Il 27 gennaio scorso si è svolta l’udienza della Seconda Sezione del TAR del Lazio sui seguenti 17 ricorsi, 15 dei quali riguardanti l’annullamento della deliberazione n. 50/2014 (nuovo Regolamento di Pubblicità), ma con uno di essi riguardante contemporaneamente anche l’annullamento della deliberazione n. 49/2014 (PRIP): i due rimanenti ricorsi riguardano quello presentato precedentemente contro la deliberazione n. 425/2014 (relativa alla chiusura del procedimento di riordino) e quello presentato successivamente nel 2015 riguardante l’annullamento della deliberazione n. 380/2014 (relativa ai criteri dettai per la redazione dei Piani di Localizzazione. (vedi https://www.rodolfobosi.it/si-e-svolta-finalmente-ludienza-della-sezione-seconda-del-tar-per-sentenziare-sui-ricorsi-presentati-per-lannullamento-del-nuovo-regolamento-di-pubblicita/)
Ruolo n. 42 – A.I.P.E. Associazione Imprese Pubblicità Esterna (RG 3006/2014)
Ruolo n. 43 – FOX ADV (RG 14431/2014)
Ruolo n. 44 – D.& D. OUTDOR ADVERTISING (RG 14433/2014)
Ruolo n. 45 – WAYAP e AP ITALIA in liquidazione (RG 14435/2014)
Ruolo n. 46 – A.I.P.E. Associazione Imprese Pubblicità Esterna e MORETTI PUBBLICITÀ (RG 15651/2014)
Ruolo n. 47 – DEFI ITALIA (RG 14401/2014)
Ruolo n. 48 – S.C.I. (RG 14403/2014)
Ruolo n. 49 – A.P.A. AGENZIA PUBBLICITÀ (RG 14436/2014)
Ruolo n. 50 – ARS PUBBLICITÀ (RG 14526/2014)
Ruolo n. 51 – ARS PUBBLICITÀ (RG 3553/2015)
Ruolo n. 52 – CLEAR CHANNEL AFFITALIA (RG 14853/2014)
Ruolo n. 53 – CLEAR CHANNEL AFFITALIA (RG 3410/2015)
Ruolo n. 54 – I.R.P.A. Imprese Romane Pubblicitarie Associate ed altre 19 società (RG 15194/2014)
Ruolo n. 55 – PUBBLI ROMA OUTDOOR (RG 15195/2014)
Ruolo n. 56 – OPERA (RG 15804/2014)
Ruolo n. 57 – A.R.P. ALLESTIMENTI REALIZZIONI PUBBLICITARIE (RG 15806/2014)
Ruolo n. 58 – SIPEA (RG 15829/2014).
Quel giorno sono stati rimandati a data da destinarsi il ricorso della “S.C.I.” ed i due ricorsi della “CLEAR CHANNEL AFFITALIA”, mentre sono stati discussi 12 dei rimanenti 14 ricorsi (non sono stati discussi il ricorso dell’A.I.P.E. contro la deliberazione n. 425/2013 ed il ricorso dell’ARS contro la deliberazione n. 380/2014).
A distanza di quasi un mese è stata pubblicata la Sentenza n. 2283 del 22 febbraio 2016 che non esito a definire “storica” perché da un lato ha fatto definitivamente ordine riguardo all’intera materia delle affissioni e pubblicità e dall’altro lato costituisce una pietra miliare nel settore delle affissioni e pubblicità dal momento che ha rigettato quasi tutte le censure che sono state portate tanto da certe associazioni di categoria quanto da una moltitudine di ditte pubblicitarie contro i principali provvedimenti dell’amministrazione capitolina, di cui è stata sancita la bontà e la piena legittimità.
L’ordine che è stato definitivamente dato alla materia è scaturito dalla riunificazione di tutti i ricorsi che erano in agenda nella udienza del 27 gennaio 2016, decisa «sussistendo evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva” (paragrafo 1 del “DIRITTO” della sentenza).
In tal modo la Seconda Sezione del TAR del Lazio si è pronunciata su un arco di provvedimenti che va dalla deliberazione n. 425 del 13 dicembre 2013 (relativa alla chiusura del procedimento di riordino), alla Deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 49 del 30 luglio 2014 (relativa alla approvazione del PRIP), alla Deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 50 del 30 luglio 2014 (relativa approvazione del nuovo Regolamento di Pubblicità), alla Nota prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre 2014 del dirigente della Direzione Attività Economiche e Produttive (relativa alla diffida a convertire gli impianti di mt. 4 x 3 entro il 31 gennaio 2015), alla Deliberazione della Giunta Capitolina n. 380 del 30 dicembre 2014 (relativa ai criteri di redazione dei Piani di Localizzazione), alla Nota prot. QH/5389 del 27 gennaio 2015 (relativa all’obbligo di adeguamento entro il 20 maggio 2015), fino alla Determinazione Dirigenziale prot. n. QH/53707 del 27 luglio 2015 (relativa alla approvazione dei lavori delle Conferenze di Servizi sui Piani di Localizzazione).
Esaminiamo allora come si è pronunciata punto per punto la Seconda Sezione del TAR del Lazio su tutte le censure portate ad ognuno dei suddetti provvedimenti dalle due associazioni di categoria A.I.P.E. ed I.R.P.A. e da ben 41 ditte pubblicitarie.
CHIUSURA DEL PROCEDIMENTO DI RIORDINO
(Deliberazione n. 425/2013)
La Deliberazione della Giunta Capitolina n. 425 del 13 dicembre 2013 con cui sono stati dettati gli “Indirizzi finalizzati alla chiusura del procedimento di riordino degli impianti pubblicitari” è stata impugnata con il ricorso n. 3006/2014 proposto dalla associazione di categoria A.I.P.E. (Associazione Imprese di Pubblicità Esterna) e dalle ditte pubblicitarie AP ITALIA in liquidazione, WAYAP, MORETTI PUBBLICITÀ, PATEO UNINOMINALE e A.P.A. (AGENZIA PUBBLICITÀ AFFISSIONI).
Le suddette ricorrenti sostengono che l’impugnata deliberazione sarebbe viziata per difetto di motivazione, perché dal riferimento alla “scadenza naturale dei titoli” (contenuto nel quarto capoverso) non si comprende quale sia la durata dell’efficacia dei titoli ai quali la Giunta intende riferirsi, né quale sia il dies a quo al quale ancorare la durata dell’efficacia dei titoli.
Sostengono inoltre che la previsione di una “scadenza naturale dei titoli” relativi agli impianti inseriti nella procedura di riordino, disancorata dalla conclusione della procedura stessa, sarebbe viziata da eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia manifesta: difatti, secondo le ricorrenti, dall’art. 34 del Regolamento (nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla deliberazione n. 37/2009) e dalla stessa Deliberazione della Giunta Capitolina n. 116 del 5 aprile 2013 si desume che la conclusione della procedura di riordino è propedeutica alla pianificazione futura, perché le risultanze di tale procedura devono essere recepite nei piani di localizzazione degli impianti.
Preliminarmente la Seconda Sezione del TAR del Lazio ha proceduto alla qualificazione della Deliberazione n. 425/2013 che «si configura come un atto amministrativo generale con il quale è stato precisato il contenuto della precedente deliberazione della Giunta capitolina n. 116/2013 (recante “Indirizzi finalizzati alla chiusura del procedimento di riordino degli impianti pubblicitari di cui alla deliberazione di Giunta comunale n. 1689/1997”), a sua volta adottata al dichiarato fine di “fissare le disposizioni transitorie che consentano, al tempo stesso, sia di chiudere definitivamente la procedura di riordino … (ad oltre 15 anni di distanza dal suo avvio, quanto, soprattutto, di pervenire ad un progressivo raggiungimento degli obiettivi del Piano Regolatore anticipandone alcuni effetti sulla base dei dati contenuti nella nuova Banca Dati.
Ciononostante tale deliberazione, secondo la prospettazione delle ricorrenti, sarebbe immediatamente lesiva perché andrebbe ad incidere, in modo innovativo, sull’efficacia temporale dei titoli rilasciati all’esito della procedura di riordino di cui alla deliberazione n. 254/1995.»
La Seconda Sezione del TAR del Lazio ritiene (par. 3.1) che le censure portate «ancor prima che infondate, siano inammissibili in quanto:
A) è stata la deliberazione n. 116/2013 (con il quarto capoverso) a sancire – sul presupposto che la NBD censisca tutti gli impianti presenti sul territorio capitolino alla data del 31 dicembre 2009 (unica data fissata da ultimo con la deliberazione commissariale n. 38/2008 per la scadenza del primo quinquennio di efficacia delle autorizzazioni e delle concessioni già rilasciate o da rilasciare attinenti alla procedura del riordino) – l’equivalenza tra l’inserimento degli impianti nella NBD e l’adozione dei provvedimenti formali di chiusura dei procedimenti avviati per tali impianti con la presentazione delle domande di partecipazione alla procedura di riordino, in modo da far decorrere dal 1° gennaio 2010 i cinque anni di efficacia dei titoli previsti dall’art. 34, comma 9, del Regolamento (nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla deliberazione n. 37/2009), mentre la successiva deliberazione n. 425/2013 si è limitata a confermare che l’inserimento dell’impianto nella NBD determina la chiusura della procedura di riordino;
B) come si può evincere dall’ultimo capoverso della deliberazione n. 425/2013, quest’ultima non ha revocato integralmente la deliberazione n. 116/2013, ma solo le parti con essa in contrasto, sicché nessuna utilità deriverebbe alle ricorrenti dall’accoglimento delle censure in esame, perché investono la deliberazione n. 116/2013 proprio nella parte in cui conferma l’equivalenza tra l’inserimento degli impianti nella NBD e l’adozione dei provvedimenti di chiusura della procedura di riordino.»
(par. 3.3.) «Solo per completezza il Collegio osserva che le censure in esame risultano comunque destituite di ogni fondamento.
Innanzi tutto, quanto alla censura incentrata sul difetto di motivazione, risulta evidente che il quarto capoverso della deliberazione n. 425/2013, nel far riferimento alla “scadenza naturale dei titoli degli impianti di cui alla medesima procedura di riordino”, muove dal presupposto che l’efficacia temporale dei titoli relativi agli impianti inseriti nella NBD sia fissata dall’art. 34, comma 9, del Regolamento; pertanto non sussiste alcuna incertezza sulla durata dei titoli ai quali la Giunta intende riferirsi, trattandosi del quinquennio previsto dall’art. 34, comma 9, del Regolamento, né sul dies a quo al quale ancorare l’efficacia temporale dei titoli, da identificare nel 1° gennaio 2010.»
La portata di una tale sentenza al riguardo va ben oltre il riconoscimento della piena legittimità della deliberazione n. 425/2013, perché implicitamente riconosce anche e soprattutto l’obbligo di rimozione di tutti gli impianti qualificati come “senza scheda” nella Nuova Banca Dati, ivi compresi quelli del “circuito cultura e spettacolo”: la suddetta disposizione ha inciso nella definizione dei “Criteri generali di ammissione alle procedure di assegnazione degli impianti S.P.Q.R.” che sono stati dettati con la Deliberazione della Giunta Capitolina n. 343 del 23 ottobre 2015, il 5° dei quali esclude dalla partecipazione alle procedure di evidenza pubblica proprio le ditte che abbiano installato impianti “senza scheda”.
Ne deriva che l’associazione di categoria e/o le ditte pubblicitarie che ritenessero di impugnare al TAR anche il suddetto 5° criterio non dovrebbero avere nessuna possibilità di successo, per cui saranno escluse da ogni futuro bando di gara e da qualunque procedimento di evidenza pubblica tutte quelle ditte che abbiano installato anche un solo impianto “senza scheda”. (vedi https://www.rodolfobosi.it/la-giunta-capitolina-ha-approvato-la-delibera-con-cui-detta-i-criteri-generali-di-ammissione-alle-procedure-di-assegnazione-degli-impianti-pubblicitari-di-proprieta-del-comune-spqr/)
Seguendo un rigido ordine cronologico, prendiamo ora in esame le censure che sono state volute portare anche a presunti vizi di procedura.
VERBALI DELLA IX COMMISSIONE CAPITOLINA PERMANENTE RELATIVI ALL’ITER DI APPROVAZIONE DEL PRIP
La censura è stata portata dalla ditta FOX (con il ricorso n. 14431/2014), dalla ditta D. & D. OUTDOR ADVERTISING (con il ricorso n. 14433/2014), dalla ditta A.P.A. (con il ricorso n. 14436/2014) e dall’ A.I.P.E. e MORETTI PUBBLICITÀ (con il ricorso 15651/2014).
Si tratta di 19 atti endoprocedimentali, relativi peraltro a sedute della IX Commissione Consiliare Permanente per il Commercio, di cui non si possono annullare i verbali di ciò che è stato comunque detto, che non ha oltretutto nessuna valenza giuridica.
È alquanto paradossale, oltre che contraddittorio, che ad impugnarli (per conto della D.& D. OUTDOR ADVERTISING e di A.I.P.E. e MORETTI PUBBLICITÀ ) sia stato l’Avv. Ettore Corsale, che ha partecipato a molte di quelle sedute in qualità all’epoca di Direttore Generale della associazione di categoria A.I.P.E. assieme alla Presidente Daniela Aga Rossi.
La Seconda Sezione del TAR del Lazio non ha ritenuto di prenderli in esame.
ANALISI DELL’IMPATTO DELLA REGOLAMENTAZIONE (AIR)
La censura è stata portata dalla ditta A.P.A. (con il ricorso n. 14431/2014): lamenta che la deliberazione n. 50/2014 non sia stata preceduta dalla Analisi dell’Impatto delle Regolamentazione (AIR).
L’AIR determina un’analisi rigorosa tra le alternative disponibili e consente la partecipazione al processo decisionale di tutti i soggetti interessati: rappresenta uno strumento idoneo a conferire particolare cogenza agli atti adottati dall’Autorità.
La Seconda Sezione del TAR si è pronunciata al riguardo nel seguente modo (par. 17): «Quanto poi alla denunciata mancanza dell’AIR, il Collegio preliminarmente rammenta che l’art. 14, comma 1, della legge n. 246/2005 definisce tale istituto come la “valutazione preventiva degli effetti di ipotesi di intervento normativo ricadenti sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull’organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, mediante comparazione di opzioni alternative”, sicché non v’è dubbio che nel caso in esame una fase di consultazione dei soggetti incisi dalla nuova disciplina del settore avrebbe consentito a Roma Capitale di mettere a fuoco tutti gli effetti della nuova disciplina del settore delle affissioni. Tuttavia la mancanza di tale fase consultazione non può essere addotta quale vizio di legittimità della deliberazione n. 50/2015 in quanto:
A) l’art. 14 della legge n. 246/2005 chiarisce, al comma 2, che la disciplina posta dall’articolo stesso riguarda “l’elaborazione degli schemi di atti normativi del Governo”;
B) se è vero che Roma Capitale ha introdotto l’AIR nel proprio ordinamento attraverso la deliberazione della Giunta comunale n. 621 del 29 ottobre 2002 (recante il “Regolamento sull’ordinamento degli Uffici e dei Servizi del Comune di Roma e s.m.i.”), è anche vero che l’art. 4 dispone soltanto che “l’Amministrazione, tramite il Dipartimento Politiche per la Semplificazione Amministrativa e della Comunicazione, svolge l’analisi di impatto della regolamentazione per valutare, anche nella fase di proposta, gli effetti sui cittadini, sulle imprese e sulla propria organizzazione, dei propri atti normativi ed amministrativi generali, compresi gli atti di programmazione e pianificazione, con particolare riferimento alla semplificazione amministrativa”, ma non prevede un’istruttoria aperta alla partecipazione dei cittadini e delle imprese.»
APPROVAZIONE DEL PIANO REGOLATORE DEGLI IMPIANTI PUBBLICITARI (PRIP) PRIMA DELLA APPROVAZIONE DELLE MODIFICHE AL REGOLAMENTO DI PUBBLICITÀ
Le censure in tal senso sono state portate dalla ditta DEFI ITALIA (con il ricorso 14401/2014), dalla ditta A.P.A. (con il ricorso 14436/2014) dalla ditta OPERA (con il ricorso 15804/2014) e dalla ditta A.R.P. (con il ricorso 15806/2014).
Le suddette ricorrenti lamentano che l’Assemblea Capitolina ha anteposto l’adozione del PRIP all’adozione delle modifiche al Regolamento, evidenziando che tale modus operandi non può ritenersi ammissibile perché il PRIP ha valore attuativo rispetto al Regolamento.
Per la Seconda Sezione del TAR del Lazio non sussiste la violazione dei principi preposti alla formazione della volontà assembleare (par. 18), dal momento che «non può farsi a meno di rilevare come dall’esame della prima parte delle deliberazioni n. 49 e n. 50 (ove sono riportati gli estratti del verbale n. 54/2014) si evince che entrambi i provvedimenti collegiali sono stati approvati alle ore 11,05, ossia contestualmente, sicché risulta evidente che la numerazione delle due deliberazioni non sta affatto ad indicare che la volontà dell’organo collegiale si è formata prima sull’adozione del PRIP e poi sull’adozione delle modifiche al Regolamento.»
DOPPIA PUBBLICAZIONE DELLA DELIBERAZIONE N. 50/2014
La Deliberazione dell’Assemblea capitolina n. 50 del 30 luglio 2014 è stata pubblicata dall’11 al 25 agosto 2014, ma successivamente modificata (per correggere dei meri errori) e ripubblicata dal 19 settembre al 3 ottobre 2014.
Le censure in tal senso sono state portate dalla ditta DEFI ITALIA (con il ricorso 14401/2014), dalla ditta A.P.A. (con il ricorso 14436/2014), dalla ditta OPERA (con il ricorso 15804/2014) e dalla ditta A.R.P. (con il ricorso 15806/2014).
Con le censure viene dedotto che:
A) la seconda pubblicazione della deliberazione n. 50/2014 non è stata preceduta da una nuova convocazione dell’Assemblea capitolina;
B) tale deliberazione (nel testo oggetto della seconda pubblicazione) non riporta, nella sua parte dispositiva, alcune delle modifiche alla disciplina regolamentare che invece si riscontrano nel testo del Regolamento allegato alla deliberazione medesima.
La Seconda Sezione del TAR del Lazio ritiene (par. 5.1) che «a fronte dell’efficacia privilegiata che la legge attribuisce ad un atto pubblico, qual è l’estratto dal verbale n. 54 del 2014 oggetto della seconda pubblicazione – ogni contestazione avente ad oggetto la mancata formazione della volontà dell’Assemblea capitolina sulle modifiche ed integrazioni al Regolamento risultanti dal predetto verbale avrebbe dovuto essere sollevata innanzi al Giudice ordinario mediante la proposizione di una querela di falso» per cui (par. 5.2) «la censura in esame risulta, ancor prima che infondata, inammissibile per carenza di interesse perché nessuna di tali discordanze forma oggetto di specifiche censure».
Seguendo sempre un rigido ordine cronologico, prendiamo ora in esame le censure che invece sono state volute portare soprattutto in termini di “merito”.
LA SCADENZA AL 31 DICEMBRE 2014 DI TUTTE LE CONCESSIONI DEGLI IMPIANTI PUBBLICITARI SU SUOLO PUBBLICO
(Comma 9 dell’art. 34 del nuovo Regolamento di Pubblicità, approvato con deliberazione A.C. n. 50/2014)
Al punto 2 della Nota VAS prot. n. 40 dell’11 settembre 2010 ho per la prima volta messo in evidenza la scadenza del 31 dicembre 2014, osservando fra l’altro al riguardo che «dall’esame incrociato di tutta la suddetta normativa doverosamente richiamata emerge anzitutto che non è dato ancora di sapere quali siano gli impianti pubblicitari soggetti a ‘concessioni’ quinquennali e quali gli impianti soggetti invece ad ‘autorizzazioni’ triennali: …. Se poi si considera che il rinnovo deve essere dato esclusivamente per gli impianti per i quali si sia pervenuti all’esito della stessa procedura di riordino, allora si riduce ancor più non solo il numero degli impianti che hanno avuto il rinnovo della ‘concessione’ fino al 31.12.2014, ma anche il numero degli impianti che hanno avuto il rinnovo della ‘autorizzazione’ fino al 31.12.2010.»
Quattro anni dopo questa scadenza è stata ribadita al comma 9 dell’art. 34 del nuovo Regolamento di Pubblicità approvato con Deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 50 del 30 luglio 2014.
La suddetta scadenza è diventata la censura principale di quasi tutti i ricorsi: è stata infatti impugnata dalle associazioni di categoria A.I.P.E. (Associazione Imprese di Pubblicità Esterna) (con il ricorso n. 15651/2014) e dalla confederazione I.R.P.A. (Imprese Pubblicitarie Romane Associate) (con il ricorso 15194/2014) e dalle ditte pubblicitarie D. & D. OUTDOR ADVERTISING (con il ricorso 14433), WAYAP e AP ITALIA in liquidazione (con il ricorso 14435/2014), MORETTI PUBBLICITÀ e PATEO UNINOMINALE (con il ricorso 15651/2014), A.P.A. (AGENZIA PUBBLICITÀ AFFISSIONI) (con il ricorso 14436/2014), DEFI ITALIA (con il ricorso 14401/2014), ARS PUBBLICITÀ, COSMO PUBBLICITÀ, G.B.E. e NEW POSTER (con il ricorso n. 14526/2014), O.P.A., D.D.N., STUDIO IMMAGINE, F.A.R.G. PUBBLICITÀ DI TONATTI MARIA & C. SAS, SARILA, MEDIACOM, BATTAGE, PUNTOLINE, TRE C PUBBLICITÀ, JOINT MEDIA, FABIANO PUBBLICITÀ, PUBBLI TONI, OR.SA. PUBBLICITÀ SAS DI ORECCHIO F. & CO., PUBBLISTUDIO, GMPSHOP.COM SAS DI GIOVANNI MASTO & C., UNIGAMMA, PUBLI MEDIA, GRAFICOLOR NEW E COMUNICANDO LEADER (con il ricorso n. 15194/2014), PUBBLI ROMA, GREGOR, R.B. PUBBLICITÀ (REALIZZAZIONE BUDGET PUBBLICITÀ), SPOT PUBBLICITÀ, NUOVI SPAZI, STUNT PUBBLICITY e MY MAX (con il ricorso n. 15195/2014), OPERA (con il ricorso n. 15804/2014), FALLIMENTO A.R.P. SRL (GIÀ SOCIETÀ A.R.P.) E ATC COMMUNICATIONS (con il ricorso n. 15806/2014) ed infine SIPEA (risultante dalla fusione con la società ETTORE SIBILIA PUBBLICITÀ AFFISSIONI) (con il ricorso n. 15829/2014) e FOX (che a febbraio del 2013 ha ceduto il ramo di azienda relativo alla proprietà ed alla gestione degli impianti pubblicitari alla società GREGOR) (con il ricorso n. 14431/2014).
L’associazione di categoria I.R.P.A. e le 19 ditte associate «sostengono che l’impugnata deliberazione incide ingiustamente sulla consolidata posizione degli operatori del settore, in violazione dei principio di irretroattività degli atti amministrativi e ledendo i diritti quesiti ed il diritto di insistenza. Roma Capitale con la deliberazione n. 50/2014 abbia svincolato l’esito della procedura di riordino dalla preventiva approvazione del PRIP e dei piani di localizzazione».
Secondo la censura della FOX «nonostante la pendenza della procedura di riordino, con la deliberazione n. 50/2014 ha nuovamente modificato il Regolamento introducendo disposizioni che frustrano le consolidate certezze delle imprese partecipanti alla procedura di riordino, perché contrastano con quanto previsto dai previgenti commi 9 e 10 dell’art. 34 del Regolamento. denuncia l’illegittimità delle nuove disposizioni dell’art. 34 del Regolamento, introdotte dalla deliberazione n. 50/2014, nella parte in cui consentono all’Amministrazione di sottrarsi all’obbligo di provvedere sulle istanze presentate nell’ambito della procedura di riordino.»
La ditta APA «contesta la decorrenza retroattiva dell’efficacia di titoli mai rilasciati.»
Secondo la censura della SIPEA «l’Assemblea capitolina non avrebbe considerato che tutti i titoli concessori relativi agli impianti oggetto della procedura di riordino si sarebbero rinnovati per ulteriori 5 anni a far data dal 1° gennaio 2015. In particolare la nuova disciplina regolamentare non terrebbe alcun conto della consolidata posizione della ricorrente, che nel 2008 ha effettuato un investimento di ben 9 milioni di euro per acquisire le quote della società Ettore Sibilia Pubblicità e Affissioni Srl.»
Le ditte ARS PUBBLICITÀ, COSMO PUBBLICITÀ, G.B.E. e NEW POSTER lamentano che il Comune «abbia deciso di non definire i procedimenti relativi alla procedura di riordino mediante l’adozione di provvedimenti espressi. »
Secondo la ditta OPERA per effetto del nuovo Regolamento «tutti gli impianti, a prescindere dal fatto che abbiano partecipato al riordino degli anni ‘90 e a prescindere dalla presenza nella NBD, saranno sacrificati sull’altare dell’attribuzione degli spazi tramite gara, con buona pace dei principi che impongono di tutelare l’aspettativa dei destinatari dell’attività amministrativa»: a suo giudizio la deliberazione n. 50/2014 lede i diritti delle imprese del settore, che «sono trattati alla stregua di sudditi, chiamati ad horas a demolire a loro spese il lavoro di anni».
Anche qui preliminarmente la Seconda Sezione del TAR del Lazio ha proceduto alla qualificazione della Deliberazione n. 50/2014 che «è un atto che rientra nella potestà regolamentare dell’Assemblea capitolina ai sensi del combinato disposto degli articoli 52 e 62 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, con l’art. 42, comma 2, lett. a), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.»
La presunta illegittimità della disposizione del 9° comma dell’art. 34 del Regolamento (come modificata dalla deliberazione n. 50/2014) è stata lamentata dalla società SIPEA con il ricorso n. 15829/2014, oltre che con la censura sopra riportata, nella parte in cui limita al 31 dicembre 2014 la permanenza sul territorio comunale degli impianti inseriti nella NBD – muovendo dal presupposto che tale limitazione si fondi sulla deliberazione del Commissario Straordinario n. 38/2008, impugnata dalla medesima società innanzi a questo Tribunale con il ricorso n. 5659/2009, tuttora pendente.
La Seconda Sezione del TAR del Lazio si è pronunciata al riguardo nel seguente modo: «Difatti – se è vero che con tale deliberazione commissariale è stato modificato l’art. 14 della deliberazione della Giunta n. 1689/1997 (già novellato dalla deliberazione n. 6/2008) prevedendo che “la durata delle autorizzazioni e delle concessioni già rilasciate o da rilasciare attinenti alla procedura del riordino è unificata e la scadenza del primo quinquennio è fissata al 31.12.2009” – è altrettanto vero che (come si avrà modo di precisare) la deliberazione n. 50/2014 si fonda sulla sopravvenuta deliberazione della Giunta capitolina n. 116/2013, con la quale (come già evidenziato) è stata disposta l’equivalenza tra l’inserimento degli impianti nella NBD e l’adozione dei provvedimenti formali di chiusura dei procedimenti avviati per tali impianti con la presentazione delle relative domande di partecipazione alla procedura di riordino, in modo da far decorrere dal 1° gennaio 2010 i cinque anni di efficacia dei titoli previsti dall’art. 34, comma 9, del Regolamento (nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla deliberazione n. 37/2009).
Pertanto si deve ritenere che:
A) allo stato, la società Sipea Srl non conseguirebbe alcuna utilità per effetto di un eventuale annullamento della deliberazione commissariale n. 38/2008;
B) non vi sia, quindi, alcuna ragione per accogliere l’istanza della società Sipea Srl di riunione del ricorso n. 15829/2014 con il ricorso n. 5659/2009.»
Ne deriva un implicito rigetto anche del ricorso n. 5659/2009.
La Seconda Sezione del TAR del Lazio fa presente che «comuni a quasi tutti i ricorsi sono le censure incentrate sul fatto che l’Assemblea capitolina – nel prevedere (con l’art. 34, comma 9, del Regolamento, nel testo introdotto dalla deliberazione n. 50/2014) che “gli impianti riconducibili alla procedura di riordino, già riconosciuti come validi nella Nuova Banca Dati, permangono sul territorio, nel rispetto del presente regolamento, fino al 31 gennaio 2014, senza possibilità di rinnovo o rilascio di nuove autorizzazioni, e comunque non oltre l’esito delle procedure di gara conseguenti alla redazione dei piani di localizzazione” – avrebbe violato i principi di ragionevolezza e di irretroattività degli atti amministrativi.»
Riguardo alla irretroattività (lamentata dall’I.R.P.A. e da altre ditte) a giudizio della Seconda Sezione (par. 6.2) «non v’è dubbio sul fatto che anche per i regolamenti … viga la regola generale della irretroattività degli effetti dell’azione amministrativa. ….
Ciò posto – e considerato che, secondo la previgente disciplina transitoria prevista dall’art. 34, comma 9, del Regolamento (nel testo introdotto dalla deliberazione n. 100/2006 e non modificato dalla deliberazione n. 37/2009) per gli impianti inseriti nella procedura di riordino “l’esame delle domande di riordino ancora nella fase istruttoria è sospeso e sarà effettuato sulla base dei criteri introdotti dai piani previsti dall’art. 19 del Regolamento” (art. 34, comma 5-bis) e “le concessioni e le autorizzazioni rinnovate, rispettivamente per cinque o tre anni, all’esito del procedimento di riordino… possono essere rinnovate per ulteriori periodi ciascuno non superiore, rispettivamente, a cinque e tre anni” (art. 34, comma 9) – assume rilievo decisivo accertare se sia condivisibile o meno la tesi delle società ricorrenti secondo la quale l’Assemblea capitolina modificando tale disciplina transitoria avrebbe implicitamente attribuito efficacia retroattiva all’inserimento degli impianti nella NBD, in modo da far decorrere dal 1° gennaio 2010 il quinquennio di cui alla previgente disposizione dall’art. 34, comma 9.
Ebbene il Collegio ritiene che questa tesi non possa essere accolta perché un attento esame degli atti di causa rivela che la disciplina contenuta nella nuova disposizione introdotta nell’art. 34, comma 9, del Regolamento non ha una portata realmente innovativa, bensì una portata meramente ricognitiva di effetti giuridici derivanti da precedenti provvedimenti amministrativi, oramai divenuti inoppugnabili.
In particolare giova qui ribadire che la Giunta capitolina con la deliberazione n. 116/2013 ha disposto di:
A) assicurare la permanenza sul territorio di tutti gli impianti pubblicitari inseriti nella NBD “a titolo temporaneo nelle more dell’adozione del Piano Regolatore degli impianti pubblicitari e dei suoi relativi Piani di localizzazione, a condizione …” (secondo cpv.);
C) stabilire che l’inserimento degli impianti nella NBD “determina la chiusura del procedimento di riordino ad essi relativo, a condizione …” (quarto cpv.).
Tale disciplina è stata poi confermata con la deliberazione n. 425/2013, con la quale la Giunta ha deliberato di “assicurare la permanenza sul territorio di tutti gli impianti pubblicitari contenuti nella Nuova Banca Dati, … a titolo temporaneo nelle more dell’adozione del Piano Regolatore degli impianti pubblicitari e dei suoi relativi Piani di localizzazione, a condizione …, confermando che l’inserimento nella Nuova Banca Dati determina la chiusura del procedimento di riordino ad essi relativo all’ulteriore condizione …” (primo cpv.).
In sintonia con tali deliberazioni, l’Assemblea capitolina sin dalle premesse alla deliberazione n. 50/2014 pone in rilievo che:
A) tutti gli elementi acquisiti nell’ambito della procedura di riordino “sono stati valutati e recepiti dall’Amministrazione all’interno del procedimento di inserimento nella Nuova Banca Dati dell’anno 2009”;
B) conseguentemente “non può che confermarsi che il predetto inserimento ha determinato la chiusura del procedimento di riordino in aderenza con le statuizioni di cui ai precedenti atti giuntali”.
Coglie, quindi, nel segno la Difesa di Roma Capitale quando afferma che la deliberazione n. 50/2014 non produce effetti retroattivi, perché si configura come un provvedimento «meramente ricognitivo di un fatto – l’avvenuta chiusura del riordino con la NBD del 2009 – già definitivamente proclamato dai precedenti provvedimenti».
Difatti il Collegio ritiene che:
A) sia stata la Giunta capitolina, con la deliberazione n. 116/2013 a stabilire (cfr. il quarto capoverso) l’equivalenza tra l’inserimento degli impianti nella NBD (a prescindere dalla tipologia di impianto) e l’adozione dei provvedimenti formali (favorevoli agli interessati) di chiusura dei procedimenti a suo tempo avviati con la presentazione delle domande di partecipazione alla procedura di riordino;
B) la stessa Giunta con la successiva deliberazione n. 425/2013 si sia limitata a confermare tale equivalenza;
C) la nuova disposizione dell’art. 34, comma 9, del Regolamento (nella parte in cui fissa il termine del 31 dicembre 2014 per la permanenza sul territorio degli impianti inseriti nella banca dati) non sia altro che una logica conseguenza della disposizione introdotta con il successivo comma 14, con la quale – in coerenza con le suddette deliberazioni n. 116/2013 e n. 425/2013 – viene ulteriormente confermato che “l’inserimento nella Nuova Banca Dati degli impianti SPQR, R, ES, E, nonché di quelli di cui all’articolo 33-bis del Regolamento di Pubblicità e di quelli di tipo CONV, di cui all’art. 34, comma 4-bis, del Regolamento, ha determinato la chiusura della procedura di riordino ad essi relativo, condizionatamente al rispetto delle prescrizioni del codice della strada, come derogato dalla deliberazione del Commissario straordinario n. 45/2008, nonché delle vigenti disposizioni regolamentari, ivi compresa la relativa posizione contabile a partire dal titolo sottostante”;
D) l’unica parte realmente innovativa della nuova disciplina transitoria introdotta dalla deliberazione n. 50/2014 nell’art. 34, comma 9, del Regolamento sia quella che recepisce la decisione dell’Assemblea capitolina – evidentemente destinata a produrre i propri effetti per il futuro – di escludere la possibilità di ulteriori rinnovi dei titoli.»
La Seconda Sezione ritiene prive di fondamento (par. 8) anche le censure portate dalla associazione di categoria I.R.P.A. e dalle 19 ditte pubblicitarie ad essa associate (ricorso n. 15194/2014) e dalla ditta PUBBLI ROMA OUTDOOR (ricorso n. 15195/2014) «incentrate sulla violazione dell’art. 52, comma 2, del decreto legislativo n. 446/1997, secondo il quale i regolamenti con i quali gli Enti locali disciplinano le proprie entrate, anche tributarie, “sono approvati con deliberazione del comune e della provincia non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione e non hanno effetto prima del 1° gennaio dell’anno successivo”, e sul fatto che Roma Capitale con la deliberazione n. 50/2014 abbia svincolato l’esito della procedura di riordino dalla preventiva approvazione del PRIP e dei piani di localizzazione.»
Prive di fondamento (par. 9) sono state ritenute anche «le censure incentrate sul fatto che l’Assemblea capitolina – nel prevedere (con l’ulteriore disposizione inserita nel corpo dell’art. 34, comma 9, del Regolamento) che “non si procede al rilascio dei singoli atti autorizzatori relativamente agli impianti predetti” – consenta all’Amministrazione di sottrarsi all’obbligo di provvedere sulle istanze presentate dalle imprese partecipanti alla procedura di riordino.»
(par. 9.1) «In proposito il Collegio preliminarmente osserva che le ragioni poste a fondamento della decisione di non procedere al formale rilascio dei titoli relativi agli impianti inseriti nella NBD si evincono chiaramente dalle premesse alla deliberazione n. 50/2014, ove è stato posto in rilievo come:
A) “in considerazione anche delle normative statale e nazionale nel frattempo intervenute, le quali obbligano ad una pianificazione da attuarsi a mezzo procedure ad evidenza pubblica” l’insistenza sul territorio capitolino degli impianti inseriti nella NBD “non possa essere ulteriormente protratta oltre il 31 dicembre 2014, se non per il tempo necessario ad adottare gli atti gestionali conseguenti all’approvazione degli strumenti di pianificazione previsti per legge”; B) debba, quindi, “ritenersi superata la necessità di adozione e rilascio dei singoli provvedimenti autorizzatori, dal momento che la previsione di cessazione degli effetti delle autorizzazioni al 31 dicembre 2014 finirebbe per aggravare inutilmente il procedimento amministrativo, essendo garantite le posizioni denunziate nel procedimento di riordino come validate dalla Nuova Banca Dati per tutto il tempo pregresso e sino all’espletamento degli atti di cui sopra”».
(par. 9.3) «Poste tali premesse generali – e considerato l’elevatissimo numero di impianti inseriti nella NBD – il Collegio ritiene senz’altro condivisibile la tesi sostenuta da Roma Capitale nelle sue difese, secondo la quale – avendo l’Assemblea capitolina sancito il definitivo passaggio, a decorrere dal 1° gennaio 2015, al diverso regime nel quale gli spazi pubblici per la collocazione degli impianti pubblicitari sono assegnati solo all’esito di apposite procedure selettive – il rilascio di titoli destinati comunque a cessare i propri effetti alla data del 31 dicembre 2014 si sarebbe tradotto in un inutile aggravio del procedimento.
Del resto sin dalle premesse alla deliberazione n. 50/2014 è stato chiarito che, nelle more della conclusione delle procedure di gara finalizzate all’assegnazione dei nuovi titoli, gli operatori del settore sarebbero stati comunque garantiti dall’inserimento dei propri impianti nella NBD. Coglie, quindi, nel segno Roma Capitale quando conclusivamente afferma che l’Assemblea Capitolina ha ritenuto di confermare la chiusura della procedura di riordino per tutti gli impianti inseriti nella NBD e di vietare la possibilità di rinnovo o rilascio di nuove autorizzazioni, ritenendo «superata l’esigenza di esaminare tutte le ulteriori istanze presentate all’interno del procedimento di riordino e non confluite nella predetta Nuova Banca Dati, trattandosi di richieste di posizioni non solo confliggenti con il modello legislativo di pianificazione territoriale da attuarsi con procedure ad evidenza pubblica, ma ormai tanto risalenti nel tempo da essere non più riconducibili all’attuale assetto del territorio».
(Par. 9.4) «A ciò si deve aggiungere che la tesi secondo la quale l’inserimento nella NBD era finalizzato a censire gli impianti pubblicitari soltanto per esigenze di natura contabile e tributaria è palesemente smentita dalle premesse alla deliberazione di Giunta n. 116/2013, nelle quali viene posto in rilievo che:
A) “è stato avviato un censimento straordinario di tutta l’impiantistica pubblicitaria esistente sul territorio comunale allo scopo di aggiornare archivi ormai datati, di rafforzare il recupero dell’evasione tributaria per mancato pagamento del canone di pubblicità, di contrastare in modo più efficace l’abusivismo e definire in modo agevolato il contenzioso pendente in funzione deflattiva della gran mole di procedimenti giurisdizionali pendenti”;
B) “al raggiungimento di tutti i risultati predetti si è intervenuti con la creazione di una Nuova Banca Dati di tutta l’impiantistica pubblicitaria presente sul territorio capitolino alla data del 31 dicembre 2009, che costituisce una dotazione informatica strutturale di tutto il settore, sia sotto il profilo contabile che amministrativo”.
Inoltre la definitiva conferma degli effetti non meramente contabili dell’attività svolta dall’Amministrazione attraverso l’inserimento degli impianti nella NBD si desume dalle decisioni assunte dal Consiglio di Stato in sede cautelare (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza n. 2241 del 28 maggio 2014), con le quali la consultazione della NBD è stata ritenuta «atto istruttorio sufficientemente approfondito» per identificare gli impianti abusivi e, quindi, per giustificare l’adozione degli ordini di rimozione degli impianti non censiti.»
LA SCADENZA AL 31 DICEMBRE 2014 ANCHE DI TUTTE LE AUTORIZZAZIONI DI IMPIANTI PUBBLICITARI SU SUOLO PRIVATO
Le censure a tal riguardo sono state portate dalla Fallimento A.R.P., dalla ditta ATC COMMUNICATIONS (con il ricorso 15806/2014) e dalla ditta SIPEA (con il ricorso 15829/2014).
La SIPEA «si duole del fatto che la disciplina introdotta con l’art. 34, comma 9, del Regolamento abbia determinato la revoca generalizzata di tutte le autorizzazioni relative ad impianti ubicati sul suolo privato (per i quali il rinnovo in atto verrebbe a scadenza il 31 dicembre 2016), in assenza dei presupposti per l’esercizio del potere di autotutela previsti dall’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990.»
Al riguardo la Seconda Sezione del TAR del Lazio si è pronunciata nel seguente modo: «Le considerazioni sin qui svolte dimostrano altresì l’infondatezza del quarto motivo del ricorso n. 15829/2014, con il quale la società Sipea Srl si duole del fatto che la disciplina introdotta con l’art. 34, comma 9, del Regolamento abbia determinato – in assenza dei presupposti per l’esercizio del potere di autotutela previsti dall’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990 – la revoca generalizzata di tutte le autorizzazioni relative ad impianti ubicati sul suolo privato, per i quali il rinnovo in atto verrebbe a scadenza il 31 dicembre 2016. Difatti è sufficiente ribadire che la previgente disposizione dell’art. 34, comma 9, del Regolamento non poteva essere interpretata nel senso che il rinnovo delle autorizzazioni relative agli impianti privati costituiva un vero e proprio diritto; pertanto l’Assemblea capitolina – nel prevedere la data del 31 dicembre 2014 come termine ultimo per l’insistenza di tutti gli impianti sul territorio comunale – si è avvalsa della facoltà, prevista dalla normativa regolamentare, di non concedere alcun ulteriore rinnovo di titoli rilasciati senza il preventivo svolgimento di procedure di gara.»
LEGITTIMO AFFIDAMENTO AD OTTENERE IL RILASCIO DELLE AUTORIZZAZIONI, UN ULTERIORE RINNOVO QUINQUENNALE E L’INSERIMENTO DEGLI IMPIANTI DEL RIORDINO NEI PIANI DI LOCALIZZAZIONE
Le censure a tal riguardo sono state portate dalla ditta FOX (con il ricorso 14431/2014), dalla ditta A.P.A. (con il ricorso 14436/2014), dalle ditte ARS PUBBLICITÀ, COSMO PUBBLICITÀ, G.B.E. e NEW POSTER (con il ricorso 14526/2014).
Secondo la censura della ditta FOX (par. 10) «la disciplina introdotta nell’art. 34 del Regolamento non tiene conto del legittimo affidamento ingenerato dai precedenti atti e comportamenti dell’Amministrazione, che hanno indotto le imprese del settore a realizzare cospicui investimenti nell’ottica di poter continuare a gestire i propri impianti e di inserirli nella pianificazione futura. Inoltre Roma Capitale avrebbe violato il legittimo affidamento delle imprese che hanno preso parte alla procedura di riordino perché ha limitato l’efficacia dei “titoli” rilasciati all’esito di tale procedura a soli cinque mesi, prevedendo la scadenza degli stessi al 31 dicembre 2014 e comunque non oltre l’esito delle gare di prossima indizione, così omettendo di considerare le proprie precedenti determinazioni in forza delle quali le concessioni e le autorizzazioni venivano rinnovate rispettivamente per cinque e per tre anni dal momento del rilascio, con possibilità di un ulteriore rinnovo. La ricorrente lamenta che l’art. 34, commi 9 e 14, del Regolamento, come modificato dalla deliberazione n. 50/2014, abbia azzerato il regime transitorio relativo al passaggio dal regime di rilascio dei titoli su domanda individuale al regime fondato sulla gara pubblica. In particolare la previsione di un termine incongruo (31 dicembre 2014) per l’efficacia di titoli mai rilasciati e di un ulteriore incerto termine di tolleranza della permanenza degli impianti sul territorio comunale (fino all’espletamento delle gare) si porrebbe in contrasto con i principi di certezza del diritto, di ragionevolezza e di proporzionalità, ai quali ogni disciplina transitoria deve uni formarsi.»
La ditta A.P.A. invece «lamenta la lesione del suo legittimo affidamento evidenziando che, a seguito della presentazione delle domande di partecipazione alla procedura di riordino, confidava nel rilascio di provvedimenti espressi con efficacia quinquennale o triennale, nella possibilità di ulteriori rinnovi e nell’inserimento automatico degli impianti assentiti in sede di riordino all’interno dei piani di localizzazione.»
La Seconda Sezione del TAR del Lazio si è pronunciata al riguardo nel seguente modo (par. 10): «il Collegio preliminarmente osserva che le stesse mirano a dimostrare che la disciplina introdotta nell’art. 34 del Regolamento non tiene conto dei precedenti atti e comportamenti con i quali l’Amministrazione avrebbero ingenerato negli operatori del settore che hanno preso parte alla procedura di riordino un legittimo affidamento ad ottenere:
A) la definizione dei procedimenti avviati con le istanze presentate nell’ambito di tale procedura mediante il rilascio di provvedimenti espressi, concessori o autorizzatori, aventi efficacia quinquennale o triennale;
B) un ulteriore rinnovo, di durata quinquennale o triennale, dei titoli rilasciati con tali provvedimenti;
C) l’inserimento degli impianti autorizzati nella futura pianificazione territoriale (ossia nei piani di localizzazione).»
Dal momento che le ricorrenti hanno fatto espresso riferimento al legittimo affidamento ingenerato da atti e comportamenti dell’Amministrazione, la Seconda Sezione illustra ancor più in dettaglio l’evoluzione normativa del settore (par. 10.2), per arrivare poi alla seguente pronuncia (par. 10.3): «il Collegio ritiene che non sussista la denunciata lesione del principio del legittimo affidamento, alla luce delle seguenti considerazioni.
Innanzi tutto si deve ribadire che la deliberazione n. 50/2014 è frutto del condivisibile intento di: A) dare finalmente attuazione alla regola – sancita sin dalla deliberazione n. 289/1994 e mai posta in discussione – in base alla quale l’assegnazione dei titoli per l’installazione degli impianti pubblicitari nel territorio di Roma Capitale sarebbe stata effettuata a mezzo di una gara pubblica, evidentemente finalizzata a garantire la concorrenza nel settore delle affissioni;
B) porre termine ad un regime transitorio – durato quasi vent’anni – in base al quale è stato garantito il diritto di insistenza dei soggetti già operanti nel settore, a danno dei soggetti interessati ad entrare nel settore stesso. Pertanto – come correttamente evidenziato da Roma Capitale nelle sue difese – nel caso in esame osta radicalmente alla possibilità di configurare un affidamento meritevole di tutela proprio il fatto la chiusura della c.d. procedura di riordino si sia protratta ben oltre i due lustri (1995-2005) prevedibili in base alla disciplina regolamentare posta dalla deliberazione n. 254/1995, coprendo un arco temporale di quasi venti anni (1995-2014).
(par. 10.4): «In aggiunta a quanto precede, con riferimento all’affidamento riposto nella definizione dei procedimenti relativi procedura di riordino mediante il rilascio di provvedimenti espressi, è sufficiente evidenziare che tale affidamento in realtà era già venuto meno per effetto della previsione contenuta nel quarto capoverso della deliberazione n. 116/2013, con la quale è stato deciso che l’inserimento nella NBD determinava la chiusura del procedimento di riordino.»
POSSIBILITÀ DI UN ULTERIORE RINNOVO QUINQUENNALE DELLE CONCESSIONI FINO AL 31 DICEMBRE 2019
La ditta A.P.A. con il ricorso n. 14436/2014 lamenta la lesione del suo legittimo affidamento evidenziando che, a seguito della presentazione delle domande di partecipazione alla procedura di riordino, confidava nel rilascio di provvedimenti espressi con efficacia quinquennale o triennale, nella possibilità di ulteriori rinnovi e nell’inserimento automatico degli impianti assentiti in sede di riordino all’interno dei piani di localizzazione.
Alle censure portate al riguardo la Seconda Sezione del TAR si è pronunciata nel seguente modo (par. 10.5:) «Quanto poi all’affidamento riposto nella possibilità di un ulteriore rinnovo (a decorrere dal 31 dicembre 2014, data di “scadenza del primo quinquennio”) dei titoli derivanti dall’inserimento nella NBD, è ben vero che la deliberazione n. 425/2013 (nel sostituire il quinto capoverso della deliberazione n. 116/2013) ha confermato che “l’efficacia nel tempo della posizione amministrativa degli impianti … è regolata dal disposto dell’art. 34 comma 9 del Regolamento di Pubblicità”; tuttavia la previgente disposizione dell’art. 34, comma 9, del Regolamento (secondo la quale “le concessioni e le autorizzazioni rinnovate, rispettivamente per cinque o tre anni, all’esito del procedimento di riordino … possono essere rinnovate per ulteriori periodi ciascuno non superiore, rispettivamente, a cinque e tre anni”) non poteva certo essere interpretata nel senso che il rinnovo costituisse un vero e proprio diritto, perché dal tenore letterale della stessa si desume chiaramente che il rinnovo era sottoposto ad una valutazione di natura discrezionale. Pertanto, come correttamente evidenziato da Roma Capitale nelle sue difese, l’Assemblea capitolina – nel prevedere la data del 31 dicembre 2014 come termine ultimo per l’insistenza degli impianti sul territorio comunale – si è avvalsa della facoltà, prevista dalla normativa regolamentare, di non concedere alcun ulteriore rinnovo.»
MANCATO INSERIMENTO DEGLI IMPIANTI DEL RIORDINO NEI PIANI DI LOCALIZZAZIONE
Le ditte che hanno portato questa censura fanno confusione tra gli impianti pubblicitari del riordino che risultano installati oggi sul territorio e le ubicazioni di tutti i futuri impianti pubblicitari di cui verranno messe a bando le rispettive concessioni per consentire a chi vincerà la gara di installarvi ex novo gli impianti da gestire per 10 anni.
Alle censure portate al riguardo la Seconda Sezione del TAR si è pronunciata nel seguente modo (par. 10.6:): «Infine, quanto al mancato inserimento degli impianti oggetto della procedura di riordino nella futura pianificazione territoriale (ossia nei piani di localizzazione), il Collegio osserva che le disposizioni contenute nel sesto capoverso della deliberazione n. 116/2013 e nel quarto capoverso della deliberazione n. 425/2013 sono state tenute nella dovuta considerazione in sede di adozione della deliberazione n. 50/2014.
Infatti l’art. 7, comma 5-bis, del Regolamento (inserito dalla deliberazione n. 50/2014) dispone che “in sede di prima applicazione dei Piani di localizzazione di cui all’art. 19, gli impianti pubblicitari di proprietà di Roma Capitale sono oggetto di concessione, nel rispetto dei principi di evidenza pubblica, prioritariamente alle imprese che hanno partecipato alla procedura di cui alle deliberazioni di Consiglio Comunale n. 254/1994 e di Giunta Comunale n. 1689/1997 con i criteri che saranno successivamente definiti dalla Giunta capitolina. …”.
Ciò posto, risulta evidente che non è configurabile la dedotta lesione del legittimo affidamento (specie se intesa nel senso che in sede di prima applicazione dei piani di localizzazione avrebbero dovuto essere previste vere e proprie deroghe ai principi dell’evidenza pubblica), perché si deve considerare che:
A) la portata della previsione contenuta nel sesto capoverso della deliberazione n. 116/2013, secondo la quale gli impianti oggetto del procedimento di riordino sarebbero stati “parte integrante” dei piani di localizzazione, era stata ridimensionata dal quarto capoverso della deliberazione n. 425/2013 precisando che “il recepimento automatico” delle risultanze dei piani di localizzazione “non altera, tuttavia, la scadenza naturale dei titoli degli impianti di cui alla medesima procedura di riordino”;
B) le previsioni contenute nel sesto capoverso della deliberazione n. 116/2013 e nel quarto capoverso della deliberazione n. 425/2013, essendo contenute in atti della Giunta capitolina, comunque non potevano assumere carattere vincolante per l’Assemblea capitolina, alla quale soltanto spetta l’esercizio della potestà regolamentare di cui all’art. 52 del decreto legislativo n. 446/1997.»
Anche la Seconda Sezione del TAR del Lazio, pur non alterando le motivazioni del rigetto delle censure portate al riguardo, sembra voler intendere che a far parte dei Piani di Localizzazione debbano essere gli impianti SPQR del riordino registrati oggi nella Nuova Banca Dati e non le ubicazioni confermate in cui si trovano, di cui verranno rilasciate le rispettive concessioni con procedimenti di evidenza pubblica per assegnarle per 10 anni prioritariamente alle ditte che hanno partecipato alla procedura del riordino.
DEROGA AI LIMITI DELLA SUPERFICIE MASSIMA PREVISTA DALLA PIANIFICAZIONE GENERALE PER I PROGETTI SPECIALI
La ditta FOX (nel ricorso 14431/2014) – premesso che l’art. 6, comma 1-ter, del Regolamento attribuisce alla Giunta il potere di derogare alla quantità massima di esposizione della superficie dei mezzi pubblicitari qualora vengano presentati progetti speciali – sostiene che tale disposizione contrasta con la disciplina del riparto di competenze tra gli organi dell’Ente locale, perché in base all’art 42 del decreto legislativo n. 267/2000 è il Consiglio comunale l’organo chiamato non solo ad adottare i piani territoriali, ma anche a disciplinare eventuali deroghe
Alle censure portate al riguardo la Seconda Sezione del TAR si è pronunciata nel seguente modo (par. 15): «Quanto alle censure relative alle disposizioni del Regolamento che conferiscono alla Giunta il potere di derogare ai limiti della superficie massima prevista dalla pianificazione generale (art. 6, comma 1-ter, in materia di “progetti specifici”, art. 6, comma 1-quater in materia di “progetti di impianti relativi a sistemi di comunicazione ed informazione turistico-culturale” e di “progetti di impiantistica pubblicitaria connotati da caratteristiche innovative”, art. 6, comma 5, in materia di “impianti funzionali a progetti di Sicurezza Urbana o di monitoraggio della viabilità”), nonché ai formati ammessi (art. 20, comma 1, lett. F, n. 5, in materia di impianti speciali), il Collegio non ravvisa alcun contrasto con le regole sul riparto di competenze tra gli organi dell’Ente locale previste dagli articoli 42 e 48 del decreto legislativo n. 267/2000. Infatti la competenza generale dell’Assemblea capitolina in materia di adozione dei piani territoriali non è incisa dalle predette deroghe, sia perché il potere di deroga è conferito dalla stessa Assemblea capitolina con le predette disposizioni regolamentari, sia perché non si tratta di un potere generalizzato di deroga (nel qual caso potrebbe effettivamente ritenersi violata la disciplina del riparto di competenze tra gli organi dell’Ente locale), bensì di un potere esercitabile in presenza di fattispecie ben definite dal Regolamento.»
DIFFIDA A RIMUOVERE GLI IMPIANTI DI MT. 4 X 3
(ANNULLAMENTO DELLA NOTA PROT. N. LR/BG 61384 DEL 23 SETTEMBRE 2014)
A seguito della abolizione del formato di mt. 4 x 3, deciso sia con la deliberazione n. 49/2014 che con la deliberazione n. 50/2014, con nota prot. n. LR/BG 61384 del 23 settembre 2014 il Dott. Francesco Paciello ha trasmesso a tutte le società inserite nelle Nuova Banca Dati che hanno partecipato alla cosiddetta “Procedura di riordino” una formale diffida a “provvedere ad adeguare tutti i suoi impianti entro il 31.1.2015”, rimuovendo tutti gli impianti di mt. 4 x 3 per sostitutivi sullo stesso posto con un impianto di mt. 3 x 2.
La nota suddetta è stata impugnata dall’A.I.P.E. (con il ricorso n. 15651/2014), dalla CLEAR CHANNEL (con il ricorso 14853/2014), dalla S.C.I. (con il ricorso n. 14403/2014), dalla A.P.A. (con il ricorso 14436/2014), dalla DEFI ITALIA (con il ricorso 14401/20145), dalla FOX (con il ricorso 14431/2014), dalla D.& D. OUTDOOR (con il ricorso 14433/2014), dalla WAYAP e della AP Italia in liquidazione (con il ricorso 14435/2014), dalla OPERA (con il ricorso 15804/2014) e dalla SIPEA (con il ricorso n. 15829/2014). (vedi https://www.rodolfobosi.it/i-7-ricorsi-al-tar-presentati-contro-le-modifiche-e-le-integrazioni-del-regolamento-di-pubblicita-approvate-dallassemblea-capitolina/#more-13896)
Secondo la censura della SIPEA «l’impugnata deliberazione sarebbe illegittima perché la trasformazione degli impianti 4×3 entro il ravvicinato termine del 31 gennaio 2015 comporterebbe ingentissimi investimenti in un periodo di grave crisi economica, a distanza di pochi anni dalla trasformazione degli impianti da 6×3 a 4×3 e in assenza delle norme tecniche che dovrebbero determinare le caratteristiche estetiche e costruttive dei nuovi impianti.»
Con ordinanze cautelari n. 6508, n. 6520, n. 6522, n. 6523, n. 6524 e n. 6525 del 18 dicembre 2014 la Seconda Sezione del TAR del Lazio ha accolto le richieste di sospensiva presentate dalle ditte A.P.A., S.C.I., WAYAP, D.& D. OUTDOOR, FOX e CLEAR CHANNEL, limitatamente al predetto termine del 31 gennaio 2015 ed ha contestualmente disposto una «proroga» del termine stesso fino al 20 maggio 2015 (data della prima udienza pubblica fissata per l’esame di parte dei ricorsi in epigrafe indicati). (vedi https://www.rodolfobosi.it/il-tar-del-lazio-accoglie-parzialmente-il-ricorso-della-sci-sospendendo-fino-al-20-maggio-2015-la-decorrenza-della-conversione-degli-impianti-pubblicitari-di-formato-4-x-3/).
Alle censure portate al riguardo la Seconda Sezione del TAR si è pronunciata nel seguente modo (par. 14.2): «Invece, proprio in considerazione del gran numero di impianti gestiti da molte delle società ricorrenti e delle gravi conseguenze (cfr. gli articoli 3 e 7, comma 2-bis, del Regolamento, espressamente richiamati nell’impugnata nota del 23 settembre 2014) connesse al mancato adeguamento degli impianti entro il termine ultimo del 31 gennaio 2015, ….. il Collegio ritiene che le censure in esame possano essere accolte nella parte in cui viene dedotta la brevità del termine del 31 gennaio 2015, assegnato con la nota del 23 settembre 2014 per provvedere all’adeguamento degli impianti formato 4×3.»
(par. 35) «I ricorsi n. 14431/2014, n. 14433/2014, n. 14435/2014, n. 14436/2014, n. 15651/2014, e n. 15829/2014 devono essere accolti limitatamente alla domanda di annullamento dell’impugnata nota del 23 settembre 2014, nella parte in cui prevede che l’adeguamento degli impianti inseriti nella NBD alle previsioni dell’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento debba essere effettuato “entro il termine ultimo del 31.1.2015”. »
GIUDICATO CAUTELARE
(NOTA PROT. QH/5389 DEL 27 GENNAIO 2015)
In allineamento con le ordinanze cautelari n. 6508, n. 6520, n. 6522, n. 6523, n. 6524 e n., 6525 del 18 dicembre 2014, a seguito anche della Deliberazione della Giunta Capitolina n. 380 del 30 dicembre 2014 con cui sono stati dettati alcuni indirizzi per la gestione temporanea degli impianti pubblicitari nelle more della redazione dei Piani di Localizzazione, con Nota prot. QH/5389 del 27 gennaio 2015 il Dott. Francesco Paciello ha preso atto che la pubblicazione della delibera 380/2014 è avvenuta il 21 gennaio 2015 (vedi https://www.rodolfobosi.it/e-stata-finalmente-pubblicata-la-delibera-con-cui-la-giunta-capitolina-ha-affidato-lincarico-per-la-redazione-dei-15-piani-di-localizzazione-prescritti-dal-prip/) e conseguentemente ha fatto sapere a tutte le società inserite nella Nuova Banca Dati che sono ammissibili gli adeguamenti effettuati entro il 21.1.2015 e che comunque «sono sempre ammesse le trasformazioni degli impianti già inseriti nella NBD allo scopo di adeguarli ai formati della Deliberazione A.C. 50/2014 e G.C. 380/2014, senza alcuno spostamento dalla posizione censita in NBD».
Con i motivi aggiunti al ricorso n. 14435/2014 le ditte WAYAP e AP ITALIA in liquidazione hanno impugnato anche la suddetta Nota con cui «l’Amministrazione ha portato a conoscenza di tutte le società censite nella NBD l’adozione della predetta deliberazione di Giunta, diffidandole all’adeguamento degli impianti secondo le prescrizioni contenute in tale deliberazione entro il 20 maggio 2015.»
Alle censure portate al riguardo la Seconda Sezione del TAR si è pronunciata nel seguente modo (par. 24.2): «Parimenti da respingere sono le censure incentrate sulla elusione del c.d. “giudicato cautelare”, formatosi sulle ordinanze di questa Sezione n. 6508 e n. 6522 del 2014. Tali censure riguardano innanzi tutto il nuovo termine del 20 maggio 2015 assegnato alle imprese interessate per provvedere non solo all’adeguamento degli impianti 4×3, già imposto dalla deliberazione n. 50/2014, ……
In particolare con i motivi aggiunti proposti nel giudizio introdotto con il ricorso n. 14435 del 2014 viene dedotto che la deliberazione n. 380/2014 non è conforme a quanto disposto con le predette ordinanze cautelari perché questo Tribunale «ha chiaramente rinviato ogni disposizione in ordine al termine di trasformazione del formato alle decisioni che verranno assunte all’udienza di merito».
A tal riguardo il Collegio osserva innanzi tutto che questo Tribunale ha sospeso l’efficacia della previsione relativa al termine finale del 31 gennaio 2015 giudicandolo inadeguato in relazione alla gran mole di interventi richiesti per l’adeguamento di tutti gli impianti formato 4×3, mentre nel concedere la «proroga» del termine al 20 maggio 2015 non ha inteso affatto sostituirsi all’Amministrazione nell’indicare il nuovo termine da assegnare alle imprese per completare l’adeguamento di tali impianti.
Infatti la concessione della «proroga» del predetto termine mirava soltanto a precisare che il differimento del termine ultimo per l’adeguamento degli impianti, quantomeno fino alla celebrazione della prima udienza pubblica fissata per la trattazione del merito (nella quale sarebbe stata definitivamente esaminata la censura relativa all’incongruità del termine del 31 gennaio 2015), non faceva certo venir meno l’obbligo di adeguare gli impianti, imposto agli operatori interessati a continuare ad operare sul territorio comunale anche dopo il 31 dicembre 2014.
Pertanto, da un lato, questo Tribunale non ha affatto invaso la sfera di potere riservata all’Amministrazione capitolina; dall’altro, non vi è motivo di ritenere che la deliberazione n. 380/2014 sia stata adottata in violazione del giudicato cautelare perché, come ben evidenziato da Roma Capitale nelle sue difese, le suddette ordinanze cautelari non hanno comportato nessuna sospensione dell’obbligo di porre in essere le attività di adeguamento degli impianti formato 4×3.»
OBBLIGO DI RIVERNICIARE TUTTI GLI IMPIANTI PUBBLICITARI ENTRO IL 20 MAGGIO 2015
La Deliberazione della Giunta Capitolina n. 380 del 30 dicembre 2014 dispone che entro il termine del 20 maggio 2015:
“tutti gli impianti SPQR, ivi compresi quelli già inseriti nella Nuova Banca Dati, devono essere installati o mantenuti sul territorio solo se presentano le caratteristiche dei progetti tipo di cui alla deliberazione G.C. 25/2010”;
“tutti gli impianti pubblicitari, sia SPQR che di proprietà privati, già inseriti nella Nuova Banca Dati e mantenuti sul territorio ai sensi dell’art. 34 comma 9 del Regolamento di Pubblicità devono presentare la caratteristica tecnica del colore grigio antracite RAL 7016 Pantone 3305”.
L’obbligo di riverniciare tutti gli impianti è stato impugnato dalle ditte WAYAP e AP ITALIA in liquidazione con i motivi aggiunti al ricorso n. 14435/2014.
Alle censure portate al riguardo la Seconda Sezione del TAR si è pronunciata nel seguente modo (par. 25): «Né miglior sorte merita la censura con la quale viene dedotta l’incompetenza della Giunta a prescrivere che “in applicazione dell’art. 19, comma 2, del Regolamento … tutti gli impianti pubblicitari, sia SPQR che di proprietà privati, già inseriti nella Nuova Banca Dati e mantenuti sul territorio ai sensi dell’art. 34 comma 9 del Regolamento di Pubblicità devono presentare la caratteristica tecnica del colore grigio antracite RAL 7016 Pantone 3305”.
Infatti il Collegio ritiene che:
A) la competenza della Giunta a fissare il colore degli impianti sia desumibile dall’art. 19, comma 2, del Regolamento che, per l’appunto, attribuisce alla Giunta la competenza ad adottare norme tecniche per l’installazione degli impianti;
B) l’adozione di norme tecniche non postuli necessariamente (come invece affermato da una delle ricorrenti) che la Giunta predisponga un corpus di prescrizioni, coerenti e coordinate, che disciplina tutte le caratteristiche degli impianti;
C) non vi sia alcuna ragione per operare la distinzione (proposta da una delle ricorrenti) tra norme tecniche riguardanti gli impianti da installare in forza dei titoli che verranno rilasciati in base al PRIP e all’esito delle procedure di gara (per i quali troverebbe applicazione l’art. 19, comma 2, del Regolamento), e norme tecniche riguardanti gli impianti inseriti nella NBD, il mantenimento dei quali è consentito dalla nuova disciplina regolamentare solo fino alla conclusione delle procedure di gara (per i quali non troverebbe applicazione l’art. 19, comma 2, del Regolamento).»
(par. 26): «Quanto alla censura incentrata sulla inattuabilità della prescrizione secondo la quale “tutti gli impianti pubblicitari, sia SPQR che di proprietà privati, già inseriti nella Nuova Banca Dati e mantenuti sul territorio ai sensi dell’art. 34 comma 9 del Regolamento di Pubblicità devono presentare la caratteristica tecnica del colore grigio antracite RAL 7016 Pantone 3305”, il Collegio osserva che il codice “RAL 7016” corrisponde al colore grigio antracite, mentre il “Pantone 3305” in realtà corrisponde ad un verde bottiglia.
Tuttavia ciò non è sufficiente per ritenere che la pitturazione degli impianti fosse concretamente inattuabile, perché dalla suddetta prescrizione comunque si evince la volontà di imporre per tutti gli impianti pubblicitari “la caratteristica tecnica del colore grigio antracite”.»
PIANO REGOLATORE DEGLI IMPIANTI PUBBLICITARI (PRIP)
La deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 49 del 30 luglio 2014, con cui è stato approvato il PRIP, è stata impugnata dalla ditta DEFI ITALIA (con il ricorso n. 14401/2014), dalla ditta OPERA (con il ricorso n. 15804/2014) e dalle ditte Fallimento A.R.P. e ATC COMMUNICATIONS (con il ricorso n. 15806/2014).
La ditta DEFI ITALIA, premesso che il PRIP divide il territorio comunale in due zone (A e B), la seconda delle quali è suddivisa in tre sottozone (B1, B2 e B3) – lamenta la totale indeterminatezza del piano, evidenziando che la zonizzazione non è graficamente intellegibile perché le 14 tavole allegate recano mappe colorate che non consentono di distinguere le singole zone.
La ditta OPERA lamenta che «i suoi impianti sono collocati su tetti e terrazzi di edifici ubicati in zone più o meno limitrofe al centro delimitato dalle mura aureliane» e che «alcuni di tali edifici sono molto vicini al c.d. anello ferroviario (limite esterno della zona B2) e non è facile stabilire, mancando un confine netto, se siano all’interno o all’esterno della zona B2, con conseguente difficoltà di comprendere la tipologia di impianti consentita.»
Le ditte ARP-ATC portano l’attenzione su un loro impianto installato sul tetto di un edificio in via Bissolati, per fare la seguente censura.
Se è vero che tale insegna ha una notevole incidenza sul tessuto urbano di via Veneto, è altrettanto vero che «tale incidenza ha finito per caratterizzare, in maniera fortissima e tipizzante, quel determinato contesto urbano», come dimostrano:
A) sia il fatto che «da quando via Veneto è divenuta il luogo simbolo della “Dolce vita” romana, l’impianto Martini è presente e ben visibile»;
B) sia il fatto che «l’impianto Martini figura, non a caso, ma per il forte valore simbolico, che lo contraddistingue, in innumerevoli fotografie storiche e, soprattutto, in due grandi opere della filmografia italiana: la “Dolce vita” di Federico Fellini e “La grande bellezza” di Sorrentino, recentemente premiato con l’Oscar».
Pertanto la scelta operata con il PRIP «rischia di togliere l’ultimo e più caratteristico fregio commerciale di via Veneto, a dispetto della tradizione e del radicamento nel tessuto urbano dell’insegna Martini».
Preliminarmente la Seconda Sezione del TAR del Lazio ha proceduto alla qualificazione della Deliberazione n. 49/2014: «Quanto al PRIP approvato con la deliberazione n. 49/2014, si configura come un atto generale di pianificazione territoriale, adottato dall’Assemblea capitolina ai sensi del combinato disposto dell’art. 42, comma 2, lett. b), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (che attribuisce alla competenza del Consiglio comunale l’adozione dei piani territoriali) con l’art. 3, comma 3, del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (secondo il quale il regolamento per l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità e per l’effettuazione del servizio delle pubbliche affissioni “deve in ogni caso determinare la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari, le modalità per ottenere il provvedimento per l’installazione, nonché i criteri per la realizzazione del piano generale degli impianti”) e gli articoli 19 e del Regolamento (che fissano, rispettivamente, le norme per la redazione ed approvazione del PRIP e i criteri per l’elaborazione del piano).»
Alle censure portate al riguardo la Seconda Sezione del TAR si è pronunciata nel seguente modo (par. 19): « Quanto poi alle censure aventi ad oggetto la deliberazione n. 49/2014, si è già evidenziato che non v’è motivo di dubitare della sussistenza dell’interesse a ricorrere avverso tale provvedimento, perché la zonizzazione operata con il PRIP è idonea ad incidere in via immediata e diretta sulla sfera giuridica dei destinatari del piano; tuttavia da ciò discende che, qualora un soggetto si ritenga leso da una scelta operata attraverso la zonizzazione, deve indicare con precisione quale sia l’impianto inciso da tale scelta.
Ciò posto, il Collegio osserva che la società Defi Srl (con il ricorso n. 14401/2014), la società Opera Srl (con il ricorso n. 15804/2014) e le società Fallimento A.R.P. Srl e ATC Communications Srl (con il ricorso n. 15806/2014), nel censurare la «totale indeterminatezza» del PRIP, deducono che la zonizzazione non è graficamente intellegibile perché le tavole allegate al piano recano «mappe colorate che non consentono di contestualizzare le singole zone» e, quindi, non consentono di comprendere se un determinato impianto sia conforme o meno alle NTA del PRIP. Tuttavia nessuna delle predette società ha indicato con precisione quali siano gli impianti per i quali la zonizzazione risulta non intellegibile.
In particolare la società Defi Srl si è limitata ad affermare soltanto che «vanta cinque posizioni nella città di Roma»; la società Opera Srl, pur avendo riferito che gestisce impianti pubblicitari ubicati sui terrazzi di immobili siti in corso Francia, viale Rossini, viale dell’Alberone e via Gregorio VII, si è poi limitata ad affermare genericamente che i suoi impianti «sono collocati su tetti e terrazzi in zone più o meno limitrofe al centro delimitato dalle mura aureliane» e che «alcuni sono molto vicini all’anello ferroviario», senza specificare quali sarebbero gli impianti per i quali la zonizzazione risulta non intellegibile; le società Fallimento A.R.P. Srl e ATC Communications Srl hanno fatto espresso riferimento soltanto all’insegna luminosa “Martini”, collocata sul lastrico solare del palazzo di via Bissolati n. 20, in relazione alla quale non sussiste alcuna situazione di incertezza in quanto la stessa – per espressa ammissione delle ricorrenti stesse (cfr. il quarto motivo del ricorso n. 15806/2014) – rientra nella sottozona B1 del PRIP.
Ne consegue che, non avendo le società ricorrenti indicato con precisione gli impianti per i quali la zonizzazione non sarebbe intellegibile, le censure in esame devono essere dichiarate inammissibili perché generiche.»
(par. 20) : «Prive di fondamento risultano poi le ulteriori censure dedotte con i ricorsi n. 15804/2014 e n. 15806/2014, a mezzo delle quale vengono censurate le scelte di fondo operate con la deliberazione n. 49/2014 sotto il profilo della violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 e dell’eccesso di potere per irragionevolezza, disparità di trattamento e ingiustizia manifesta.
In particolare le ricorrenti deducono che non è dato comprendere per quale motivo:
A) sia stata riservata una diversa disciplina alle diverse aree del territorio capitolino, evidenziando che – fatta eccezione per il centro storico, per il quale una distinzione potrebbe risultare comprensibile, anche se non condivisibile – non sono state indicate in motivazione le ragioni per cui alcuni mezzi pubblicitari possano essere utilizzati nella zona B3 e non nella zona B2, specie perché la zona B3 è più periferica, ma certo non può dirsi che la zona B2 (grosso modo coincidente con l’anello ferroviario) sia centralissima;
B) siano state operate discriminazioni tra i diversi tipi di impianti, evidenziando che nella zona B2 sono ammessi gli impianti su pareti cieche, ma non gli impianti sui terrazzi. Ebbene, quanto al difetto di motivazione è sufficiente rammentare che l’art. 3, comma 2, della legge n. 241/1990 esclude l’obbligo di motivazione per gli atti a contenuto generale, tra i quali rientra anche l’impugnata deliberazione n. 49/2014.
Invece, quante alle ulteriori censure, si deve ribadire che le scelte relative alle caratteristiche degli impianti, essendo rispondenti ad esigenze di decorso urbano, attengono al merito dell’azione amministrativa e, quindi, sono sindacabili dal Giudice amministrativo solo nei limiti in cui risultino manifestamente illogiche, arbitrarie, o sproporzionate.
Ciò posto è sufficiente evidenziare che:
A) l’art. 13 delle NTA del PRIP include nella zona A “le aree in cui è vietata l’istallazione di impianti pubblicitari e di impianti per pubbliche affissioni” e nella zona B le aree in cui l’istallazione degli impianti è ammessa secondo le modalità disciplinate dalle stesse NTA, suddividendo tale zona nella sottozona B1, che “comprende le aree incluse all’interno del tracciato delle mura aureliane, delle mura gianicolensi e delle mura vaticane”, nella sottozona B2, che “include le aree esterne al tracciato delle mura e incluse all’interno del tracciato dell’anello ferroviario ed il quartiere dell’EUR”, e nella sottozona B3, che “comprende tutte le restanti aree esterne al tracciato dell’anello ferroviario ed al quartiere dell’EUR”;
B) la stessa ricorrente ammette che il criterio in base al quale è stata operata la suddivisione della zona B e sono state operate le scelte relative agli impianti ammessi nelle sottozone B1, B2 e B3 attiene alla maggiore o minore centralità delle stesse, e tale criterio non appare manifestamente illogico o arbitrario.»
(par. 21): «Considerazioni analoghe a quelle appena svolte valgono anche per il quarto motivo del ricorso n. 15806/2014, avente ad oggetto la scelta operata attraverso il combinato disposto degli articoli 13 e 15 del PRIP, per effetto dei quali nella sottozona B1 non sono più ammessi gli impianti privati su terrazzi, con conseguente incompatibilità con le norme di piano dell’insegna luminosa “Martini” ubicata sull’edificio di via Leonida Bissolati n. 20.
Infatti le società ricorrenti, dopo aver ricordato che tale insegna ha fortemente caratterizzato il tessuto urbano di via Veneto, come dimostrano opere cinematografiche quali la “Dolce vita” di Federico Fellini e “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, recentemente premiato con l’Oscar», affermano che la scelta operata con il PRIP «rischia di togliere l’ultimo e più caratteristico fregio commerciale di via Veneto, a dispetto della tradizione e del radicamento nel tessuto urbano dell’insegna Martini».
Ciò posto, risulta evidente che le ricorrenti mirano in realtà a stimolare un sindacato di merito sulle scelte operate dall’Assemblea capitolina, che esula dalle competenze di questo Tribunale.»
CRITERI PER LA REDAZIONE DEI PIANI DI LOCALIZZAZIONE
(DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA CAPITOLINA N. 380 DEL 30 DICEMBRE 2014)
Con la Deliberazione della Giunta Capitolina n. 380 del 30 dicembre 2014 sono stati dettati i criteri per la redazione dei Piani di Localizzazione.
Per l’annullamento della deliberazione n. 380/2014 è stato presentato il ricorso n. 3553/2015 (depositato il 18 marzo 2015 dalle ditte ARS PUBBLICITÀ, COSMO PUBBLICITÀ, G.B.E. e NEW POSTER) e sono stati presentati ricorsi per motivi aggiunti proposti nei giudizi introdotti con i ricorsi n. 14435/2014 (depositato il 21 novembre 2014 dalle ditte WAYAP e da AP ITALIA in liquidazione) e n. 144362014 (depositato anch’esso il 21 novembre 2014 dalla ditta A.P.A.).
Secondo ARS PUBBLICITÀ, COSMO PUBBLICITÀ, G.B.E. e NEW POSTER la disciplina introdotta con l’impugnata delibera contrasta:
A) con la disposizione dell’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento, che contempla un numero di formati notevolmente superiore rispetto a quelli indicati dalla Giunta;
B) con gli articoli 34 e 35 della delibera n. 49 del 2014, ove agli sono fissate le caratteristiche degli impianti ammessi;
C) con la deliberazione della Giunta Comunale n. 25/2010, con la quale sono stati approvati i progetti tipo per una serie di tipologie di impianti, fra i quali gli impianti di proprietà comunale da concedere in locazione a terzi (c.d. impianti SPQR).
Sostengono inoltre che l’impugnata delibera – nel prevedere che “un altro lotto dovrà essere dedicato al Circuito Cultura e Spettacolo con impianti modello SPQR mt. 2X2 distribuiti su tutti i Municipi” – determina una grave disparità di trattamento tra gli operatori del settore, perché il formato 2×2 dovrebbe essere utilizzato per la sponsorizzazione di tutte le attività e non solo di quelle attinenti il settore cultura e spettacolo.
la ditta APA censura la deliberazione n. 380/2014 nella parte in cui prevede (tra i criteri per la redazione dei piani di localizzazione) che:
A) “gli impianti SPQR sono previsti nel formato mt 3×2, mt 1,40×2 e palina mt 1×1”;
B) per gli impianti privati da suddividere in lotti, ogni lotto “deve avere impianti con un dimensionamento misto mt. 3×2; mt. 1,40×2 e mt. 1×1”.
In particolare la ditta APA deduce che tali previsioni:
A) contrastano con la disposizione dell’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento, che contempla un numero di formati notevolmente superiore rispetto a quelli previsti dalla Giunta;
B) sono affette da un difetto assoluto di motivazione, perché non è possibile comprendere le ragioni della preferenza accordata ad alcuni formati piuttosto che ad altri;
C) sono viziate per incompetenza, perché nessuna disposizione del Regolamento prevede il potere della Giunta di limitare i formati ammessi;
D) costituiscono un’indebita limitazione dei diritti delle imprese.
Con memorie depositate in data 10 e 18 aprile 2015 l’Avvocatura Capitolina ha replicato alle censure proposte con i suddetti ricorsi avverso la deliberazione n. 380/2014 evidenziando innanzi tutto che tale provvedimento si pone come il necessario completamento del complesso processo di riassetto della disciplina del settore delle affissioni, concluso con l’adozione delle deliberazioni n. 49 e 50 del 2014, e rappresenta la prima fase di attuazione del PRIP.
La deliberazione n. 380/2014, da un lato, si configura come un atto dovuto, perché consente l’avvio della fase di attuazione del PRIP, consistente nella redazione dei piani di localizzazione, e dall’altro completa il processo di adeguamento degli impianti SPQR alle disposizioni già approvate con la deliberazione della Giunta capitolina n. 25 del 2010, ma vincolanti unicamente per il I municipio.
Difatti con tale deliberazione era stato disposto che con successivo atto sarebbero stati fissati gli obblighi per tutti gli altri municipi, circostanza nota a tutte le imprese del settore e mai contestata.
A) la temporanea permanenza degli impianti formato 4×3 costituisce una mera facoltà e non già un obbligo per le imprese interessate; B) la trasformazione di tali impianti è funzionale al decoro della città la cui tutela rientra nel merito dell’azione amministrativa e, quindi, non è sindacabile dagli operatori del settore; C) di conseguenza costoro, se vogliono continuare a mantenere gli impianti sul territorio comunale, devono attenersi alle prescrizioni dettate a protezione di interessi superiori, come quello ambientale, storico e architettonico.
B) il colore in contestazione era già stato fissato, per gli impianti SPQR, con la predetta deliberazione n. 25/2010, che non risulta impugnata.
Alla censura incentrata sull’esclusione di taluni formati per gli impianti SPQR l’Avvocatura Capitolina ha replicato evidenziando che l’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento si limita ad elencare i formati ammissibili. Pertanto la Giunta con la deliberazione n. 380/14, nell’ambito delle possibilità fissate nel Regolamento, ha operato una suddivisione dei vari formati per tipologie di impianti, finalizzata ad omogeneizzare la pianificazione di dettaglio.
Alle censure portate al riguardo la Seconda Sezione del TAR si è pronunciata nel seguente modo (par. 19): «Parimenti fondate risultano le censure incentrate sull’incompetenza della Giunta a:
A) limitare ulteriormente la tipologia dei formati degli impianti SPQR ammessi;
B) prevedere, per gli impianti privati che devono essere suddivisi in lotti, la composizione di ciascun lotto.
Difatti nel Regolamento sono puntualmente indicati i compiti demandati alla Giunta (si vedano, ad esempio, le disposizioni relative al potere di derogare ai limiti della superficie massima prevista dalla pianificazione generale ed ai formati ammessi o quella relativa al potere di emanare le c.d. norme tecniche).
Inoltre, secondo la giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 20 agosto 2013, n. 4192), in relazione alla limitata serie di atti tassativamente individuati dall’art. 42, comma 2, del decreto legislativo n. 267/2000 si configura una competenza esclusiva del Consiglio comunale. Ciò posto, il Collegio ritiene che – a fronte della previsione dell’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento, ove sono dettagliatamente indicati le caratteristiche tipologiche ed i formati ammessi – non spetti alla Giunta limitare la tipologia dei formati degli impianti SPQR ammessi.
Analoghe considerazioni valgono per le censure relative alla composizione dei lotti in quanto – a fronte della previsione dell’art. 7, comma 1-bis, del Regolamento, ove è previsto che “il territorio capitolino viene suddiviso al massimo in dieci lotti, che ricomprendono impianti ricadenti proporzionalmente in tutti i municipi, a garanzia di un’omogeneità economica complessiva” – vi è motivo di ritenere che non spetti alla Giunta disciplinare la composizione di ciascun lotto con disposizioni di dettaglio come quelle contenute nella deliberazione n. 380/2014.»
(par. 36): «Il ricorso n. 3553/2015 ed / i ricorsi per motivi aggiunti proposti nei giudizi introdotti con i ricorsi n. 14435/2014, n. 144362014 devono essere accolti, con assorbimento delle restanti censure, limitatamente alla domanda di annullamento dell’impugnata deliberazione n. 380/2014 nella parte in cui prevede:
A) che “gli impianti SPQR sono previsti nel formato mt 3×2, mt 1,40×2 e palina mt 1×1”;
B) che “gli impianti privati devono essere suddivisi in lotti. Ogni lotto deve ricomprendere circuiti di impianti pubblicitari localizzati in più Municipi” e che “ogni lotto deve ricomprendere circuiti di impianti localizzati in più Municipi. Ogni lotto deve avere impianti con un dimensionamento misto mt. 3×2; mt. 1,40×2 e mt. 1×1. Uno dei lotti deve essere destinato a fornire il servizio di pubblica utilità di Bike Sharing, e dovrà essere dimensionato ed ubicato sul territorio in termini di sostenibilità economica del servizio. Il lotto del Bike Sharing, tenuto conto di quanto previsto dal PGTU, dovrà prevedere una superficie espositiva di minimo 8.000 mq. Un altro lotto, con una superficie espositiva di massimo 5.000 mq., deve essere destinato a finanziare servizi di pubblica utilità, quali ad esempio servizi igienici pubblici, elementi di arredo urbano, il servizio di pubbliche affissioni. È possibile prevedere anche ulteriori lotti destinati a servizi di pubblica utilità. I formati degli impianti per i lotti funzionali ai servizi di pubblica utilità sono esclusivamente mt. 1,20×1,80 e mt. 3,2×1,40. Un altro lotto dovrà essere dedicato al Circuito Cultura e Spettacolo con impianti modello SPQR mt. 2×2 distribuiti su tutti i Municipi”.»
DETERMINAZIONE DIRIGENZIALE PROT. QH/1689 DEL 27 LUGLIO 2015
Con Determinazione Dirigenziale Prot. QH 1689 2015 del 27 luglio 2015 il Dott. Francesco Paciello ha approvato i lavori delle 6 Conferenze di Servizi che sono state svolte per acquisire i “pareri” sui Piani di Localizzazione di competenza delle tre Soprintendenze interessate.
Anche il suddetto provvedimento è stato impugnato con i motivi aggiunti al ricorso 14526/2014 è stato depositato il 25 novembre 2014 dalle ditte ARS PUBBLICITÀ, COSMO PUBBLICITÀ G.B.E. e NEW POSTERS.
Secondo le suddette ditte le conclusioni della Conferenza di Servizi sarebbero illegittime in quanto, come si può verificare dai progetti dei piani di localizzazione, i posizionamenti ed i formati degli impianti non corrispondono (se non in minima parte) con quelli degli impianti di proprietà delle ricorrenti medesime attualmente inseriti nella NBD.
Inoltre le ricorrenti deducono che anche la determinazione dirigenziale del 27 luglio 2015 si pone in contrasto con l’art. 62, comma 1, lett. b), del D. Lgs. n. 446/1997, perché tale disposizione non conferisce il potere di incidere sulle autorizzazioni già rilasciate.
L’impugnata determinazione dirigenziale del 27 luglio 2015 sarebbe illegittima, in via derivata, anche nella parte in cui perpetua i vizi della deliberazione n. 380/2014 che, nel dettare ad “Aequa Roma” i criteri per la realizzazione dei piani di localizzazione degli impianti, ha indebitamente ridotto il numero dei formati previsti dall’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento, così violando i principi di buona fede, correttezza e proporzionalità dell’azione amministrativa.
Alle censure portate al riguardo la Seconda Sezione del TAR si è pronunciata nel seguente modo (par. 31): «Passando al ricorso per motivi aggiunti proposto nel giudizio introdotto con il ricorso n. 14526 del 2014 – avente ad oggetto la determinazione dirigenziale del 27 luglio 2015, con la quale sono stati approvati i lavori Conferenza di sevizi convocata, ai sensi dell’art. 32 delle NTA del PRIP, ai fini dell’adozione di piani di localizzazione degli impianti pubblicitari – risulta innanzi tutto infondata la censura incentrata sulla lesione del legittimo affidamento delle imprese del settore nel «recepimento automatico dei propri impianti nei piani di localizzazione».
Difatti, come già evidenziato, l’art. 7, comma 5-bis, del Regolamento (inserito dalla deliberazione n. 50/2014) dispone che “in sede di prima applicazione dei Piani di localizzazione di cui all’art. 19, gli impianti pubblicitari di proprietà di Roma Capitale sono oggetto di concessione, nel rispetto dei principi di evidenza pubblica, prioritariamente alle imprese che hanno partecipato alla procedura di cui alle deliberazioni di Consiglio Comunale n. 254/1994 e di Giunta Comunale n. 1689/1997 con i criteri che saranno successivamente definiti dalla Giunta capitolina. …”.
Ciò posto, si deve ribadire che non è configurabile alcuna lesione del legittimo affidamento se i posizionamenti ed i formati degli impianti corrispondono solo in parte con quelli degli impianti di proprietà delle società ricorrenti.
Difatti la disposizione dell’art. 7, comma 5-bis, del Regolamento non poteva certo essere intesa nel senso che, in sede di prima applicazione dei piani di localizzazione, avrebbero dovuto essere previste vere e proprie deroghe ai principi dell’evidenza pubblica per consentire alle imprese del settore di mantenere sul territorio capitolino tutti gli impianti inseriti nella NBD.
Parimenti infondata risulta, per le ragioni già esposte in occasione dell’esame dei ricorsi proposti avverso la deliberazione n. 50/2014, la censura incentrata sulla violazione dell’art. 62, comma 1, lett. b), del D. Lgs. n. 446/1997. »
(par. 35): «Diverse considerazioni valgono, invece, per la censura incentrata sulla limitazione dei formati ammessi, rispetto a quelli previsti dall’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento. Difatti le ragioni che hanno determinato l’accoglimento dell’analoga censura rivolta avverso la deliberazione n. 380/2014 valgono evidentemente anche per la censura in esame. »
(par. 36): «il ricorso per motivi aggiunti proposto nel giudizio introdotto con il ricorso n. 14526 del 2014 deve essere accolto limitatamente alla domanda di annullamento dell’impugnata determinazione dirigenziale del 27 luglio 2015 nella parte in cui approva piani di localizzazione degli impianti pubblicitari che limitano i formati ammessi ai soli formati previsti dalla deliberazione della Giunta Capitolina n. 380/2014.»
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RICORSI IN PARTE INAMMISSIBILI E IN PARTE INFONDATI
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In conclusione la Seconda Sezione del TAR del Lazio ha dichiarato in parte inammissibili e in parte respinti perché infondati i seguenti 7 ricorsi che chiedevano l’annullamento della deliberazione n. 425/2013 ed in grande maggioranza l’annullamento della deliberazione A.C. 50/2014:
– il ricorso n. 3006/2014, proposto dalla associazione di categoria A.I.P.E. (Associazione Imprese di Pubblicità Esterna) e dalle ditte pubblicitarie AP ITALIA in liquidazione, WAYAP, MORETTI PUBBLICITÀ, PATEO UNINOMINALE E A.P.A. (AGENZIA PUBBLICITÀ AFFISSIONI);
– il ricorso n. 14401/2014, presentato dalla DEFI ITALIA
– il ricorso n. 14526/2014, presentato da ARS PUBBLICITÀ, COSMO PUBBLICITÀ, G.B.E. e NEW POSTER;
– il ricorso n. 15194/2014, presentato da I.R.P.A. Imprese Romane Pubblicitarie Associate e da altre 19 società:
– il ricorso n. 15195/2014, presentato dalla PUBBLI ROMA OUTDOOR;
– il ricorso n. 15804/2014, presentato da OPERA;
– il ricorso n. 15806/2014, presentato da A.R.P. SOC. ALLESTIMENTI REALIZZIONI PUBBLICITARIE.
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RICORSI ACCOLTI LIMITATAMENTE ALLA DOMANDA DI ANNULLAMENTO DELLA NOTA DEL 23 SETTEMBRE 2014
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Sono stati accolti limitatamente alla domanda di annullamento dell’impugnata nota del 23 settembre 2014, nella parte in cui prevede che l’adeguamento degli impianti inseriti nella NBD alle previsioni dell’art. 20, comma 1, lett. f), del Regolamento debba essere effettuato “entro il termine ultimo del 31.1.2015”, i seguenti 6 ricorsi che chiedevano tutti l’annullamento della deliberazione A.C. n. 50/2014:
– il ricorso n. 14431/2014, presentato dalla FOX;
– il ricorso n. 14433/2014, presentato dalla D. & D. OUTDOR;
– il ricorso n. n. 14435/2014, presentato da WAYAP e da AP ITALIA in liquidazione;
– il ricorso n. 14436/2014, presentato da A.P.A.;
– il ricorso n. 15651/2014, presentato da A.I.P.E. e MORETTI PUBBLICITÀ;
– il ricorso n. 15829/2014, presentato da SIPEA.
Va fatto presente che a chiedere l’annullamento della nota del 23 settembre 2014 sono state anche le seguenti ditte:
– DEFI ITALIA (con il ricorso 14401/20145, non considerato nella sentenza);
– OPERA (con il ricorso 15804/2014, non considerato nella sentenza);
– A.I.P.E. (con il ricorso n. 15651/2014, non considerato nelle sentenza);
– A.P.A. (con il ricorso 14436/2014, , non considerato nelle sentenza);
– S.C.I. (con il ricorso n. 14403/2014, non ancora discusso nel merito);
– CLEAR CHANNEL (con il ricorso 14853/2014, non ancora discusso nel merito).
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RICORSI ACCOLTI LIMITATAMENTE ALLA DOMANDA DI ANNULLAMENTO DI PARTE DELLA DELIBERAZIONE N. 380/2014
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Sono stati accolti limitatamente alla domanda di annullamento dell’impugnata deliberazione n. 380/2014 i seguenti 4 ricorsi.
– ricorso n. 3553/2015 presentato per l’annullamento della Deliberazione G.C. 380/2014 dalle ditte ARS PUBBLICITÀ, COSMO PUBBLICITÀ, G.B.E. e NEW POSTER;
– ricorso per motivi aggiunti per l’annullamento della Deliberazione G.C. 380/2014, proposto nel giudizio introdotto con il ricorso n. 14435/2014, presentato da WAYAP e da AP ITALIA in liquidazione;
– ricorso per motivi aggiunti per l’annullamento della Deliberazione G.C. 380/2014. proposto nel giudizio introdotto con il ricorso n. 14436/2014, presentato da A.P.A.;
– ricorso per motivi aggiunti per l’annullamento della Determinazione Dirigenziale prot. QH/1869 del 27 luglio 2015, proposto nel giudizio introdotto con il ricorso n. 14526/2014 presentto da ARS PUBBLICITÀ, COSMO PUBBLICITÀ, G.B.E. e NEW POSTER.
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RICORSI ACCOLTI LIMITATAMENTE ALLA DOMANDA DI ANNULLAMENTO DI PARTE DELLA DETERMINAZIONE DIRIGENZIALE PROT. QH/1869 DEL 27 LUGLIO 2015
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È stato accolto limitatamente alla domanda di annullamento dell’impugnata Determinazione Dirigenziale prot. QH/1689 del 27 luglio 2015 (nella parte in cui approva piani di localizzazione degli impianti pubblicitari che limitano i formati ammessi ai soli formati previsti dalla deliberazione della Giunta Capitolina n. 380/2014) il ricorso per motivi aggiunti proposto nel giudizio introdotto con il ricorso n. 14526/2014, presentato dalle ditte ARS PUBBLICITÀ, COSMO PUBBLICITÀ, G.B.E. e NEW POSTER.
VALUTAZIONE COMPLESSIVA
Per quanto riguarda il vizio di competenza rilevato dalla Seconda Sezione del TAR del Lazio, ai fini del suo superamento ottemperando al tempo stesso alla sentenza n. 2283/2016, c’è da fare la considerazione oggettiva sulla totale inopportunità di doverla subire passivamente annullando la deliberazione n. 325 del 13 ottobre 2015 con cui la Giunta Capitolina ha approvato la “proposta” dei Piani di Localizzazione, perché si verrebbe a vanificare il lavoro prodotto dalla S.p.A. “Aequa Roma” e l’intero procedimento successivo fin qui intrapreso, in particolare con le sei Conferenze di Servizio svolte per l’acquisizione dei “pareri” di competenza delle tre Soprintendenze interessate, oltre che con i 13 incontri pubblici già svolti nell’ambito della partecipazione dei cittadini.
Alla suddetta considerazione c’è da aggiungere l’altrettanto oggettiva considerazione che la contestata deliberazione n. 380 della Giunta Capitolina è stata approvata il 30 dicembre 2014, vale a dire 10 mesi prima dello scioglimento dell’Assemblea Capitolina che in tutto quest’arco di tempo non ha ravvisato alcun vizio di legittimità nelle parti del suddetto provvedimento in cui la Seconda Sezione del TAR del Lazio ha riconosciuto invece una incompetenza a “limitare ulteriormente la tipologia dei formati degli impianti SPQR ammessi” ed a “prevedere, per gli impianti privati che devono essere suddivisi in lotti, la composizione di ciascun lotto”.
Ne deriva che per ottemperare alla sentenza 2283/2016 è sufficiente che il Commissario Straordinario Francesco Paolo Tronca approvi nelle veci dell’Assemblea Capitolina una apposita deliberazione con cui “ratifica” in tutto e per tutto la deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 380 del 30 dicembre 2014 (vedi https://www.rodolfobosi.it/le-considerazioni-oggettive-sulla-ponderazione-degli-interessi-in-gioco-che-dovrebbero-togliere-al-commissario-straordinario-tronca-ogni-dubbio-e-incertezza-riguardo-alla-decisione-da-prendere-per-ott/)
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Per quanto riguarda invece le censure che sono state rigettate dalla Seconda Sezione del TAR del Lazio, c’è da far presente che nella descrizione del “FATTO” la sentenza descrive analiticamente tutte le censure ed i contenuti delle memorie difensive del Comune, ma non riporta gli argomenti dell’intervento ad opponendum, depositato in data 27 marzo 2015 dalle associazioni Verdi Ambiente e Società (V.A.S.) APA Onlus, Associazione Bastacartelloni Francesco Fiori, Cittadinanza Lazio Onlus, Istituto Internazionale per il Consumo e l’Ambiente (I.I.C.A.) e Centro di Iniziativa per la Legalità Democratica (C.I.L.D.).
Di tale intervento ad opponendum riporta però nel “DIRITTO (par. 9.2) la fondamentale Sentenza del Consiglio di Stato n. 5 del 25 febbraio 2013 in adunanza plenaria: «Ciò premesso, giova rammentare che la giurisprudenza in diverse occasioni (ex multis, Cons. Stato, Ad. Plen. 25 febbraio 2013, n. 5; T.R.G.A. Trentino-Alto Adige, Bolzano, 5 dicembre 2014, n. 278) si è pronunciata sulla scelta di mettere a gara gli spazi pubblici per la collocazione degli impianti pubblicitari commerciali. In particolare l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato quanto segue: «Alla definizione della disciplina della collocazione degli impianti pubblicitari concorrono la normativa sulla viabilità, che sottopone gli impianti, per la sicurezza del traffico veicolare, ad autorizzazione comunale se collocati nei centri abitati (art. 23, comma 4, del codice della strada (d.lgs. n. 285 del 1992), quella sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici (articoli 49 e 153 del codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004), se gli impianti incidano su tali profili, e la normativa tributaria, posta in particolare dal d.lgs. n. 507 del 1993 (e poi dal d.lgs. n. 446 del 1997). In fatto la collocazione degli impianti pubblicitari commerciali su aree pubbliche urbane, che qui interessa, è vincolata dalla naturale limitatezza degli spazi disponibili all’interno del territorio comunale, ulteriormente ristretta per effetto dei vincoli sia di viabilità sia di tutela dei beni culturali gravanti sul territorio. Ciò motiva la statuizione di cui all’art. 3, comma 3, del citato d.lgs. n. 507 del 1993, per cui ciascun Comune “deve” determinare, oltre la tipologia, anche “la quantità” degli impianti pubblicitari e approvare un “piano generale degli impianti”, con la delimitazione della superficie espositiva massima dei diversi tipi di impianti (nella prassi ripartita tra le zone del territorio urbano), definendosi con ciò un mercato contingentato. La normativa sulla installazione degli impianti a tutela della sicurezza stradale, e dei valori culturali, si raccorda così a quella ulteriore basata sul presupposto, necessitato e condizionante, del contingentamento dell’attività in questione poiché comportante l’uso di una risorsa pubblica scarsa qual è il suolo pubblico. Si configura con ciò un rapporto tra l’ente locale e il privato il cui modello di riferimento, alla luce della sua qualificazione sostanziale, è quello concessorio “atteso che è giustappunto una concessione di area pubblica il provvedimento iniziale che conforma il rapporto” (Cons. Stato, n. 529 del 2009 citata), potendo disciplinare il regolamento comunale anche “le modalità per ottenere il provvedimento per l’installazione” (art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993), confluendo nel quadro di tale rapporto, di conseguenza, la regolazione unitaria dei profili di tutela della sicurezza stradale e dei valori culturali. Ciò rilevato ritiene l’adunanza plenaria che sia corretto allocare l’uso degli spazi pubblici contingentati con gara, dovendosi altrimenti ricorrere all’unico criterio alternativo dell’ordine cronologico di presentazione delle domande accoglibili, che è di certo meno idoneo ad assicurare l’interesse pubblico all’uso più efficiente del suolo pubblico e quello dei privati al confronto concorrenziale. Il procedimento di gara non contrasta infatti con la libera espressione dell’attività imprenditoriale di cui si tratta, considerato, in linea generale, che la procedura ad evidenza pubblica è istituto tipico di garanzia della concorrenza nell’esercizio dell’attività economica privata incidente sull’uso di risorse pubbliche e che, in particolare, la concessione tramite gara dell’uso di beni pubblici per l’esercizio di attività economiche private è istituto previsto nell’ordinamento, essendo perciò fondata la qualificazione della gara come strumento per assicurare il principio costituzionale della libera iniziativa economica anche nell’accesso al mercato degli spazi per la pubblicità (Cons. Stato, V, n. 529 del 2009, cit; cfr. anche VI, 9 febbraio 2011, n. 894). Quanto sopra è peraltro coerente con i principi comunitari, in particolare di non discriminazione, di parità di trattamento e di trasparenza; questo Consiglio ha infatti chiarito da tempo che, sul presupposto per cui con la concessione di un’area pubblica si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato (come è nella specie), si impone di conseguenza una procedura competitiva per il rilascio della concessione, necessaria per l’osservanza dei ricordati principi a presidio e tutela di quello, fondamentale, della piena concorrenza (Sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168) ».
La suddetta sentenza è scaturita dalla pianificazione del Comune di Caltanissetta in un modo pressoché analogo a quello del Comune di Roma.
Con delibera n. 27 del 29 aprile 2010 il Consiglio Comunale di Caltanissetta ha infatti approvato il Piano Generale degli Impianti Pubblicitari (P.G.I.P.) e contestualmente il bando di gara d’appalto per l’aggiudicazione della concessione di servizio per la pubblicità commerciale sulle superfici individuate dal detto Piano, più o meno come ha inteso fare l’Assessore Marta Leonori con in più la pianificazione particolareggiata dei Piani di Localizzazione. (vedi https://www.rodolfobosi.it/il-consiglio-di-stato-ha-sancito-il-pieno-diritto-anche-del-comune-di-roma-di-mettere-a-gara-gli-spazi-pubblici-per-la-collocazione-degli-impianti-pubblicitari-commerciali/).
Va messo in grande risalto che nel ricorso sia al TAR della Sicilia che al Consiglio di Stato fra le altre è intervenuta contro il Comune di Caltanissetta anche l’Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane (A.A.P.I.) che fino a giugno del 2013 è stata presieduta dal dott. Franco Meroni.
Per discutere assieme a VAS ed a Basta Cartelloni-Francesco Fiori della proposta unitaria elaborata congiuntamente e presentata nel corso della Conferenza Stampa che si è tenuta il 3 maggio 2013, ho chiesto ed ottenuto un incontro con le associazioni di categoria A.I.P.E. ed A.A.P.I., oltre che con le ditte S.C.I., A.P.A., MORETTI PUBBLICITÀ, AP ITALIA ed IGP DÉCAUX.
All’incontro che si è tenuto il 12 novembre 2013 nella sede dell’A.I.P.E. in via Cerchiara n.45 ha partecipato anche il Dott. Franco Meroni, che – dopo aver ascoltato le parti salienti proprio della suddetta sentenza del Consiglio di Stato che avevo portato con me e che ho voluto leggere di persona – ha minimizzato sulla importanza di quella sentenza, sostenendo che “non conta”.
Quel suo giudizio si è rivelato del tutto sbagliato, se si considera che la sentenza in questione del Consiglio di Stato è stata fatta propria dalla Seconda Sezione del TAR del Lazio e portata a supporto del rigetto di tutti i ricorsi presentati contro il PRIP ed il nuovo Regolamento di Pubblicità.
Ne deriva che, con una pronuncia del genere addirittura in Adunanza Plenaria, verrà respinto qualunque futuro ricorso al Consiglio di Stato, che sembra già dato per certo quanto meno da parte della associazione di categoria A.I.P.E., a quanto pare convinta di riuscire a farsi valere di più di quanto non sia riuscita a fare l’altra associazione di categoria milanese (A.A.P.I.).
Dott. Arch. Rodolfo Bosi