Articolo di Giancarlo Consonni pubblicato con questo titolo il 16 febbraio 20015 sulla cronaca di Milano del quotidiano “La Repubblica”.
Giancarlo Consonni è un poeta e architetto, professore ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano.
Giancarlo Consonni
In un contesto fra i più densamente popolati d’Europa, qual è l’area milanese, l’ultima cosa di cui si sentiva il bisogno è la messa in campo di nuovo, massiccio consumo di suolo, oltretutto promosso direttamente dal soggetto pubblico.
Tanto più in presenza di tante aree dismesse, che da anni attendono di essere recuperate, alcune delle quali già dotate di elevata accessibilità trasportistica e perfettamente integrabili con la città compatta.
Ma questa è la scelta operata per Expo 2015 da un ceto politico che ama creare valori immobiliari anziché città.
Ora c’è da fare i conti con un’isola metropolitana, estesa per 1,1 milioni di metri quadri e separata dal resto del territorio da autostrade e ferrovie.
Il masterplan ha ulteriormente accresciuto il carattere insulare con un profluvio di specchi d’acqua e una fascia boschiva lungo tutto il perimetro.
L’acqua sarà ben presto putrescente, mentre il recinto alberato è destinato al degrado perché non strutturale a qualsiasi ipotesi di riuso dell’area.
Qui sta il secondo errore: non aver progettato insieme Expo e dopo Expo.
Ora si dovrà fare i conti con una enorme “piastra” cardodecumanica: un’infrastruttura di reti primarie (fognatura, acqua, elettricità ecc.), costata 165 milioni di euro, da cui sarà difficile prescindere e che renderà difficile, se non impossibile, il rispetto del piano inserito nell’Accordo di Programma che vuole il 54% dell’area destinata a parco pubblico.
La grande colata di cemento della “piastra”, in ogni caso, costringerà il parco a brandelli e in una posizione marginale.
Il contrario del modello del campus inaugurato da Thomas Jefferson con l’Università della Virginia (1800-1819), dove una grande radura verde è il cuore del complesso.
Già, l’università.
È questo il coniglio dal cappello che, a detta del presidente della Regione Roberto Maroni e di molti commentatori, può fare uscire dai guai Arexpo spa, la società proprietaria dell’area in cui figurano il Comune di Milano e la Regione Lombardia (34,67% entrambe), Fondazione Fiera (27,66 % di pura rendita), l’ex Provincia di Milano (2%) e il Comune di Rho (1%).
Una società indebitata per 160 milioni di euro con le banche e che ha messo all’asta l’area a partire da una base di 315,4 milioni, registrando lo scorso novembre una prima risposta negativa del mercato.
L’università Statale nel dopo Expo è un’idea del rettore dell’Università Statale Gianluca Vago.
Gianluca Vago
Una mossa da gioco d’azzardo: Arexpo è sull’orlo del crack, l’università alla canna del gas (vent’anni di politiche governative scellerate l’hanno messa in ginocchio)?
Bene, l’unione di due crisi può fare la forza: i soldi dovranno saltare fuori (ci penserà Renzi, o chi per lui).
Quanti?
I 315,4 per l’area più i 400 milioni di euro per realizzare il nuovo campus, che ospiterebbe tutte le facoltà scientifiche della Università Statale ora a Città Studi (Fisica, Veterinaria, Agraria, Chimica, Scienze e Informatica).
Tace per ora il Comune di Milano, a cui spetta l’ultima parola.
Anche perché questa operazione gigantesca richiede un passaggio da far tremare i polsi: decidere il destino del grande quadrilatero che verrebbe liberato a Città Studi (sulla cui vendita l’Università Statale conta di ricavare 200 milioni di euro).
Un’operazione simile a quella riuscita a Fondazione Fiera?
Se il balzo localizzativo ha punti in comune con quell’operazione, si presentano difficoltà ben maggiori sia nel punto di partenza (cosa fare a Città Studi?) che nel punto di atterraggio (chi paga e come sarà il campus?).
A Città Studi un altro scempio come quello di Citylife?
Non lo sopporterà la città e, in una condizione di bolla immobiliare cronica, non lo sopporterà il mercato.
Quanto a un campus universitario nell’area Expo, sarebbe la somma di due debolezze: quella di Milano città che perde una risorsa preziosa e quella di un’università che sul terreno delle relazioni territoriali si assimila a uno shopping center.