Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente articolo redatto per VAS da Adriana Janežič.
Adriana Janežič
Che cosa sta succedendo a Trieste, in una città “tanto cara agli italiani” ma agli italiani tanto sconosciuta?
Dal 1954, in base al Memorandum di Londra la città, assieme a sei Comuni limitrofi è stata affidata al “governo provvisorio” dell’Italia e dal 1963, in base alla L. costituz. 1/1963, è stata incardinata alla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.
Ma vale la pena di ricordare quale sia stato il suo percorso storico e statuale: se dal 1382 al 1918, per più di mezzo millennio, è stata città dell’Impero Asburgico, dal 1918, alla fine della prima guerra mondiale, ha avuto alterne vicissitudini che hanno visto passare sul suo territorio il Regno d’Italia e il fascismo con le leggi razziali, l’occupazione nazista (Adriatische Küstenland dal 1943 al 1945) con il lager e il forno crematorio, alla fine della guerra la presenza di truppe alleate, jugoslave e neozelandesi prima e anglo americane poi, fino al Trattato di Pace (1947) che istituisce il “Territorio Libero di Trieste” con l’insediamento del “Governo militare alleato – AMG-FTT “ anglo americano (1947-1954).
Se questi sono gli antefatti, ci ritroviamo nel dicembre 2014 quando, in una notte disastrosa per Trieste, si consuma l’ultimo scippo del suo territorio: alla finanziaria italiana, blindata nel voto, il senatore triestino Russo (PD) inserisce un emendamento che attua la “sdemanializzazione” di una parte del Porto Franco Internazionale, il Porto Nord.
Passa così, con voto blindato, un atto “illegittimo” in quanto il Porto Franco è previsto, come anche ribadito in sede di Commissione europea, dall’Allegato VIII del Trattato di Pace (ovviamente vigente), e non è quindi demanio dello Stato italiano.
In sede di Camera dei Deputati un rappresentante triestino (Fedriga L.N.) presenta un ordine del giorno, condiviso da altri due triestini (Aris e Salvini) che chiede di approfondire la questione Trieste e la sdemanializzazione del Porto Franco, l’ordine del giorno viene respinto.
Si prefigura quindi la “sdemanializzazione illegittima” di un’area di 60 ETTARI del Porto Franco, valutabile in 1,5 miliardi di euro, per adibirla a urbanizzazione, peraltro senza un piano regolatore, senza una visione d’insieme per un territorio “fronte mare” più grande dello Stato del Vaticano (44 ettari).
Un tentativo precedente era già stato presentato in tempi recenti ed era denominato “Portocittà” Trieste in cui era coinvolta la Maltauro (ora indagata per l’EXPO di Milano) e la Rizzani de Eccher, ed era interessante notare che il primo plastico presentato conteneva nel “rendering”, a fronte di darsene per barche e centri commerciali alcuni grandi paralleli “trasparenti” poco percepibili, che stavano a significare “condominii”.
La città, la popolazione, non è rimasta a guardare, non è rimasta ferma: si è formato già alla fine di dicembre un Comitato unitario con lo slogan “Salviamo il porto” e le manifestazioni e gli interventi assembleari continuano.
Sono più di due anni ormai che accanto ai movimenti “indipendentisti” (dall’Italia), mai sopiti a Trieste nel secondo dopoguerra, sono comparsi nuovi movimenti politici che hanno, assieme agli indipendentisti, un obiettivo preciso: la “piena attuazione del Trattato di Pace e del Territorio Libero di Trieste”.
In particolare il 15 settembre 2013 c’è stata una forte manifestazione di piazza (con un numero consolidato di 8.000 persone) che ha percorso le vie cittadine del centro con slogan in italiano, sloveno e inglese: da “We, the people of the Free Territory of Trieste” a “Wake up ONU”.
Naturalmente la stampa italiana non ne ha parlato e quella monopolistica cittadina ha sempre minimizzato, come ha cercato di far passare, assieme ai politici locali, la “sdemanializzazione” dei 60 ettari fronte mare come un “guardare al futuro e non al passato”, cioè speculazione immobiliare sì e attività portuale no.
È facile per i governi sia locali, comunali e regionali, che nazionali parlare di “stato di abbandono” di quella enorme area, infatti è lo stesso abbandono in cui versa la città da quando è stata depauperata dal Governo italiano di tutto il suo tessuto industriale.
Basti pensare al Cantiere San Marco, che ha varato, in epoca austroungarica le prime navi che hanno solcato i mari nelle rotte asiatiche.
Un cantiere che è stato smantellato con tutte le sue migliaia di maestranze nel 1966 per spostare la cantieristica a Genova o, a…Monfalcone, a poche decine di chilometri da Trieste, ma in una cittadina che, in base al Trattato di Pace del 1947, è pienamente in territorio italiano.
Non si può vedere tutto questo improvviso “accanimento illegittimo”, dopo anni di abbandono, se non collegandolo allo sviluppo in itinere dei nuovi assi di traffico continentali: al corridoio “baltico” Nord-Sud che dovrebbe congiungersi all’alto Adriatico, e fare di Trieste, come Capodistria-Koper e Fiume-Rijeka, un porto terminale.
Ma non si può neanche non vedere che un altro corridoio, quello “transiberiano” è in itinere e congiungendo l’Ovest (Europa) con l’Est (Asia) avrà ancora un punto nodale in Vienna e interesserà i porti dell’Alto Adriatico.
Per questi motivi è stata presentata una ipotesi italiana (antieconomica e quindi non logica) con la quale si propone di deviare in territorio italiano il percorso, bypassando Trieste, e tramite gomma o ferrovia (appunto antieconomico) spostare i traffici al Sud Italia (zone rispettivamente in mano alle mafie locali… si vuole riuscire a completare la Salerno Reggio Calabria?).
Se consideriamo anche che il canale di Suez è ora interessato a lavori di ampliamento (raddoppio) il quadro è completo.
Trieste, che ha attraversato il “secolo breve” in continua transizione di Governi e di confini se questi progetti “illegittimi” dei politici locali e nazionali italiani dovessero andare “in porto” sarebbe tolta definitivamente dal mare e assisterebbe a una enorme speculazione edilizia e a una cementificazione mentre in città è presente un calo demografico costante e rilevante da decenni , come costante è l’aumento di immobili sfitti.
Trieste, con il suo Porto Franco, status dato da Carlo VI d’Asburgo nel 1719, è cresciuta sul mare, se passasse questo progetto, che per ora ha l’intento di bloccare qualsiasi sviluppo portuale, consegnerebbe alle nuove generazioni solamente foto, cartoline e disegni dei secoli precedenti per poter vedere le grandi navi nel golfo.
*************************
Il Presidente del Movimento Trieste Libera Roberto Giurastante ha trasmesso una Lettera a Regione e Comune per far sapere che si opporrà tale operazione illecita con ogni mezzo legittimo, in ogni sede e con sicura efficacia.
Roberto Giurastante