un terzo dei componenti del Senato – al giudizio di legittimità della Corte costituzionale, che si pronuncia entro il termine di 30 giorni.
Il ricorso deve essere presentato entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale o, per la nuova legge elettorale del Senato, dalla data di entrata in vigore della legge medesima.
La titolarità di una carica elettiva regionale o locale quale presupposto necessario per l’elezione
Con la nuova impostazione, la titolarità di una carica elettiva regionale o locale (consigliere regionale o sindaco) diviene presupposto necessario per la titolarità della carica di senatore.
Viene dunque conseguentemente abrogata con una modifica all’articolo 122, secondo comma, Cost. l’incompatibilità tra la carica di senatore e quella di membro di consiglio o di giunta regionale, ferma restando tale incompatibilità con la carica di deputato.
Di conseguenza, il Senato, come già detto, non potrà essere oggetto di scioglimento e si configurerà come organo a rinnovo parziale continuo, in base alla scadenza dei suoi componenti. Tale scadenza, dunque, sarà in funzione del mandato territoriale.
Si ricorda che l’articolo 122 della Costituzione attribuisce alla legge statale ivi prevista l’individuazione della durata degli organi elettivi della regione.
L’art. 5 della legge n. 165/2004 fissa in cinque anni la durata del Consiglio regionale, salvo scioglimento anticipato.
Il quinquennio decorre dalla data dell’elezione. Per i consigli regionali delle regioni a statuto speciale e per i consigli provinciali di Trento e di Bolzano, la medesima durata di cinque anni è fissata da norme contenute negli statuti di autonomia.
La durata del mandato di sindaco è fissata in cinque anni (art. 51 del TUEL, di cui al D.Lgs. n. 267/2000).
Per quanto riguarda l’elettorato attivo e passivo dei senatori, si ricorda che viene soppresso l’articolo 58 della Costituzione (dall’art. 38, comma 2) con la conseguenza che non è più previsto il requisito, per diventare senatori, del compimento di quaranta anni di età, né quello di venticinque anni per esercitare il diritto di voto.
Il requisito di età, sia per l’elettorato attivo che per quello passivo, risulta dunque pari a 18 anni.
Per la Camera, invece, l’età anagrafica per essere eletti resta fissata a 25 anni (art. 56 Cost.).
Inoltre, come deriva anche dalla lettura del nuovo articolo 66 Cost. sulla verifica dei poteri, va tenuto presente che il senatore-sindaco cessa dal mandato di senatore in entrambi questi casi:
a) in caso di cessazione del Consiglio regionale che lo ha eletto, nonostante la sua permanenza in carica come sindaco;
b) in caso di cessazione dalla carica di sindaco.
L’art. 66, come modificato dal testo di legge costituzionale (v. scheda art. 7), prevede che la cessazione dalla carica elettiva regionale o locale abbia per conseguenza la decadenza da senatore (della quale il Senato “prende atto”).
La nuova legge elettorale del Senato, inoltre, dovrà prevedere le modalità di sostituzione dei consiglieri e dei sindaci in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale (art. 57, sesto comma).
Nel testo iniziale del disegno di legge S. 1429, la composizione del Senato veniva mutata in elettiva di secondo grado ma l’impostazione seguita era differente: il consiglio regionale e un collegio di sindaci della regione sceglieva – al proprio interno e con voto limitato – rispettivamente due senatori (per regione).
Ai due senatori membri del Consiglio regionale, si aggiungeva di diritto il Presidente della giunta regionale (o della provincia autonoma).
Si aggiungeva inoltre di diritto il sindaco del comune capoluogo nella regione (o provincia autonoma).
Risultava, per questa componente elettiva di secondo grado, un numero di 122 senatori (21 presidenti di giunta o provincia autonoma, 40 consiglieri regionali, 61 sindaci). La durata del mandato coincideva con quella dell’organo di provenienza.
A tali membri rappresentanti dei territori, potevano aggiungersi 21 senatori di nomina del Presidente della Repubblica. L’elezione di secondo grado era originariamente prevista con voto limitato.
Nel dibattito in Assemblea Costituente, il progetto predisposto dalla Commissione dei Settantacinque prevedeva: “I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale e per due terzi a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età”.
Ed in Seconda Sottocommissione era stata approvata (il 26 settembre 1946) una proposta di Tosato circa una elettività del Senato “a base regionale”.
La formulazione del progetto fu dismessa, in quanto i Costituenti di parte comunista e socialista furono disposti a rinunziare alla loro pregiudiziale monocamerale, priva di sbocchi quanto a chances di approvazione, solo a condizione di tener fermo il principio di una indivisibilità della sovranità popolare, declinata alla stregua di eguale emanazione di ambedue le Camere dal corpo elettorale, incompatibile dunque con forme di rappresentanza così delle categorie come delle autonomie regionali (oltre che incompatibile con una marcata differenziazione funzionale tra le due Camere).
Rispetto alla possibilità – più volte evocata nel corso dei lavori parlamentari e presente nel testo iniziale del disegno di legge del Governo – che del nuovo Senato facciano parte i Presidenti di regione, eletti tra i consiglieri regionali, si ricorda che negli Statuti delle regioni è previsto che il Presidente della Giunta regionale faccia parte del Consiglio regionale [Tale previsione è contenuta anche nella legge Costituzionale 1/1999, che reca disposizioni transitorie per l’elezione degli organi regionali.].
Per quanto riguarda le regioni a statuto speciale, in Friuli – Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia e nella Provincia autonoma di Trento, l’appartenenza del Presidente della Giunta regionale (o provinciale nel caso di Trento) al Consiglio è specificata nelle rispettive leggi elettorali. In Valle d’Aosta e nella provincia autonoma di Bolzano il Presidente dell’organo di governo è eletto dal Consiglio regionale (o provinciale) al proprio interno.
La Valle d’Aosta e la provincia autonoma di Bolzano hanno infatti optato per derogare al modello di forma di governo previsto dall’art. 122, quinto comma, Cost. (che prevede la possibilità di stabilire un modello differente) dell’elezione a suffragio universale diretto con potere di nomina e revoca dei membri della Giunta.
In tutte le regioni – ad esclusione di Calabria, Valle d’Aosta e delle Province autonome di Trento e Bolzano – è inoltre previsto che al candidato alla carica di Presidente della Giunta regionale che ha conseguito un numero di voti validi immediatamente inferiore al candidato vincitore sia riservato uno dei seggi del Consiglio spettanti alla minoranza. Nella regione Toscana sono proclamati eletti al Consiglio regionale tutti i candidati alla carica di Presidente della Giunta delle coalizioni o dei gruppi di liste che hanno ottenuto almeno un seggio.
L’eventuale presenza dei Presidenti di regione in Senato sarà comunque (diversamente dalla presenza di diritto prevista dal disegno di legge nel testo originario) legata alla qualità di componente del consiglio regionale.»
Il disegno di legge si componeva di 35 articoli che modificavano 44 articoli della Costituzione.
Il testo finale approvato si compone invece di 41 articoli, che hanno modificato 47 articoli della Costituzione: quello dedicato alla composizione ed alla elezione del Senato è diventato l’articolo 2 ed ha il seguente testo:
Art. 2.
(Composizione ed elezione del Senato della Repubblica).
1. L’articolo 57 della Costituzione è sostituito dal seguente:
«Art. 57. – Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica.
I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a due; ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne ha due.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni si effettua, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma.
Con legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale.
I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio».
LE RAGIONI DEL SÌ
Dal sito “Basta un Sì”
Articolo 57: come sarà composto il nuovo Senato
L’articolo 57 della nuova Costituzione disciplina la composizione del Senato e ne innova profondamente anche le funzioni.
Il disposto dell’art 57 stabilisce che ‘Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica.’
Il nuovo Senato della Repubblica sarà quindi composto da 74 Consiglieri regionali, 21 Sindaci e 5 senatori indicati dal Capo dello Stato.
Viene abrogato ogni riferimento rispetto alla precedente composizione del Senato, che attualmente conta 315 componenti.
I commi II, III e IV ripartiscono il numero dei senatori per ogni Regione, tenuto conto proporzionalmente della loro popolazione.
Stabilisce l’articolo 57, al comma V, che ‘La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti’.
Si viene dunque a creare quel forte legame tra il nuovo Senato e le istituzioni che questo, costituzionalmente, si propone di rappresentare.
Se precedentemente, seguendo in parte le indicazioni emerse in Assemblea Costituente, era stabilito che il Senato veniva ‘eletto a base regionale’, con questa riforma si porta a compimento un processo iniziato proprio nel 1948: collegare definitivamente il Senato ai territori, e permettere al primo di rappresentare questi ultimi venendo dagli stessi legittimato.
Merita attenzione un inciso dell’articolo 57: l’elezione dei senatori.
Il testo specifica che senatori dovranno essere eletti ‘In conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi’.
Per semplificare potremmo dire così: al momento del rinnovo dei Consigli regionali, con il loro voto, i cittadini avranno non solo la responsabilità di eleggere i propri rappresentati locali, ma anche di indicare chi tra questi debba rappresentare il proprio territorio a livello nazionale.
Senza alcun compenso aggiuntivo, beninteso.
In ultimo bisogna ricordare come il collegamento intenso che intercorrerà tra le due cariche di consigliere regionale, o sindaco, e senatore della Repubblica farà si che la decadenza dalla prima comporti, automaticamente, anche la decadenza dalla seconda.
Un Senato come raccordo tra Stato e Regioni.
Un Senato meno numeroso, dotato di forti strumenti politici per rappresentare le istanze quotidiane dei cittadini.
Un Senato in piena conformità con l’ispirazione originaria della Costituzione repubblicana.
LE RAGIONI DEL NO
Il magistrato Antonio Esposito ha espresso il seguente giudizio sulla composizione ed elezione del Senato.
Antonio Esposito
«La riforma Renzi/Boschi – attraverso gli attuali legislatori costituzionali delegittimati e privi di credenziali – stravolge radicalmente l’impianto della Costituzione del 1948 – basata sui fondamentali principi della partecipazione democratica, della rappresentanza politica e dell’equilibrio tra i poteri – perché essa, concentrando il potere nell’esecutivo e riducendo la partecipazione democratica – incide indiscutibilmente sulla sovranità popolare, sulla rappresentanza, sul diritto di voto.
Ed, invero, la cancellazione della elezione diretta dei Senatori, la drastica riduzione dei componenti – lasciando inalterato il numero (enorme) dei deputati – la composizione fondata su mediocri politici selezionati per la titolarità di un diverso mandato, (si tratta di una classe politica – nella specie: i consiglieri regionali – di bassa qualità e inquisiti, da nord a sud della penisola, per abuso e sperpero di pubblico denaro), incidono in maniera grave ed irrimediabile, sul principio della rappresentanza politica e sugli equilibri del sistema istituzionale.
Il disegno di legge costituzionale di riforma della Parte II della Costituzione è, quindi, inaccettabile sia per il metodo che per i contenuti, e lo è ancor più in quanto strettamente e funzionalmente connessa con la legge elettorale recentemente approvata (n° 52/2015); con l’ “Italicum” vi è una completa sinergia che aggiunge, all’azzeramento della rappresentatività del Senato, l’indebolimento, non indifferente, della rappresentatività della Camera dei deputati mediante il meccanismo dei capilista bloccati, delle multi candidature, del premio di maggioranza alla lista e del ballottaggio.
In sostanza, le modifiche della Costituzione e l’approvazione della legge elettorale – (oltre quelle sulla scuola, sul lavoro, sulla P.A. e sulla RAI) – sono contrassegnate inequivocabilmente da un disegno che concentra il potere nelle mani dell’esecutivo e del leader, riduce notevolmente il ruolo dei contrappesi istituzionali, rende sostanzialmente inefficace la rappresentanza politica, tenta di imbavagliare il dissenso e di imporre al Paese le decisioni del Governo.
Solo abrogando l’Italicum e non confermando la riforma costituzionale sarà possibile ristabilire il diritto degli elettori di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento e ripristinare l’uguaglianza degli elettori nell’esercizio del diritto di voto, come prescrive l’art. 48 della Costituzione.
Non vi è dubbio che le due campagne referendarie debbano marciare unite nel comune intento di far comprendere l’intreccio perverso ed inscindibile tra riforma della Costituzione e legge elettorale (Italicum) finalizzate entrambe a ribaltare il fondamento parlamentare della nostra Repubblica per collocare al centro decisionale il governo, consentendo ad una minoranza di elettori di conquistare la maggioranza della Camera, unica rilevante a fronte di un Senato, ridotto ad una specie di dopolavoro di sindaci e di consiglieri regionali, e per questa via imponendo scelte istituzionali e politiche in materie di grande delicatezza ed importanza: dall’elezione del Presidente della Repubblica fino alle decisioni in materia di impegno militare, o addirittura di guerra, del nostro paese.
Non appare, allora, difficile spiegare ai cittadini che quello a cui saremo chiamati è un referendum sui “valori” della Repubblica, sulla democrazia costituzionale, e non certo sul Governo o sulla sorte di un capo politico.
È, pertanto, un “espediente truffaldino” – come ha posto in rilievo Alessandro Pace all’Assemblea del comitato per il no dell’11/01/2016 – che il Governo si faccia promotore del referendum, come già anticipato da Renzi, al fine di distorcerne il senso e le finalità <<oppositive>> per trasformarlo in un plebiscito in favore del Governo.
Questa mistificazione va decisamente respinta.»
Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’università di Bologna, ha espresso a sua volta il seguente giudizio, rispondendo ad una serie di punti.
Gianfranco Pasquino
«2. No, non è vero che la riforma del Senato nasce dalla necessità di velocizzare il procedimento di approvazione delle leggi.
La riforma del Senato nasce con una motivazione che accarezza l’antipolitica “risparmiare soldi” (ma non sarà così che in minima parte) e perché la legge elettorale Porcellum ha prodotto due volte un Senato ingovernabile.
Era sufficiente cambiare in meglio, non in un porcellinum, la legge elettorale.
Il bicameralismo italiano ha sempre prodotto molte leggi, più dei bicameralismi differenziati di Germania e Gran Bretagna, più della Francia semipresidenziale e della Svezia monocamerale.
Praticamente tutti i governi italiani sono sempre riusciti ad avere le leggi che volevano e, quando le loro maggioranze erano inquiete, divise e litigiose e i loro disegni di legge erano importanti e facevano parte dell’attuazione del programma di governo, ne ottenevano regolarmente l’approvazione in tempi brevi.
No, non è vero che il Senato era responsabile dei ritardi e delle lungaggini.
Nessuno ha saputo portare esempi concreti a conferma di questa accusa perché non esistono.
Napolitano, deputato di lungo corso, Presidente della Camera e poi Senatore a vita, dovrebbe saperlo meglio di altri.
Piuttosto, il luogo dell’intoppo era proprio la Camera dei Deputati.
Ritardi e lungaggini continueranno sia per le doppie letture eventuali sia per le prevedibili tensioni e conflitti fra senatori che vorranno affermare il loro ruolo e la loro rilevanza e deputati che vorranno imporre il loro volere di rappresentanti del popolo, ancorché nominati dai capipartito.
- 3. No, non è vero che gli esponenti del NO sono favorevoli al mantenimento del bicameralismo.
Anzi, alcuni vorrebbero l’abolizione del Senato; altri ne vorrebbero una trasformazione profonda.
La strada giusta era quella del modello Bundesrat, non quella del modello misto francese, peggiorato dalla assurda aggiunta di cinque senatori nominate dal Presidente della Repubblica (immaginiamo per presunti, difficilmente accertabili, meriti autonomisti, regionalisti, federalisti).
Inopinatamente, a cento senatori variamente designati, nessuno eletto, si attribuisce addirittura il compito di eleggere due giudici costituzionali, mentre seicentotrenta deputati ne eleggeranno tre.
È uno squilibrio intollerabile.»
Giuseppe Ferraro, Professore Università Federico II di Napoli, si è espresso al riguardo nel seguente modo.
Giuseppe Ferraro
«Fatti salvi i Principi della prima parte della Costituzione quello che continua a essere “manomesso” e “riscritto” è la parte dei Titoli che riguardano il rapporto tra Stato e Società, che si esprime nelle modifiche nel rapporto tra Governativo e Amministrativo.
Nella proposta di Riforma questo rapporto appare del tutto sbilanciato aprendo uno scarto che ripete la storia dell’Unità fin qui diversamente sofferta dai governi regionali sempre meno tali.
La Riforma del Senato marca con ancora più forza questo scarto che si esprime come prospettiva presidenzialista con conseguente perdita di soggettività delle Comunità Regionali.
Che le Regioni siano espressione di Comunità è un dato più marcato per l’Italia del Meridione, ma che è tale in tutte le diverse espressioni come da sempre è per la Storia del Paese.
Ignorarlo significa riprodurre gli stessi guasti e disagi evidenti in un’idea dell’Europa che è sempre meno Unione e sempre più Unità a misura di uno Stato Nazionale egemone sugli altri chiamati ad adeguarsi alla sua unità di misura.
L’impegno di Riforma della Costituzione ci vede impegnati su questo piano generale.
Non possiamo evitarlo né fingendo di non capire né proclamando scissionismi, separatismi e uscite ridicole.
Titolo IV e Titolo V della Costituzione sono in stretta connessione, riguardando il primo la rappresentanza delle Regioni, mentre il secondo riguarda i “poteri” che gli Enti Locali sono chiamati a svolgere.
La Riforma così com’è predisposta elimina, di fatto, il Senato dalla funzione politica governativa.
Lo riduce ai rappresentati Consiglieri degli Enti Locali, non eletti proprio dalla popolazione.
Sono Consiglieri incaricati di un mandato aggiuntivo, chiamati a rispondere degli atti amministrativi degli Enti di cui sono rappresentanti.
Il punto di volta è che il Senato così composto è fatto da “impiegati” che devono rispondere dei “compiti” assegnati dall’Unione Europa circa l’utilizzo dei fondi sociali per progetti passati a bando per «Misure» calate esse stesse dall’alto.
A entrare nello specifico degli articoli si resta colpiti dal conseguente esautoramento della Camera dei Senatori.»
Il professor Vittorio Angiolini, docente di Diritto costituzionale all’Università Statale di Milano, co-firmatario dell’appello per il no dei 56 costituzionalisti, ha rilasciato al riguardo la seguente intervista.
Vittorio Angiolini
«Professor Angiolini, quali sono i pregi e i difetti della riforma?
VA Abolire il bicameralismo paritario indifferenziato – e cioè due Camere che devono entrambe deliberare la legge nello stesso testo, che devono entrambe dare la fiducia al Governo e che sono entrambe composte pressoché nello stesso modo – è un’idea corretta, in astratto.
Il problema è che nella riforma il Senato è stato cambiato sia nella composizione sia nelle funzioni.
E il guaio è che in entrambi i casi si è voluto costruire un meccanismo che produce effetti opposti a quelli dichiarati, traendo contraddittoriamente ispirazione da modelli opposti tra loro: quello del Senato degli Stati Uniti, composto di senatori direttamente eletti dal popolo per ogni Stato – e dotato di funzioni di controllo sul potere esecutivo molto potenti -, e quello tedesco, dove i Laender, gli Stati federati della Germania più simili alle nostre Regioni, eleggono un certo numero di rappresentanti dentro il Bundesrat, il consiglio federale.
Il nuovo articolo 57 della Costituzione prevede infatti che i senatori vengano eletti dai Consigli regionali ma in “conformità” alla volontà del popolo.
Siccome è impossibile fare una legge che metta d’accordo il popolo e i consiglieri regionali, perché tutto ha un limite anche nella magia di questo Governo, si dovrà operare una scelta attraverso una legge di approvazione delle due Camere che sacrificherà una delle due volontà, contrastanti tra loro nello stesso articolo, e che sarà incostituzionale per definizione.
La cosa curiosa di questa “riforma” è che nasce da un governo che ha molto fastidio per il componimento delle controversie in sede giudiziaria, e che però ha scritto una riforma il cui principale vizio sta proprio nel fatto che rimette tutto ai giudici.
Dunque sarà impossibile comporre il nuovo Senato?
VA Sarà difficile, quanto meno in modo legittimo.
La qual cosa ‘non ha un gran peso’, si dice, perché in fondo alla riforma c’è una norma transitoria secondo la quale fino a che non si fa la legge per l’elezione dei senatori, li eleggeranno i consigli regionali su liste bloccate.
Ripeto, su liste bloccate.
C’è il rischio dunque che la legge non si faccia mai e che la composizione del Senato venga regolata dalla norma transitoria da qui all’eternità.
Che è un classico in Italia.»
Massimo Villone, già senatore e professore di diritto costituzionale della Università Federico II, ha individuato 30 ragioni per dire NO alle riforme della Costituzione e legge elettorale Italicum.
Massimo Villone
La 7°, 8°, 9°, 10° e 11° di queste ragioni riguardano la composizione e la elezione del Senato.
Il giurista Luca Benci ha espresse la seguente articolata valutazione.
Luca Benci
«Nella riforma Renzi/Boschi il Parlamento resta a composizione bicamerale: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica.
Quello che cambia, come vedremo, è il c.d. “bicameralismo perfetto” sistema nel quale le due camere hanno gli stessi identici compiti.
Concentreremo la nostra attenzione sulla composizione di quello che si vorrebbe far diventare il nuovo parlamento, rimandando al prossimo appuntamento le funzioni
……
Cambia invece radicalmente il Senato riducendo drasticamente i suoi membri (da 315 a 100) e diventando un organo non elettivo.
La Camera dei deputati, dunque, resta l’unico ramo del parlamento elettivo e la legge c.d. Italicum è già pronta per entrare in vigore.
Il Senato, come abbiamo visto, scende a 100 componenti di cui 95 nominati dalle Regioni e 5 dal Presidente della Repubblica.
E’ una precisazione da sottolineare con forza visto che, certa propaganda, ha fatto passare un messaggio non veritiero in merito alla soppressione della “Camera alta”.
I senatori non rappresenteranno più la “Nazione” ma saranno rappresentativi delle “istituzioni territoriali”, tranne i cinque nominati dal Presidente della Repubblica che non se i capisce bene di chi e di cosa siano rappresentativi.
Nei parlamenti i membri, in genere, rappresentano il “popolo sovrano”.
I senatori rappresenterebbero le istituzioni territoriali, ma non è ben chiaro con quale meccanismo.
Se fossero dei reali rappresentanti dovrebbero essere nominati dalle giunte regionali e rappresentare gli esecutivi.
Nella legge Boschi/Renzi invece i senatori vengono “eletti/nominati” dai consigli regionali, con “metodo proporzionale”, ragione per cui non rappresenteranno le “istituzioni” bensì le forze politiche presenti nei consigli regionali.
La contraddizione del sistema viene resa ancora più stridente nel momento in cui l’articolo 121 della Costituzione continua a stabilire che i presidenti della giunta regionale “rappresentano la regione”.
I presidenti rappresentano la Regione ma non in Parlamento.
Parlano a nome della Regione, impegnano la Regione, sono in un qualche modo la Regione, ma non possono fare sentire la loro voce in Parlamento, mentre al loro posto ci potranno essere anche i loro oppositori.
Diverso è per i sindaci che rappresenteranno – sembra capire – i propri comuni.
Non è chiara la ratio della presenza dei sindaci.
Se rappresentano i loro comuni si porrebbero quei 22 comuni – su circa 8000 – in una condizione di privilegio ingiustificato rispetto agli altri, senza che vi sia un motivo logico.
Un pasticcio giuridico e logico che raramente si è visto in queste proporzioni e certo mai nella Carta costituzionale.
I Consigli regionali e le Province autonome di Trento e di Bolzano devono, dunque, “eleggere/nominare” il nuovo Senato per un totale complessivo di loro spettanza di novantacinque membri.
Devono sceglierli con metodo proporzionale tra i “loro componenti” (quindi consiglieri regionali) e, nella misura di “uno per ciascuno” tra i sindaci dei loro territori.
Nessuna Regione potrà avere un numero di senatori inferiori a due.
La composizione del Senato, al netto dei nominati della Presidenza della Repubblica, sarà quindi di 22 sindaci e di 73 consiglieri regionali.
Sulla loro “elezione/nomina” la chiarezza di quella che si vorrebbe far diventare la nuova Carta costituzionale cessa di esistere.
Non è chiaro neanche se si tratti di una elezione o una nomina in senso stretto.
La proposta di Costituzione riscritta non chiarisce il metodo, ma rimanda al legislatore ordinario, “con legge approvata da entrambe le Camere” le modalità di elezione e di attribuzione dei seggi con la precisazione – criptica – che “i seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio”.
Qui il mistero si infittisce.
Dopo la fase transitoria – sono state infatti emanate delle norme intertemporali in attesa della legge bicamerale che verrà fatta successivamente – non è chiaro cosa significhi quanto previsto dal nuovo articolo riscritto.
I seggi saranno attribuiti in ragione dei voti espressi o in ragione della composizione dei gruppi consiliari?
In pressoché tutte le Regioni esiste una legge elettorale maggioritaria, con premio di maggioranza, ragione per cui i seggi non sono la rappresentazione dei voti espressi dai cittadini, ma frutto proprio del premio della legge elettorale.
Gli ex senatori a vita diventano “a tempo determinato” e vengono nominati per avere illustrato la patria” per altissimi meriti nel campo sociale, artistico, scientifico e letterario”.
Non si capisce chi rappresentino esattamente, certo non le istituzioni territoriali.
Vengono nominati dal presidente della Repubblica, rimangono in carica per sette anni, esattamente come il presidente.
Il loro peso nel Senato riformato numericamente crescerebbe moltissimo (5 su 100 anziché su 315) e potrebbero essere anche l’ago della bilancia: i “nominati tra i nominati”.
Altra novità rilevante: il Senato non scade mai e rimane sempre in carica mentre la Camera dei deputati scadrà ogni cinque anni per poi andare al rinnovo elettivo.
Nel Senato scadono i singoli senatori in quanto la durata del mandato coincide con quella dei loro organi (Regioni o Comuni). Impossibile quindi predeterminare o sapere se la maggioranza del Senato coincida con quella della Camera.
Può verificarsi il fatto che abbiano due maggioranze politiche opposte tra di loro, non certo un buon viatico per il funzionamento di un parlamento bicamerale.»
Alessandro Pace, Professore emerito di diritto costituzionale – Università La Sapienza di Roma, Presidente del Comitato per il No nel referendum sulla legge Renzi-Boschi si è espresso al riguardo nel modo seguente.
Alessandro Pace
«6.1. La violazione del diritto di elettorato attivo come forma di esercizio della sovranità popolare. Secondo l’art. 1 comma 2 Cost. « La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione ».
Il principio è chiaro: esso sta a significare che, alludendo alle “forme” di esercizio della sovranità popolare, la Costituzione garantisce l’elettività diretta delle assemblee legislative (L. Carlassare; S. Gambino; A. Pace, 2014).
Ciò è stato bene evidenziato dalla stessa Corte costituzionale allorché, nella sent. n. 1 del 2014 (cons. in dir. n. 3.1), ha affermato che «la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto (…) costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare», per cui l’ineliminabile “principio supremo” è stato individuato nel senso che le “forme” di esercizio della sovranità popolare, per ciò che attiene alle elezioni politiche, sono soltanto quelle “dirette”.
Il che, come esclude modelli elettorali come quelli del Bundesrat tedesco — improponibile nel nostro ordinamento anche perché ha una diversa storia ultracentenaria alle proprie spalle —, esclude altresì le elezioni indirette per il tramite dei “grandi elettori” (v. infra in questo §).
Del resto, se il senso da dare all’art. 1 comma 2 Cost. non fosse quello originario (v. infra), si finirebbe con l’ammettere, contro la sentenza n. 1146 del 1988, che le forme di esercizio della sovranità popolare potrebbero essere liberamente modificate con legge costituzionale.
E quindi la funzione legislativa ordinaria e a fortiori quella di revisione costituzionale potrebbero, come appunto previsto dalla legge Boschi, essere esercitate anche da organi non eletti direttamente dal popolo.
Con il che verrebbe indebolito (se non addirittura smentito) «il principio supremo dell’appartenenza al popolo della sovranità, se non altro perché funzioni rilevantissime, quali quella legislativa costituzionale e legislativa ordinaria, ed equilibri politici fondamentali, quali quelli che mettono capo alla posizione del Presidente della Repubblica e della Corte costituzionale, risultano almeno in parte affidati ad organi non rappresentativi» (F. Sorrentino, 2016).
Di qui la permanente attualità dell’interpretazione suggerita da Carlo Esposito uno dei massimi costituzionalisti italiani dello scorso secolo: «Il contenuto della democrazia non è che il popolo costituisca la fonte storica o ideale del potere, ma che abbia il potere; non già che esso abbia solo
il potere costituente, ma che a lui spettino i poteri costituiti; e che non abbia la nuda sovranità (che praticamente non è niente) ma l’esercizio della sovranità (che praticamente è tutto)».
E di qui, come già accennato, la violazione del “principio supremo” dell’art. 1 comma 2 Cost. da parte dei commi 2 e 5 del “nuovo” art. 57, i quali, con formulazione criptica, sembrerebbero contraddittoriamente prevedere (G. Zagrebelsky, U. De Siervo, 2016.b) che l’elezione dei senatori-consiglieri spetti bensì ai consigli regionali, che però dovrebbero “conformarsi al risultato” (?!) delle elezioni regionali (v. supra § 2).
Poiché tale norma si preoccupa soltanto delle elezioni dei consiglieri senatori, va però avvertito che quel lambiccato correttivo previsto per i consiglieri regionali non varrebbe comunque per i senatori-sindaci.
E quindi almeno sotto questo profilo non verrebbe meno il vizio di legittimità costituzionale di cui è affetto il “nuovo” art. 57.
Si è però sostenuto che quella dei senatori sarebbe un’elezione di “secondo grado” (E. Cheli) [In questo equivoco cadono anche gli anonimi redattori de La riforma costituzionale. Disegno di legge costituzionale A.C. 2613-D. Schede di lettura, Camera dei deputati. Servizio studi, n. 216/12. Parte prima — Aprile 2016, pp. 32 e 38, secondo i quali «Per il Senato, dunque, oltre diminuire in maniera rilevante il numero dei componenti, l’elezione popolare diretta viene sostituita, per 95 membri, da un’elezione di secondo grado».] o “indiretta” (N. Lupo; A. Mastromarino).
Il che è manifestamente errato, in quanto — come venne magistralmente evidenziato da Leopoldo Elia in critica ad passaggio inesatto nella sent. n. 98 del 1968 della Corte costituzionale (pedissequamente ripetuto nella sent. n. 50 del 2015) — le elezioni indirette “in senso proprio” sono solo quelle di secondo grado.
Il che si verifica quando i “grandi elettori”, eletti dal popolo, scelgono in Francia i senatori e, negli Stati Uniti, il Presidente della Repubblica.
Altrimenti si finirebbe per sostenere — paradossalmente — che i cittadini italiani, quando eleggono i deputati e i senatori, eleggerebbero indirettamente anche il Presidente della Repubblica (L. Elia).
Fermo restando che il futuro Senato non avrebbe nulla in comune né col Senato francese, perché non sarebbe eletto da “grandi elettori” come in Francia; né col Bundesrat tedesco, perché le 16 Regioni (Länder) sono ivi rappresentate dai rispettivi governi, si è prospettato che il modello italiano si ispirerebbe, sia pure non integralmente, al Bundesrat austriaco (A. D’Atena, 2015), i cui componenti, come nella legge Boschi, sono eletti dalle assemblee dei Länder, ancorché non necessariamente tra i propri membri (art. 35 Cost. austriaca).
Deve però essere sottolineato che, diversamente dal nostro ordinamento — nel quale l’elezione “indiretta” violerebbe manifestamente l’art. 1 comma 2 della nostra Costituzione (v. supra) — l’elezione “indiretta” del Bundesrat da parte dei Länder austriaci non viola l’art. 1 della Cost. austriaca che, limitandosi a proclamare che «L’Austria è una Repubblica democratica. Il suo diritto emana dal popolo», non estende la sua garanzia anche alle “forme” d’esercizio della sovranità popolare.
Non è quindi un caso che il modello austriaco sia stato criticato per la sua carente legittimazione democratica (H. Schäffer; R. Bin, 2015.a) e per la logica strettamente ed esclusivamente partitica che lo caratterizza (A. D’Atena, 2015).
8. Sulla rappresentatività non territoriale del futuro Senato.
Si è già visto come, nell’esercizio delle funzioni elencate nel “nuovo” art. 55 comma 4, il Senato eserciti funzioni statali.
Il che ulteriormente evidenzia l’errore di fondo di averne attribuito l’elettività ai consigli elettorali e non ai cittadini.
In uno Stato “regionale” come il nostro, la statuizione che il Senato rappresenti «le istituzioni territoriali» costituisce infatti una “bestemmia” (M. Dogliani), in quanto soltanto nello Stato federale sono rappresentati i singoli Stati-membri, i Länder o le province.
Di qui la conclusione che, nonostante tale enunciato, il Senato resterebbe organo dello Stato, tanto più che nella legge Boschi non si rinvengono spunti per sostenere che il Senato rappresenterebbe i “territori” come tali (N. Lupo).
Infatti, perché potesse ritenersi che il “nuovo” Senato rappresenti i territori, il numero dei senatori dovrebbe essere identico per ciascuna regione quale ne sia l’estensione e quanti ne siano i residenti (le ragioni sono chiaramente spiegate da A. Hamilton e [o da J. Madison?] nella lettera n. 62 dei Federalist Papers).
Ed in effetti l’originaria versione del “nuovo” dell’art. 57 Cost. (d.d.l. n. 1429), oltre alla significativa presenza, nel Senato delle Autonomie, dei Presidenti delle Giunte regionali e delle Province autonome di Trento e Bolzano, prevedeva, per ogni Regione, due membri eletti dal Consiglio regionale e due sindaci eletti da un collegio elettorale costituito dai sindaci della Regione.
Ma tale soluzione non arrivò nemmeno alla prima lettura, per cui, per quel che attualmente risulta ( La riforma costituzionale. Disegno di legge costituzionale A.C. 2613-D. Schede di lettura, cit., p. 35.), l’ammontare dei seggi cambierebbe a seconda della popolazione delle Regioni: da 14 seggi per la Lombardia a 2 per la Basilicata.
Quanto poi al vincolo di mandato — determinante perché la natura della rappresentanza sia “territoriale” e non “politica” — il “nuovo” art. 67 Cost. lo esclude non solo per i deputati, ma anche per i senatori.
Ora è bensì vero che la natura territoriale dell’ente territoriale non sempre ne assorbe la natura politica, come appunto dimostra l’esperienza statunitense (N. Lupo), ma da qui a sostenere che il Senato avrebbe natura “territoriale” senza la pari rappresentanza delle Regioni e senza nemmeno il vincolo di mandato (C. Pinelli, 2016.b), il passo sembra oltremodo eccessivo.
Escluso quindi, dalla maggioranza dei costituzionalisti, che il “nuovo” Senato rappresenterebbe i territori regionali (R. Bin, 2015.a; G. Brunelli; F. Sorrentino; P. Caretti, 2016; V. Onida, 2016.a), ne risulta confermata la rappresentatività politico-partitica in un contesto certamente più centralistico di prima.
Pertanto dalla statuizione che «il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali» non esplicherebbe alcuna conseguenza pratica sulla stessa riforma.»
Dott. Arch. Rodolfo Bosi