Sul sito “Esterniamo” (http://www.esterniamo.it)il 25 ed il 27 febbraio sono stati pubblicati 2 articoli che hanno riguardato il servizio di Bike Sharing che viene fornito a Milano ed ad a Londra.
Il primo dei due articoli porta il titolo significativo di “BikeMi: non è tutto oro quel che luccica sotto il Duomo” di cui si riporta il seguente estratto:
“Una mobilità alternativa per liberare i centri urbani dall’assedio delle autovetture incentivando i cittadini a muoversi con mezzi ecologici o usando i servizi pubblici. È da questo presupposto che è nato BikeMi, il servizio di condivisione biciclette della città di Milano…..
Sì, ma andando a fondo e guardando le cifre e gli enti che hanno permesso la realizzazione del BikeMi, c’è da mettere da parte almeno un po’ di entusiasmo e di elogi per coloro che almeno apparentemente hanno promosso l’iniziativa. È stato proprio l’assessore alla Mobilità, Pierfrancesco Maran, ad aver dato atto alla precedente Amministrazione Moratti di aver creato il progetto di bike sharing, in cui la Giunta Pisapia ha continuato a credere a tal punto da «dedicargli 3 milioni di euro derivanti da Area C, per potenziarlo e portarlo al di fuori della Cerchia dei Bastioni». Per intenderci, si trattava della “Fase 2” di BikeMi.
Ma, con l’avvicinarsi dell’Expo 2015, la scorsa estate si è avviata la fase successiva del progetto: la sopracitata “Fase 3”, vera scommessa del sevizio perché più innovativa (e probabilmente più costosa) e destinata a lasciare un segno negli annali dell’Esposizione Universale. Anche qui, gli ‘aiutini’ statali non si sono fatti attendere: il ministero dell’Ambiente ha dichiarato di voler stanziare ben 4 milioni di euro per portare a compimento la terza fase dei lavori.
Insomma, per quanto il servizio e l’iniziativa siano lodevoli, e altrettanto lo siano i promotori e realizzatori, a guardar bene numeri e sovvenzionatori si può dire che non è tutto oro quello che luccica sotto il Duomo…”.
Il secondo articolo ha il titolo ancor più significativo di “Barclays Cycle Hire: ecco a voi il bike sharing che i contribuenti londinesi pagano a peso d’oro” di cui si riporta il seguente estratto:
“Si chiama Barclays Cycle Hire (BCH) ed è l’invidiatissimo servizio di bike sharing attivo nella città di Londra che utilizza il sistema canadese Bixi e che è stato lanciato nell’estate del 2010 dal sindaco Boris Johnson che l’ha fortemente voluto per dare un taglio “green” al suo mandato….
Ma le bellissime e funzionalissime “Boris bikes” pesano non poco sulle tasche dei contribuenti londinesi. Lo sponsor del servizio, la banca Barclays che ne ha dato il nome, infatti copre solo un sesto del budget necessario a mantenere in funzione il sistema, per non parlare dei pedaggi che ne coprono una parte davvero irrisoria. Il risultato? La parte restante del finanziamento, ben 11 milioni di sterline, viene prelevato dalle casse municipali. Cioè dalle tasse.
Il Times di Londra stima che in tre anni ogni bici sia costata ai cittadini più di 4 mila sterline di tasse. Una cifra da capogiro. ….
Insomma, come anche nel caso di Milano (ma lasciateci dire che il caso di Londra è ben più eclatante), non è tutto oro quello che luccica. Perciò quando si sente dire che ci sono sindaci, come in questo periodo quello di Roma Ignazio Marino, che cercano finanziatori per il bike-sharing delle loro città c’è da metterli in guardia sul fatto che per il costo stesso del servizio, gli sponsor a volte non bastano.”
Trovo molto scorretta questa doppia informazione data con 2 giorni di distanza l’una dall’altra perché appare, in particolare con il 2° articolo (http://www.esterniamo.it/
Per poter comprendere la fondatezza o meno di questo mio giudizio, all’informazione fornita in questo modo deve essere necessariamente associata la seguente fondamentale precisazione che ha il preciso scopo di fungere da corretta controinformazione.
Va detto innanzi tutto che è esatta ogni cosa che dice l’autore di entrambi gli articoli, ma che è anche una ricostruzione perfetta di come non funzioni il Bike Sharing finanziato dalle sponsorizzazioni, si badi, dalle sponsorizzazioni, e non dalla pubblicità in conto terzi nel lungo periodo perché sono 2 modelli di business completamente alternativi che specie nell’ultimo nell’articolo vengono grossolanamente uniti.
Una città può finanziare il servizio di Bike Sharing attraverso 3 modelli:
1. Se lo compra con soldi attinti dal bilancio (come vorrebbe fare Roma secondo l’ultimo PGTU con le sue 80 stazioni)
2. Lo finanzia con le sponsorizzazioni (in questo caso il servizio è gestito dal comune in proprio oppure attraverso un fornitore esterno del servizio, e i costi complessivi sono ribaltati, in tutto o in parte, sullo sponsor, come nel caso di Barclay a Londra)
3. Lo finanzia in cambio dell’assegnazione di mq. di pubblicità collocata in appositi impianti per l’intera durata del servizio (in questo caso il servizio di Bike Sharing è completamente fornito e gestito dalla ditta che ha vinto l’appalto e che, in cambio, ottiene la gestione della pubblicità).
Tralasciando il n.1, il modello che si è dimostrato nei fatti il più efficiente è il n.3 per i seguenti motivi:
- il comune, assegnando l’appalto secondo il modello 3, ottiene che l’azienda aggiudicataria garantisca un perfetto livello di esecuzione del servizio per l’intera durata dell’appalto (da 10 a 20 anni), attraverso gli SLA (Service Level Agreement ) definiti in capitolato. Se non lo fa scattano penali sino alla risoluzione del contratto. In questo modo il progetto è realmente a costo zero per il comune e il dimensionamento del servizio (numero di stazioni, di bici etc.) lo sceglie il Comune che, in sede di definizione del PRIP (non dopo!), stabilisce cosa vuole fare: quante stazioni voglio? In base a quello, posso destinare nel PRIP il numero di mq. di pubblicità necessari al finanziamento. È la straordinaria occasione che ha Roma oggi, di potere con la nuova consiliatura ripartire da zero con un PRIP progettato ad hoc non solo per un adeguato servizio di Bike Sharing, ma per tutti gli ulteriori servizi di cui volesse dotare la capitale in termini di elementi di arredo urbano.
- il modello n.2 basato sulle sponsorizzazioni è invece debole per i seguenti motivi:
- l’income derivante dalla sponsorizzazione come redddito complessivo è certo solo nei primi anni, quando si sottoscrive il contratto con il primo sponsor, poi diventa invece aleatorio;
- questo significa che se al termine del contratto con il primo sponsor non ne trovo un altro che mi garantisce la copertura dei costi del servizio, ho le seguenti opzioni:
– riduco il servizio (meno manutenzione, meno stazioni, meno bici);
– ci aggiungo soldi pubblici per mantenere il servizio e le promesse fatte ai cittadini (come nel caso di Londra);
- non c’è nessuna garanzia di copertura dei costi sul lungo periodo, perché quando termina l’effetto novità del primo sponsor è molto difficile riuscire a reperire gli stessi fondi con il secondo, il terzo etc. in quanto la novità è terminata e l’asset dal punto di vista pubblicitario è molto meno attrattivo;
- non è possibile programmare una crescita certa del servizio perché sono del tutto incerti i livelli di finanziamento
Purtroppo a Roma il basso livello “culturale” dei nostri interlocutori pubblici, al netto di qualche positiva eccezione, è tale che articoli come quelli pubblicati da “Esterniamo” possono passare come verità assoluta, al pari della baccianata del paventare un rischio di diminuzione delle entrate da Canone della Iniziative Pubblicitarie (CIP) in ipotesi di un nuovo PRIP.
Qualcuno dovrebbe soprattutto far presente all’Assessore al bilancio Daniela Morgante che un nuovo PRIP costruito sulla base degli obiettivi della città (che al momento purtroppo non sono stati ancora ben definiti) porterebbe oggettivamente ad un moltiplicatore ricompreso tra il doppio ed il triplo degli introiti attuali, come dimostrato dai PRIP e dai relativi progetti finalizzati nelle principali città europee.
Daniela Morgante
Dott. Arch. Rodolfo Bosi