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Rodolfo Bosi
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Home Archivi

Clima: c’è bozza accordo ma punti chiave ancora aperti

10/12/2015
in Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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Verso un accordo siul clima.

“Differenziazione, finanziamenti, ambizione” sugli obiettivi a lungo termine.

Dopo dieci giorni di negoziati, nella nuova bozza di accordo della Conferenza Onu sul clima sui temi più critici e controversi ancora non c’è la posizione univoca in cui molti speravano.

Il testo rivisto è ben più corto di quello di fine settimana scorsa, 29 pagine invece di 48, ma ha ancora “troppe” parti su cui non c’è consenso, ammette il ministro degli Esteri francese e presidente della Cop 21, Laurent Fabius, davanti alla plenaria.

Per questo, l’imperativo a ministri e negoziatori è perentorio: mettersi al lavoro “immediatamente“, e “intensificare gli sforzi” sulle tre grandi questioni su cui il compromesso resta ancora lontano.

Il che significa riunioni e meeting bilaterali ad oltranza.

Atteso per oggi pomeriggio il nuovo testo. 

In base a quanto emerso dai negoziati della notte scorsa, l’accordo finale della Conferenza Onu sul clima sarà “vincolante sul piano internazionale“, anche se “alcune parti saranno piuttosto soggette all’approvazione nazionale“, in un modello che sembra in linea con la proposta americana ha affermato un rappresentante della rete di Ong Climate Action Network, oggi in un punto stampa, precisando che “la cosa non è inusuale” per i trattati internazionali.

In ogni caso, ha aggiunto, “il successo di un accordo di questo tipo dipende dalle leggi vincolanti a livello nazionale” con cui i singoli Paesi implementeranno in concreto “gli impegni presi a livelli internazionale“.

Gli Stati Uniti nei giorni scorsi hanno insistito per un accordo in cui il processo di presentazione, revisione e monitoraggio degli obiettivi nazionali fosse vincolante, ma non lo fossero gli obiettivi in sè. Le Ong aumentano la pressione sui ministri riuniti nella Conferenza sul Clima perché si ottenga un accordo efficace ed ambizioso, che garantisca “la sopravvivenza di tutti“.

Sul percorso interno all’area del Bourget, già teatro nei giorni scorsi di diverse azioni simboliche, già di prima mattina si sono fatti sentire due gruppi di manifestanti.

I primi, un gruppo di attivisti dei Paesi in via di sviluppo, scandiscono a gran voce lo slogan ‘deliver climate finance’, ovvero ‘fate quello che avete promesso sui finanziamenti climatici’.

Il secondo gruppo, raccolto intorno a un’istallazione di scatole di cartone con immagini delle marce ambientaliste delle scorse settimane, da una serie di altoparlanti diffondono un “coro” di “3,6 milioni di voci contro il cambiamento climatico“.

Parole dure sono venute anche dalle Ong che fin dai primi momenti seguono le sessioni dei negoziati.

In una nota diffusa nella serata di ieri, la Fondazione Nicolas Hulot chiede di “ritrovare l’ambizione, per ora rimasta tra parentesi“, in polemico riferimento alle ampie parti di testo che nella bozza di accordo diffusa ieri restano tra parentesi quadre, ovvero non sono condivise.

I punti controversi della bozza presentata ieri sono proprio quelli chiave per la riuscita della Conferenza.

A cominciare dalla differenziazione, ovvero il riconoscimento del fatto che gli sforzi richiesti a ciascun gruppo di Paesi non debbano essere gli stessi.

Tutti concordano che il paradigma fissato negli anni Novanta, all’inizio del processo, vada rivisto, perché le condizioni economiche e sociali di alcuni sono drasticamente cambiate.

Non c’è però intesa su quanto marcata debba essere questa revisione, soprattutto per nazioni in forte crescita come Cina e India, che alcuni Paesi avanzati vorrebbero veder fare di più sulla riduzione delle emissioni, e magari anche entrare nel gruppo dei fornitori di fondi per il finanziamento climatico.

In materia finanziaria, il vero nodo è quello del cosiddetto sistema di ‘loss and damages’, ovvero il meccanismo di aiuto ai Paesi più vulnerabili per affrontare i cambiamenti “permanenti e irreversibili” che “vanno al di là di quello a cui ci si possa adattare“, e la questione delle popolazioni costrette a fuggire dalle aree più colpite.

Su questo tema, il testo è rimasto invariato rispetto a sabato, e le trattative sono così serrate che le sessioni si tengono a porte chiuse, senza possibilità di accesso per gli osservatori della società civile.

“Una chiara indicazione che i Paesi sviluppati cercano di nascondere il loro cattivo comportamento“, commenta polemica Julie-Anne Richards, della rete di Ong Climate action network (Can), secondo cui “un accordo che porta le popolazioni a soffrire per il cambiamento climatico e poi li lascia da soli a subire le conseguenze, senza adeguato supporto, non è un accordo sul cambiamento climatico“.

Restano infine aperte le opzioni sulla soglia da fissare per il riscaldamento globale rispetto all’età pre-industriale: dire chiaramente 1,5 o 2 gradi, oppure trovare una formulazione che includa entrambi i valori, puntando a restare “ben al di sotto” di 2 e promettendo un “incremento dello sforzo” per restare il più vicino possibile a 1,5, ricordando che questo è già “ad alto rischio” per “alcune regioni ed ecosistemi vulnerabili“.

Al di là della formulazione però, sottolineano ancora le Ong, ciò che conta è fare in modo che gli impegni nazionali sulla riduzione delle emissioni siano sufficienti a tradurre l’obiettivo dalla carta alla pratica.

Diventa cruciale il momento in cui la revisione degli impegni sarà fissata.

“Purtroppo, per ora si prevede che nella migliore delle ipotesi sia il 2023, cosa che rischia di cristallizzare la traiettoria di riscaldamento verso i 3 gradi“, commenta il direttore dell’ufficio europeo di Legambiente, Mauro Albrizio, auspicando che “la questione sia rimessa sul tavolo, perché non possiamo aspettare altri 8 anni. Serve una revisione prima dell’entrata in vigore del trattato, in modo che quando questo sarà operativo gli impegni siano già stati incrementati“.

(Articolo di Chiara Rancati, ANSA del 10 dicembre 2015, ore 11:59)

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