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Rodolfo Bosi
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Home Archivi

Cosa accade nelle nostre periferie malate?

24/11/2014
in Archivi, edilizia, Governo del territorio, News, Piani territoriali, Urbanistica
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Per un approfondimento sul tema di scottante attualità del degrado in cui versano le periferie delle nostre città iniziamo una serie di articoli, che da qui in poi pubblicheremo ogni giorno.

Cominciamo con un articolo di Enzo Scandurra pubblicato il 15 novembre 2014 su “Il Fatto Quotidiano”.

Enzo Scandurra è Direttore del Dipartimento di Architettura e Urbanistica per l’Ingegneria e Docente di Sviluppo Sostenibile per l’Ambiente e il Territorio nell’Università di Roma La Sapienza.

Immagine.Enzo Scandurra

Enzo Scandurra

Quella che in que­sti giorni viene impro­pria­mente chia­mata Tor Sapienza dove sono acca­duti gli epi­sodi più vio­lenti che si ricor­dino nella estesa peri­fe­ria romana, è in realtà una pic­cola area situata su una col­li­netta com­presa tra la via Col­la­tina e la Pre­ne­stina là dove quest’ultima incro­cia la grande arte­ria di via Pal­miro Togliatti che avrebbe dovuto costi­tuire, secondo il Piano Rego­la­tore del 1962, la strut­tura por­tante dell’asse dire­zio­nale romano, mai rea­liz­zato. 

Siamo poco oltre il quar­tiere di Quar­tic­ciolo voluto da Mus­so­lini a seguito dello sven­tra­mento di via dei Fori Impe­riali e diven­tato famoso nel dopo­guerra per le ben note vicende del Gobbo, eroe popo­lare, anti­fa­sci­sta, diven­tato poi, in età repub­bli­cana, sban­dato e ban­dito.

Su que­sta col­li­netta è situato, quasi come un for­tino che domina la valle, un grande inse­dia­mento di edi­li­zia eco­no­mica e popo­lare cir­con­dato dal viale Gior­gio Morandi che let­te­ral­mente si snoda tutt’attorno al com­plesso resi­den­ziale a guisa di un fos­sato e lo col­lega, più a est, con la peri­fe­ria sto­rica di Tor Sapienza. 

Immagine.Quartiere di Tor Sapienza

Immagine.Viale Giorgio Morandi

La zona anti­stante, ai piedi della col­li­netta, è occu­pata dal Cen­tro Carni e dalla rimessa degli auto­bus romani, accanto ai quali c’è una vasta area asfal­tata, deser­tica, una sorta di zona franca dove per anni di sera sosta­vano pro­sti­tute e trans cir­con­date da caro­selli di auto­mo­bi­li­sti in cerca di sesso.

 Immagine.Centro Carni Tor Sapienza

Area “Centro Carni”/ATAC

Se si pro­se­gue sulla via Togliatti verso la Col­la­tina, il pae­sag­gio appare sem­pre più degra­dato: pro­sti­tute pre­va­len­te­mente di colore ai bordi della strada, pic­cole disca­ri­che a cielo aperto, accam­pa­menti sparsi di bar­boni e rom, ten­ta­tivi di orti urbani accanto alla fer­ro­via che da Roma va a Sul­mona.  

Per­cor­rere di notte que­sto tratto di strada mette una certa paura e nes­suno, comun­que, si avven­tu­re­rebbe mai a salire sulla col­li­netta dove sorge l’insediamento popo­lare iso­lato e temuto quasi fosse un laz­za­retto medie­vale. 

Poco vicino, sulla Pre­ne­stina, que­sta volta sì a Tor Sapienza, c’è la grande occu­pa­zione mul­tiet­nica di Metro­plizt diven­tata meta di incon­tri e dibat­titi cul­tu­rali, oltre che sede di bel­lis­simi mura­les rea­liz­zati da famosi arti­sti. 

Il «for­tino» di case popo­lari è un grande ret­tan­golo chiuso che richiama alla mente, per il numero di per­sone resi­denti (circa due­mila) e per la sua forma geo­me­trica, il Falan­ste­rio di Fou­rier. 

Immagine.Tor Sapienza

Rea­liz­zato negli anni Settanta/Ottanta dalle giunte di sini­stra, in epoca delle lotte per la casa e i ser­vizi, è orga­niz­zato su una grande corte interna (forse la più grande d’Europa) dove ci sono i locali che avreb­bero dovuto ospi­tare i ser­vizi per il quar­tiere e cha mai hanno ini­ziato a fun­zio­nare.  

La descri­zione urba­ni­stica è neces­sa­ria se si vogliono capire i motivi degli epi­sodi di così tanta vio­lenza come mai ne sono acca­duti in altre peri­fe­rie romane. 

Gli ingre­dienti c’erano tutti: una grande con­cen­tra­zione di per­sone povere e sban­date in un’area ristretta e iso­lata, pro­sti­tu­zione droga e degrado delle aree cir­co­stanti, cen­tro di acco­glienza (che iro­nia que­sto nome!) per immi­grati dall’Africa, dall’Albania e dal Ban­gla­desh, iso­la­mento spa­ziale dell’insediamento rispetto al tes­suto urbano cir­co­stante.

 Immagine.Centro accoglienza.1

Centro di accoglienza

Col­lo­care lì gli immi­grati per lo più mino­renni o richie­denti asilo, spae­sati e senza occu­pa­zione, signi­fica accen­dere un cerino in un depo­sito di pol­veri da sparo e così, pur­troppo, è suc­cesso: il depo­sito è sal­tato. 

Inne­scando una spi­rale di ran­cori subito stru­men­ta­liz­zata da una destra xeno­foba e raz­zi­sta che in città ha sem­pre avuto radici con­si­stenti a par­tire dal ben noto e sto­rico Movi­mento sociale di Gior­gio Almi­rante e dalla sua corte di maz­zieri con i cascami post­mo­derni dei sedi­centi fasci­sti del terzo mil­len­nio di Casa Pound.  

È troppo facile in que­sti casi limi­tarsi a pren­dere le difese delle ragioni degli abi­tanti quanto, al con­tra­rio, con­dan­narli a rango di raz­zi­sti. 

È l’esplosione di un sen­ti­mento che cova pro­fondo per essere stati abban­do­nati, per essere, quelli da loro abi­tati, luo­ghi che ribal­tano alla cro­naca solo per­ché diven­tano sem­pre più spesso disca­ri­che di rifiuti (come a Cor­colle) o di scarti umani (come ancora a Ponte di Nona, e a Tor­pi­gnat­tara) di una città che si rifà il trucco solo nella sua parte più appa­ri­scente (il cen­tro sto­rico), per il resto essendo il pro­prio corpo (la peri­fe­ria) coperto da pustole, pia­ghe e infet­tato da sto­ri­che pesti­lenze.  

E così l’unico rime­dio pos­si­bile per sedare la rivolta è quello di tra­sfe­rire i 36 minori ospiti della Coo­pe­ra­tiva «Un sor­riso» in un’altra parte della città come fos­sero pac­chi ingom­branti, merce peri­co­losa, scarti indu­striali vele­nosi men­tre, con­tem­po­ra­nea­mente, si cele­brano i fasti del pro­getto del nuovo sta­dio della Roma accanto al Tevere (altra pol­ve­riera in attesa di esplo­dere) e dei tre grat­ta­cieli fan­ta­sma a for­mare una nuova altra pic­cola città nella grande città post­mo­derna.  

Per il resto, come assi­cura il que­store, il ter­ri­to­rio verrà pre­si­diato dalle forze dell’ordine cen­ti­me­tro per cen­ti­me­tro. 

Immagine.via Giorgio Morandi.1

Spa­zio blin­dato e pre­si­diato pro­prio come ricor­dava Fou­cault in «Sor­ve­gliare e punire: la nascita della pri­gione» nel quale il filo­sofo fran­cese adotta il para­digma della leb­bra per spie­gare l’esclusione: si tratta di met­tere i leb­brosi fuori dalla città, di creare una netta divi­sione tra il fuori e il den­tro per rin­cor­rere l’ideale della comu­nità pura che costi­tui­sce il modello di quello che Fou­cault chiama la «Grand enfer­me­ment».  

Ricor­dava lo scorso anno Zagre­bel­sky a pro­po­sito della buona poli­tica: se il potere non si dà un fine che lo tra­scende, se le sue leggi non s’identificano con la vita buona dei cit­ta­dini in gene­rale, quale che essa sia, non c’è poli­tica e tanto meno ci può essere demo­cra­zia. 

Nel nostro tempo non c’è una Pòlis — giu­sta città per natura e neces­sità — che a noi toc­chi di rico­no­scere, difen­dere e accre­scere.

Rico­struirla, anche que­sto, è com­pito di una nuova sini­stra che ancora non c’è.

 

 

 

 

 

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