È la fonte di energia che si ricava dal calore interno della terra, senza la quale la Toscana non avrebbe raggiunto al 2020 i target sulle rinnovabili dettati dal decreto Burden sharing (una quota del 16,5% sui consumi finali lordi di energia).
È l’energia geotermica, poco utilizzata in Italia rispetto alle potenzialità.
Eppure il primo impianto venne sperimentato proprio in Toscana, a Larderello, nel 1904.
Ora il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani stima che ci vorranno tre anni per dire basta al gas russo e il presidente della Regione, Eugenio Giani, si fa avanti: “Possiamo dare un contributo a tutto il Paese, ma occorre migliorare la situazione sul Monte Amiata, dove ci sono enormi margini di crescita”.
Ad oggi, in Italia sono installati 944 megawatt, ma producono come 6 gigawatt di fotovoltaico perché, a differenza di eolico e solare, l’erogazione è continua e costante indipendentemente da orari e condizioni meteo.
Su altri aspetti restano i dubbi e le proteste delle comunità interessate a vecchi e nuovi progetti.
Tra dubbi e potenzialità – Riguardano emissioni, sismicità e impatti su salute e territorio.
“Esistono dei rischi per alcuni di questi problemi che, però, possono essere risolti” spiega a ilfattoquotidiano.it Adele Manzella, primo ricercatore al Cnr di Pisa ed ex presidente dell’Unione geotermica italiana, secondo cui “è giusto che i territori sollevino alcune questioni, così da garantire l’utilizzo delle migliori tecnologie”.
Altra cosa “è bloccare totalmente una risorsa naturale e italiana, che non occorre andare a prendere in Russia, Afghanistan o Algeria”.
Per Riccardo Basosi, professore senior di chimica fisica all’Università degli Studi di Siena e delegato per il Ministero dell’Università e della Ricerca nel Comitato direttivo del Piano strategico europeo per le tecnologie energetiche, “vanno analizzati caso per caso costi e benefici”.
E aggiunge: “L’unica energia pulita è quella che non viene consumata, ma questa fonte offre indubbi vantaggi”.
Una decina i progetti in attesa di autorizzazione finale ed altri in pieno iter “per una capacità di generazione elettrica di oltre 700 GWh all’anno, un decimo della quota di nuova energia da rinnovabile da immettere in rete al 2030”.
Stando al potenziale, la quota attuale di produzione elettrica da geotermico potrebbe essere decuplicata.
Le centrali richiedono in genere meno spazio di altri impianti, anche se il loro impatto può variare di molto.
A frenare tutto non solo iter autorizzativi lunghi (tra 4 e 8 anni), ma anche la mancanza di incentivi a fronte di costi iniziali alti.
Come funziona e a cosa serve – Tutto parte dall’energia termica che si accumula nel sottosuolo (la temperatura aumenta in media di 3 gradi ogni 100 metri di profondità) e che può fuoriuscire in superficie attraverso acqua e vapore con processi naturali o artificiali.
Il vapore viene convogliato verso delle turbine che isolano l’energia termica e la convertono in energia meccanica.
Questa viene poi trasformata in energia elettrica.
Il vapore acqueo può essere riutilizzato direttamente per riscaldamento urbano, usi termali, industriali e coltivazione nelle serre.
Per questi impieghi sono sufficienti sistemi a media (tra i 90 e i 150°) o bassa entalpia (sotto i 90 gradi).
Teleriscaldamento, pompe di calore e serre geotermiche sono tecnologie ormai mature.
Per produrre energia elettrica, invece, servirebbero temperature superiori a 150° (sistemi ad alta entalpia) o, comunque, non inferiori a 100-110°.
“Occorre una certa portata dei fluidi – spiega Adele Manzella – e va valutata la profondità a cui bisogna arrivare” per raggiungere i serbatoi.
Più si scava, più ci sono costi da affrontare.
La geotermia in Italia – Tra Lardarello e il Monte Amiata sono gestite da Enel le 34 centrali dislocate nelle tre province di Pisa, Siena e Grosseto.
Una potenza complessiva di oltre 916 MW fornisce oltre il 30% dell’energia necessaria ai toscani.
“Ad oggi l’energia elettrica si produce solo in Toscana – spiega Manzella – ma ci sono progetti, oltre che in questa regione, anche in Lazio, Campania, Sardegna e Sicilia”.
Ma è davvero una fonte rinnovabile, anche con uno sfruttamento intensivo a livello locale?
“Indiscutibilmente – risponde Adele Manzella – perché, anche dopo aver tolto calore, c’è una continua rigenerazione di energia termica”.
Per evitare che un determinato sottosuolo si raffreddi e impieghi anni a riscaldarsi di nuovo si mettono in campo alcuni ‘accorgimenti’.
La dimensione degli impianti deve essere adeguata rispetto a quella dei serbatoi.
“Quelli profondi – spiega l’esperta – lavorano su due o tre pozzi, da cui si estrae a rotazione.
Agli operatori non conviene rischiare che il sottosuolo si raffreddi”.
Tra alta e bassa entalpia, in Italia sono installati oltre 30mila impianti.
Per il teleriscaldamento ce ne sono in Toscana, Emilia Romagna, Veneto e in diverse zone della Padania.
Eppure nel 2021 la percentuale di geotermico sulla generazione da rinnovabili è stata del 4,8%.
Da gennaio a ottobre 2021, la geotermia ha coperto l’1,7% della domanda di elettricità nazionale e nel Pniec si stima si passi dai 6,3 terawattora del 2016 ad appena 7,1 TWh al 2030.
Dietro questi dati, i dubbi sugli impatti.
Gli effetti su salute – Nel 2010, uno studio del Consiglio nazionale delle ricerche aveva rilevato tassi di mortalità maschile più alti del 13% sull’Amiata, rispetto ad altre zone della Toscana.
“Gli operatori sono obbligati a utilizzare una serie di tecnologie perché si rispettino i limiti imposti dalle norme” spiega la ricercatrice.
Negli ultimi anni Enel ha installato i filtri Amis, che riducono notevolmente le emissioni di mercurio e idrogeno solforato, limitando anche il caratteristico odore di uova marce.
Nel 2021 la Regione Toscana ha reso noti i risultati dell’indagine epidemiologica ‘InVetta’: “Non ci sono impatti significativi sulla salute derivanti dall’attività geotermoelettrica”.
Un risultato che non ha convinto i comitati che si battono contro i nuovi progetti.
Le emissioni climalteranti – Ma i sistemi Amis nulla possono contro metano e anidride carbonica.
Nel 2014 uno studio pubblicato sul Journal of Cleaner Production dal professor Basosi e dal ricercatore Mirko Bravi giungeva a conclusione che, senza accorgimenti adeguati, alcune centrali geotermiche potessero emettere quanto quelle a gas.
Basosi invita, però, a non sganciare i dati sulle emissioni da quelli sui vantaggi in termini di produzione di energia, ricordando che “la Toscana fa parte dell’area del centro-Italia con la più bassa impronta di carbonio nella produzione di energia del Paese (isole escluse)”.
Nel 2020, insieme ad altri scienziati delle Università di Siena e Firenze, ha confrontato le ricadute ambientali degli impianti geotermici con quelle delle altri fonti energetiche, analizzando ciclo di vita e diverse categorie di impatto.
La tecnologia eolica è risultata la migliore (0.0012 Eco-point/kWh), seguita da fotovoltaico (0.0087) e geotermico (0.0177) che, però, ha impatti molto inferiori a quelli del mix energetico nazionale (0.1240) nel quale il gas rappresenta oltre il 40%.
“Il problema della CO2 – spiega Adele Manzella – non è legato in generale alla geotermia, ma a determinate aree dove i fluidi del sottosuolo sono molto ricchi di gas”.
Sulla rivista Energies e sul Journal of Volcanology and Geothermal Research sono stati pubblicati tre studi condotti da ricercatori di Università di Pisa, Politecnico di Milano e Università “La Sapienza” di Roma, diretti dal geochimico Alessandro Sbrana dell’Università di Pisa e per le quali Enel “ha messo a disposizione dati e competenze”.
“Non solo le centrali non rilasciano più CO2 di quanta ne rilascerebbe in loro assenza il terreno in cui si trovano – ha dichiarato Sbrana – ma a lungo andare riducono il rilascio di questo gas”.
Per Basosi “anche se in alcuni luoghi le emissioni naturali sono paragonabili a quelle emesse vicino alle centrali, non si può riferire questo fenomeno anche a contesti dove la questione è più discutibile, come sull’Amiata”.
Le nuove frontiere e le proteste – Sul fronte della CO2, la ricerca si sta concentrando soprattutto su “reiniezione nel sottosuolo e cattura e riutilizzo” spiega Manzella.
Finora in Italia è stata utilizzata la tecnologia a ciclo aperto o ‘flash’: le centrali liberano nell’atmosfera i residui gassosi, il fumo che esce dalle torri.
Le concessioni scadono nel 2024 ed Enel Green Power punta a una proroga di 15 anni (con un investimento di 3 miliardi di euro).
Ma oggi si affacciano sul mercato (altrove sono già realtà) le centrali a ciclo chiuso o binario: si impiega un secondo fluido di lavoro, affinché quello geotermico estratto, dopo aver ceduto il proprio calore, venga completamente reiniettato nel sottosuolo senza emissione in atmosfera.
“Credo che questi impianti – spiega Basosi – anche se più costosi, in taglie dell’ordine di 5 MW, siano la soluzione migliore.
A patto che si conducano studi dettagliati sui rischi sismici”.
Il Comune di Abbadia San Salvatore, in Val di Paglia, da sempre contro gli impianti ‘flash’, ha accettato il progetto di Sorgenia per una centrale a ciclo binario da 10 MW, osteggiato però da associazioni e comitati, anche perché “dovrebbe sorgere in prossimità del sito Unesco Parco della Val d’Orcia”.
E poi c’è la Itw Lkw Geotermia Italia, che vuole costruire a Castel Giorgio (Terni) un impianto a ciclo chiuso al centro di polemiche e accuse di conflitti di interesse.
Dopo l’approvazione, i comuni interessati sono ricorsi al Tar.
In seguito alla parziale bocciatura dei giudici amministrativi, la società ha annunciato il ricorso al Consiglio di Stato.
Il rischio sismico – Il punto è che non si può escludere in assoluto che la reiniezione di fluidi (in parte operata anche dalle centrali a ciclo aperto) non porti a fenomeni microsismici.
“Questo rischio – spiega Manzella – riguarda particolari tipi di impianti. In Toscana, dove la geotermia si pratica da tempo, non si sono mai registrate anomalie”.
Alla geotermia sono stati imputati, invece, diversi terremoti avvenuti a Basilea, a nord di San Francisco e a Strasburgo.
Come spiegato da Davide Piccinini, sismologo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Pisa, è accaduto in aree vicine a campi che utilizzano l’Enhanced Gethermal System, tecnologia non utilizzata in Italia che prevede la rottura della roccia “con immissione di fluidi a grande pressione in fondo pozzo”.
Il rischio sismico ha fermato due progetti nell’area dei Campi flegrei, a Napoli e a Ischia, ritirati dopo i rilievi di Giuseppe Mastrolorenzo, ricercatore dell’Ingv e l’intervento dei sindaci.
Nel decreto sulle energie rinnovabili (Fer1) del 2019 gli incentivi non sono stati confermati.
E diversi progetti aspettano il Fer2 e che i venti di guerra soffino in favore della geotermia.
(Articolo di Luisiana Gaita, pubblicato con questo titolo il 4 aprile 2022 sul sito online “Ambiente & Veleni” del quotidiano “Il Fatto Quotidiano”)