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Rodolfo Bosi
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Home Archivi

Cop21, la promessa della muraglia verde

04/12/2015
in Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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Logo Cop21

Per la prima volta, l’Africa ha un posto centrale nei negoziati di una conferenza internazionale sul clima.

Ieri, François Hollande ha presieduto una riunione alla Cop21 con la presenza di una ventina di capi di stato e di governo africani, che hanno incontrato dei potenziali finanziatori.

Sul tavolo, dei progetti concreti: a cominciare dalla costruzione di una «grande muraglia verde» per lottare contro la desertificazione, investimenti sul lago Ciad, che dagli anni ’60 a oggi ha perso circa l’80% della sua superficie e per il fiume Niger, il terzo per importanza del continente, che dalla Sierra Leone alla Nigeria attraversa paesi (Guinea, Mali, Niger) in grandi difficoltà e in preda a conflitti.

Questo progetto, in evoluzione, prevede ormai la creazione di «sacche» verdi, molto ravvicinate, con rimboscamento della zona, interventi sull’habitat e sulla produzione di energia.

Un’Iniziativa africana per le energie rinnovabili completa il quadro discusso ieri.

È stata esplicitamente fatta una connessione tra effetti deleteri del disordine climatico – distruzione delle fonti economiche, pauperizzazione – e la crescita del terrorismo: il Sahel è una delle aree dove la Francia interviene militarmente in questo momento.

In prospettiva, 16 miliardi di dollari dovrebbero venire mobilitati per queste iniziative, con fondi pubblici ma anche privati, solo un inizio visto che il piano dell’Unione africana per le energie rinnovabili prevede costi per 250 miliardi complessivi, tra i 12 e i 20 miliardi per un primo passo entro il 2020 (10 gigawatt supplementari dalle rinnovabili).

L’Africa «è il continente che soffre di più del disordine climatico – ha affermato il presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Kim – rispondere a questa sofferenza è una questione di giustizia e una condizione perché la Cop21 sbocchi su un accordo serio».

Hollande ha promesso di raddoppiare i finanziamenti francesi tra il 2016 e il 2020 per sviluppare le energie rinnovabili in Africa, portandoli a 5 miliardi di euro, con almeno un miliardo destinato all’adattamento al cambiamento climatico, il parente povero dell’impegno finanziario (solo il 16% dei fondi mondiali per il clima sono destinati a questo aspetto).

«Oggi sono fiero del mio continente – ha commentato ieri Kumi Naldoo, direttore esecutivo di Greenpeace International, di origine sudafricana – è spesso stato detto che le nazioni africane non hanno la stessa responsabilità storica per agire perché hanno fatto molto poco per causare il problema. Ma oggi si fanno avanti e dimostrano di avere una visione significativa. Gli africani sono sulla linea del fronte del cambiamento climatico. Il piano per sviluppare 300 gigawatt di energie rinnovabili di qui al 2030 è certamente ambizioso. La maggior parte deve venire dal solare e dall’eolico, non dalle grandi dighe. Solo così questa iniziativa avrà un basso impatto energetico per grandi quantità di esseri umani, che non hanno ancora accesso all’elettricità».

Per Naldoo, «l’Africa deve diventare il continente dell’energia pulita».

In Africa, i due terzi della popolazione – oggi 1,1 miliardi, 2 miliardi nel 2050 – non hanno accesso all’elettricità.

Oggi, il peso dell’Africa nella produzione di gas a effetto serra è inferiore al 4%.

La Banca Mondiale ha in programma l’Africa Climate Business Plan, per pilotare nuovi finanziamenti.

Al recente vertice Ue-Africa a La Valletta è stato approvato un Fondo d’emergenza per l’Africa di 1,8 miliardi di euro. Anche i paesi del G7 hanno fatto promesse nel giugno scorso.

Adesso bisognerà vedere se si passerà dalle parole ai fatti.

Come ha ricordato il ministro dell’ambiente del Senegal, Abdoulaye Bibi Baldé, «l’obiettivo mondiale dei 2 gradi corrisponde a un aumento reale delle temperature di 3–4 gradi nei paesi costieri dell’Africa, cosa che rischia di causare dei disastri sul piano ecologico. Per questo chiediamo una revisione a 1,5 gradi», richiesta che quasi sicuramente non verrà soddisfatta.

Sul fronte dei finanziamenti, c’è il progetto sostenuto da Bill Gates e altri miliardari (Zuckerberg di Facebook, Jack Ma di Alibaba, l’indiano Ratan Tata, Branson di Virgin, Jeff Bezos di Amazon ecc.) per una Breaktrough Energy Coalition (Coalizione per un’energia di rottura) per coinvolgere gli investimenti privati, far saltare quello che Gates chiama «il muro della morte» e arrivare rendere le energie rinnovabili accessibili a tutti.

Ieri, Obama si detto «ottimista», «riusciremo», sulla Cop21.

Sono in corso le riunioni tematiche, tra i 7mila negoziatori presenti al Bourget, in rappresentanza di 196 paesi.

Questa fase dovrebbe concludersi sabato 5 dicembre, con la presentazione di un testo – le 55 pagine dell’ultima redazione dell’accordo, ancora piene di parentesi quadre, cioè di punti controversi – al ministro Laurent Fabius.

Poi ci sarà la «fase ministeriale» di analisi del testo proposto, fino al 9 dicembre.

Due giorni verranno dati agli stati per studiare nei dettagli le implicazioni giuridiche del testo, nella speranza che venerdì 11 dicembre venga firmato un accordo generale.

 

(Articolo di Anna Maria Merlo, pubblicato con questo titolo il 2 dicembre 2015 su “Il Manifetso”)

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