Nel Palazzetto Bru Zane di Venezia il 15 gennaio 2015 si è svolto un incontro organizzato da Corte del fòntego editore sul tema “abitare Venezia”, per ricavare una serie di riflessioni sul vivere oggi la città con da una parte i veneziani in fuga e dall’altra chi, nonostante tutte le difficoltà, resiste e non ha alcuna intenzione di lasciare il centro storico per un più comodo e magari meno costoso trasferimento in terraferma.
A interrogarsi su cosa significhi vivere oggi a Venezia ci saranno gli urbanisti Edoardo Salzano e Maria Rosa Vittadini, l’architetto Sergio Pascolo e il giornalista della Nuova di Venezia e Mestre Enrico Tantucci.
Riportiamo le riflessioni nella forma dello schema del dialogo che è stato pubblicato il 23 gennio 2015 su Eddyburg.
1 il paradosso:
EDOARDO SALZANO: Venezia è una città nella quale alla perfezione dell’assetto urbanistico si accompagna una grave difficoltà, da parte dei residenti, a continuare ad abitarla: “Ogni anno qualche migliaio di persone abbandona Venezia rinunciando a vivere in una delle più straordinarie strutture urbane del mondo. Come spiegare questo paradossi”
Questa è la domanda che pone Sergio Pascolo, autore di “Abitando Venezia”.
Gli chiedo di argomentarla.
Edoardo Salzano
SERGIO PASCOLO: vorrei precisare che quando diciamo “una delle più straordinarie strutture urbane del mondo” oggi, più che qualche decennio fa, significa anche una delle città più attuali del mondo; infatti ovunque si sta facendo una riflessione profonda sulla crescita urbana e sull’insostenibilità dei modelli ormai obsoleti basati sulla crescita infinita e sregolata permessa dalla diffusione del trasporto individuale con l’automobile; oggi si sta discutendo proprio della necessità di fissare nuovi paradigmi dello spazio urbano che riportino la città a dimensione umana; la condizione di pedonalità, il rapporto continuo con la natura (l’acqua) il vivere muovendosi all’aria aperta e potendo incontrare persone, sono i valori che costruiscono questi nuovi paradigmi necessari per la città del XXI secolo; mentre molte città cercano di perseguire questi obiettivi anche con progetti impegnativi e difficili Venezia è già così ma viene abbandonata – Abitare = Vivere = Lavorare= Tempo libero: qualità complessiva della vita
Sergio Pascolo
- le ragioni del disagio:
EDOARDO SALZANO: a me sembra che le ragioni essenziali del disagio, i suoi fattori, siano tre: 1. il prezzo, in termini economici, del vivere a Venezia (la casa, i prodotti, i servizi per la casa) 2. il disagio provocato dalla congestione: le code e la ressa ai vaporetti, le movida nei campi più frequentati, … 3. l’assenza, da almeno un ventennio, di un governo che si faccia carico dei problemi degli abitanti stabili.
MARIAROSA VITTADINI: Il problema dei trasporti è stato storicamente un fattore potente di abbandono della città da parte dei suoi abitanti.
Per il costo generalizzato, come lo chiamano i trasportisti, fatto dei costi diretti e soprattutto del tempo di viaggio.
Ma fatto anche di profonde ragioni culturali.
Negli anni sessanta e settanta l’automobile è stata una conquista sociale, un simbolo di ricchezza e averla sotto casa un fattore di libertà.
Venezia è stata vissuta come una città difficile, scomoda, frenante.
Da qui molte politiche di omogeneizzazione della città finalizzate ad una presunta efficienza. Emblematica la storia di piazzale Roma, della concentrazione di uffici e attività e del rovesciamento della città storica intorno alla testa di ponte.
Il grandissimo successo dell’automobile nel mondo ne ha fatto uno dei principali problemi per la città.
Inquinamento, congestione (che vuol dire lentezza, incertezza sui tempi di spostamento, disagio collettivo oltre che individuale), limitazioni crescenti e anche disaffezione stanno cambiando radicalmente le cose.
Non c’è ragionamento sulla città di domani, etichettata come amichevole, intelligente, eco-sostenibile, resiliente e così via che non inizi con la riduzione delle mobilità automobilistica, la riconquista della salute e del piacere di muoversi a piedi e la trasformazione dell’auto in un servizio piuttosto che in un bene privato.
Questa aspirazione d’altrove a Venezia è già un fatto, con una qualità dello spazio che fa del semplice camminare una continua gioia per gli occhi e una continua avventura di scoperta della storia, delle tradizioni, dei valori culturali ed artistici.
Ma gli amministratori di Venezia non se ne sono accorti e perseguono con impegno degno di miglior causa l’ostinazione a omogeneizzare Venezia a vecchi modelli, magari sentendosi innovativi quando propongono la metropolitana sub lagunare da Tessera a Fondamente Nuove.
Accade così che si aggiungano così nuovi parcheggi a Piazzale Roma, al Tronchetto, alla Marittima, alla radice del ponte translagunare.
Arrivare presto e più vicino possibile, rosicchiando i margini per far posto alle auto: quelle privilegiate degli addetti al porto, quelle dei turisti che partono con le grandi navi, quelle dei turisti che possono permettersi alte tariffe giornaliere.
Anche per i residenti, certo, riservando loro quote minime.
Tuttavia per quelli che abitano Venezia il problema automobile è veramente minimo.
Il servizio acqueo funziona benissimo quando non è congestionato dai turisti, anche se recentemente i tagli ai finanziamenti ne hanno minato la regolarità.
La ferrovia, l’aeroporto una fin troppo estesa rete autostradale collegano efficacemente al resto del mondo.
Il problema sono piuttosto i trasporti di vicinato, una terraferma ad insediamento disperso, fondata sull’uso obbligatorio dell’automobile, dove gli investimenti si concentrano sulle autostrade e contribuiscono potentemente alla ulteriore dispersione.
Il SFRM vent’anni dopo la decisione di farlo non ha partorito neppure una linea e soprattutto non è riuscito a raccordare Venezia e la sua area metropolitana.
Si arriva più facilmente dalla Francia o dalla Germania che da Spinea.
EDOARDO SALZANO: Sul tempo avrei qualcosa da aggiungere.
Io sostengo che per valutare la qualità del trasporto, della mobilità, non basti misurare la durata del percorso, ma anche la sua qualità.
Altro è una brutta metropolitana, altro è un bel tram, come a Strasburgo, altro ancora è un vaporetto nell’arciplago che è Venezia.
La riflessione di Maria Rosa sugli effetti della mobilità interamente affidata al mezzo individuale mi induce ad anticipare un tema su cui fra poco vorrei tornare: Venezia, proprio per il modo in cui storicamente si è organizzata la sua mobilità, ha molto da insegnare al mondo.
Se non ricordo male era Le Corbusier che diceva che a Venezia si era raggiunto un obiettivo che era stato proposto ma raramente raggiunto dall’urbanistica moderna: la separazione del traffico pedonale da quello meccanico.
Ma sentiamo anche Sergio.
SERGIO PASCOLO: sui PREZZI: sicuramente quello del costo della casa è il problema maggiore e non può che essere affrontato con un ri-equilibrio del mercato tramite interventi di housing sociale; per quanto riguarda il costo generale della vita credo che si debbano considerare molti aspetti; per esempio non avere bisogno dell’automobile è un grande risparmio nell’economia di una famiglia; è chiaro però che i servizi di trasporto pubblico, di car sharing e quant’altro debbano essere efficientisssimi; uno stile di vita diverso, migliore più sano, più ecocompatibile è un valore e non va considerato un difetto rispetto all’omologazione con altri stili di vita urbana.
E questo corrisponde a significativi risparmi.
Sulle RAGIONI del disagio: ne aggiungerei una quarta a mio avviso fondamentale: la mancanza di prospettive di lavoro per la fascia più importante della popolazione attiva, quella che si butta nella vita reale appena finiti gli studi; quella fascia di popolazione da 25 a 40 anni, gli anni più dinamici di invenzione e crescita, non c’è oggi e non ci sarà in futuro se la città non cambia passo
EDOARDO SALZANO: La questione del lavoro è certamente nodale.
Ci torneremo tra poco.
Ho invece qualche perplessità quando si parla di social housing.
In Italia significa una forma nuova di speculazione.
Il comune, o lo Stato, danno al proprietario del un suolo più cubatura di quanta ne consentirebbe il piano urbanistico, e in cambio ottiene che il proprietario riservi, per qualche tempo, un po’ di alloggi a un costo inferiore a quello di mercato.
Il problema, e l’obiettivo, devono essere quelli di offrire abitazioni a chi non può permettersi di pagare gli intollerabili prezzi che fa il mercato.
Si tratta perciò di avere edilizia pubblica da dare in uso a prezzi accessibili a chi effettivamente dimostra di avere, e di conservare i requisiti giusti.
- l’autodifesa:
EDOARDO SALZANO: I cittadini tentano di difendersi in molti modi.
Voglio sottolinearne due:
- Chi ha una stanza in più, diventa affittacamere.
Conseguenza negativa: diminuiscono le abitazioni per gli abitanti stabili.
- Nei luoghi della movida gli abitanti recintano pezzi del suolo pubblico, la città viene negata,.
MARIA ROSA VITTADINI: L’autodifesa passa attraverso molti modi.
Vivere ai margini, ad esempio.
Alla Giudecca o a Castello o a S. Elena dove la pressione turistica è minore si vive molto bene e si esce dal proprio quartiere più spesso per uscir da Venezia che per andare a S. Marco.
Anche perché le attività e i negozi tra Rialto e S. Marco sono ormai solo a misura di turista e molti negozi e servizi necessari all’abitare si trovano a Mestre (e questo è un grave problema dell’abitare a Venezia).
EDOARDO SALZANO: Hai ragione, Mariarosa.
Ma non possiamo pensare di obbligare gli abitanti di Venezia a vivere ai margini della loro città.
E temo che la situazione della Giudecca sia del tutto transitoria.
Comunque, hai toccato un tema centrale: il peso dell’attuale forma del turismo.
Sergio, Enrico, avete qualcosa da dire su questo argomento?
O sulla ghettizzazione crescente degli spazi pubblici come risposta all’effetto movida?
SERGIO PASCOLO: Chi ha pensato e pensa ancora oggi al turismo come unica fonte di economia ne ha evidentemente considerato le grandi OPPORTUNITÀ ma non le MINACCE che invece sono molto rilevanti proprio per la qualità della vita; adesso le minacce sono sempre più evidenti ……
- Le cause:
EDOARDO SALZANO: Perché succede questo?
Perché viviamo le contraddizioni paradossali tra qualità urbana e disagio degli abitanti permanenti?
Abbiamo toccato una delle cause: la prevaricazione del turismo.
Anzi, dei due tipi di turismo attualmente dominanti: il turismo mordi e fuggi e il turismo di lusso.
Ma ce ne sono altre due rilevanti: le convenienze personali e l’assenza di governo.
Insomma, quattro cause fondamentali del veneziano disagio di abitare Venezia:
- Turismo mordi e fuggi: conseguenze: una mandria di bufali in una cristalleria
- Turismo di lusso: la ghettizzazione e privatizzazione della città
- Le convenienze degli abitanti (quelli che gravitano attorno al turismo di massa, gli affittacamere,
ecc) 4. L’assenza di un governo efficace della città
MARIAROSA VITTADINI: Prevaricazione significa che la facilità e la convenienza di lavorare nel turismo vincono sistematicamente su qualsiasi altra attività.
Gli spazi si convertono in negozietti di ricordini e cianfrusaglie, le attività artigianali si inaridiscono nelle produzione di mascherette, con un ricambio rapidissimo dato l’alto livello degli affitti.
Nelle vetrine delle Mercerie si trovano, a carissimo prezzo, gli stessi abiti e le stesse firme di ogni altra città, ovviamente prodotti altrove. E
È naturale?
È fatale?
Si se non si governa in alcun modo.
In altri paesi esiste una alleanza forte tra attività e amministrazioni, che si aiutano non tanto in termini finanziari quanto in termini stimolo di innovazioni, creazione di occasioni per attività di eccellenza, reti di relazioni.
Venezia e la sua storica capacità di rapportarsi con l’ambiente lagunare ne farebbero un campo privilegiato per gli studi sulle acque, sulla laguna, sul cambiamento climatico.
Dove i ricercatori producano ricerca e non, come ora avviene, vetrina di lusso per presentare le ricerche condotte altrove.
Invece Venezia pur avendo due università non è capace di radicare gli studenti che fuggono ogni giorno per le loro case di terraferma e dopo la laurea se ne vanno perché non trovano qui alcuna possibilità di costruirsi un avvenire con quello che hanno imparato.
ENRICO TANTUCCI: cause e responsabilità (soprattutto delle Amministrazioni comunali degli ultimi mandati, da Cacciari a Costa e Orsoni), con alcuni rapidi esempi significativi di ciò che non si è fatto e si poteva fare, e su come la prevaricazione del turismo ha influito sul problema dell’abitare sia in termini di disponibilità di alloggi che di comportamenti e di scelte anche amministrative.
Enrico Tantucci
SERGIO PASCOLO: le convenienze degli abitanti sono conseguenza della mancanza d’altro rispetto al turismo; la prevaricazione è diventata esclusiva e quindi comprensibile in quanto priva di alternative credibili; per quanto riguarda la limitazione del turismo è già stato detto molto da molti: bisogna creare un sistema di programmazione controllata degli arrivi turistici come si sta facendo in molte città europee (vedi Barcellona e Berlino).
La prenotazione obbligatoria e programmazione per lo meno dei viaggi organizzati è fattibile senza grandi difficoltà e comporterebbe una significativa limitazione dell’altrimenti inevitabile esponenziale ed insopportabile aumento degli afflussi.
Spero che non ci sia più da discutere se fare o non fare la limitazione ma solo sul come realizzarla; qui le nuove tecnologie possono essere di grande aiuto.
Recentemente i contributi di Scurati e quelle del Prof. Fabio Carrero hanno messo in evidenza le possibilità; è un tema specifico che va portato avanti.
5 La strategia in atto
EDOARDO SALZANO: se queste sono le cause allora è chiaro che non è certamente sufficiente l’autodifesa individuale o localistica dei cittadini per rimuoverle.
È necessario un forte governo pubblico, espressione della volontà dei cittadini, ed è necessaria una chiara strategia.
Un governo pubblico diverso da quello che guida la città da qualche decennio, e una strategia diversa da quella seguita da chi oggi ci governa.
Domandiamoci intanto quali sono oggi il governo della città e quale sia la strategia dominante.
A me sembra che esiste oggi una precisa strategia, che fa capo a poteri che stanno dietro all’attuale governo della città (da vent’anni, un’amministrazione complice) .
E che può riassumersi nella mercificazione della città.
Due distinzioni essenziali:
- città come patrimonio / città come risorsa,
- città come bene / città come merce
Oggi sono egemoni i gruppi sociali che utilizzano la città, la sua qualità, come una risorsa da sfruttare (il turismo come petrolio, Venezia come giacimento: estraggo, trasformo in altro da sé, vendo) E oggi, per chi governa la città, compiti essenziali sono di fatto due:
- promuovere, incoraggiare, servire lo sfruttamento economico della città
- fare cassa per compensare la diminuzione delle risorse che arrivano dal bilancio dello stato. Un esempio: ci si indebita per fare il carnevale, e si cancella dal bilancio comunale l’acquisto di libri per le librerie comunali: più feste, più promotione, e meno cultura.
SERGIO PASCOLO: Vendere piuttosto che Fare mi sembra sia la malattia della società e dell’economia occidentale di questo secolo; sicuramente è stata la malattia dell’Amministrazione Comunale; molte città hanno fatto grandi trasformazioni urbane a vantaggio dei cittadini proprio a partire dalla logica contraria: la città deve acquisire (terreni, edifici) e gestire le trasformazioni; la vendita del patrimonio è in ogni caso una politica distruttiva del bene comune che nella vita urbana è altrettanto importante del bene individuale …..oltre alla vendita del Patrimonio di pregio in città palazzi sul Canal grande e molti altri – il Comune ha venduto anche aree a Marghera che erano da considerare preziose per poter avere in mano la Regia di qualsiasi trasformazione urbane per il futuro 6. una strategia alternativa
EDOARDO SALZANO: Una coppia di domande su cui vorrei concludere questa prima fase dell’incontro di stasera, per aprire un dibattito con gli altri presenti:
- Come costruire una strategia alternativa?
- E soprattutto e di conseguenza: come costruire un blocco sociale in grado di implementarla?
Io credo che una strategia alternativa debba partire proprio dal rovesciamento di quelle coppie di parole che ho prima enunciato: bisogna vedere Venezia e la sua Laguna come patrimonio e non come risorsa, come bene e non come merce.
Venezia e la sua Laguna sono:
- un modello di equilibrato rapporto tra lavoro e natura, tra storia e natura, tra cultura e natura tra conservazione e trasformazione
- un deposito di insegnamenti da proporre al mondo intero, perché il rapporto tra ambiente e lavoro è un tema centrale in tutto il mondo
- un patrimonio che richiede un’enorme applicazione di lavoro per essere restaurata, manutenuta, studiata, raccontata, presentata a chi vuole conoscerla nei suoi mille spessori – e non per usarla come scenografia per un selfie.
Ecco, credo che partire da Venezia come patrimonio e da Venezia come occasione di lavoro qualificato sia un punto di partenza giusto per costruire una nuova strategia e un nuovo “blocco sociale”.
MARIA ROSA VITTADINI: Lavorare e produrre a Venezia non è certo solo per i residenti.
Si lavora e si produce per il mondo intiero e i turisti sono anch’essi una componente di domanda interessante.
Lo straordinario ambiente veneziano può offrire opportunità di incontro, di cultura, di creatività per una vastissima gamma di attività di produzione ad alta intensità di cultura, ad esempio in materia di comunicazione o di ricerca scientifica o per attività artistiche o, ancora, per un artigianato di qualità.
Quanti studenti e ricercatori e artisti sarebbero ben felici di passare a Venezia qualche mese alimentando con il loro lavoro le reti internazionali della loro disciplina solo che fosse possibile abitare e lavorare a Venezia.
EDOARDO SALZANO: torniamo così al tema del turismo.
Domandiamoci adesso: quale turismo è omogeneo a una visione di Venezia come patrimonio?
E come governarlo?
MARIAROSA VITTADINI: L’arrivo dei circa 30 milioni di turisti pone un serio problema di sopravvivenza per la città.
Tutte le misure per gestire tali flussi come il ticket di ingresso (paradossalmente fatto pagare solo a coloro che pernottano negli alberghi) o le card di prenotazione volontaria con vari sconti sui servizi non sono serviti a frenare la massa dei “giornalieri” che passano poche ore in città.
La misura principale per costoro è stata la istituzione della grande ZTL per i bus turistici, con tariffe di ingresso calibrate sulle prestazioni ambientali dei veicoli.
Un bus euro 0, ovvero vecchio e inquinante in massimo grado, paga 340 euro e può portare i turisti al Tronchetto oppure ai terminal di Tessera o di Fusina.
Per ciascun passeggero fa poco più di 5 euro: una tariffa che non scoraggia nessuno.
Se è vero, come credo che la congestione turistica deriva dalla massa e dalla brevità del tempo della visita prima ancora che porre ticket o improbabili numeri chiusi si può pensare al rallentamento degli arrivi.
Si arriva solo per acqua e per acqua si accede alla città principalmente dai margini e non dal canal grande.
Per percorrere il ponte occorre un permesso, così come succede normalmente negli accessi regolati delle città in ogni parte d’Europa.
E allora sì il permesso può essere governato sulla base del tetto massimo di turisti sostenibili.
Certo se non si può arrivare dal ponte si può arrivare dai terminal: via acqua, ovvero lentamente, e anche qui in base alla prenotazione e al rispetto del numero sostenibile di visitatori.
Tutte formule davvero da subito fattibili, solo che ci sia la volontà politica.
Ma proprio questa difetta: gli interessi legati a questo tipo di turismo sono oggi assai forti e ben rappresentati nelle istituzioni.
EDOARDO SALZANO: La direzione di marcia giusta per il governo del turismo era già stata proposta all’inizio degli anni 80.
Luigi Scano: Il razionamento programmato dell’offerta turistica.
SERGIO PASCOLO: Partire dal lavoro; è necessario creare le basi perché si stabiliscano e crescano diventando sempre più rilevanti, nuove attività oltre a quelle legate al turismo.
Questo è fondamentale per ri-creare una base sociale equilibrata generazionalmente; oggi le persone giovani che iniziano la loro carriera professionale vogliono avere opportunità, cercano occasioni e sinergie.
A Venezia non trovano nulla e se ne vanno per lavorare e fare famiglia altrove in Italia o all’estero. Esistono molte sinergie da rafforzare ed è possibile farlo con un grande progetto pubblico che coinvolga tutte le istituzioni cittadine; è fondamentale però che questo progetto sia trasmesso in modo chiaro e trasparente nei suoi obiettivi, perché possa essere capito e condiviso, nella sua necessità (pena la scomparsa della città stessa) e nella sua opportunità per tutti nel medio e lungo periodo …..
partire dall’attrarre attività e quindi capitali, selezionandoli, per coerenza con le sinergie ricercate partire da progetti di sinergia per la creazione di un comun sentire; bisogna creare un clima di fiducia nel nuovo futuro della città; bisogna creare la consapevolezza che un nuovo futuro è possibile ed è migliore di quello offerto dal turismo soffocante; per dare respiro alla città si potrebbero seguire i percorsi di Programmi come L’European Green Capital Award, o altri che riguardano la città resiliente e la città vivibile del futuro in uno scenario internazionale.
EDOARDO SALZANO: Un grande progetto pubblico: un New Deal roosveltiano per Venezia.
Quesito forse è lo slogan che occorrerebbe lanciare.
Ma apriamo un dibattito più ampio