Il segretario toscano del PD Dario Parrini ha voluto replicare ad un articolo di Paolo Baldeschi con una lettera riportata oggi su questo stesso sito (https://www.rodolfobosi.it/il-paesaggio-il-dialogo-ha-una-faccia/?preview=true).
Edoardo Salzano è voluto entrare nei temi affrontati nella lettera, con un articolo pubblicato il 15 febbraio 2015 su “Eddyburg” con questo titolo e la seguente premessa: “A proposito dei temi affrontati da segretario toscano del PD nella sua replica a un articolo del nostro opinionista Paolo Baldeschi. Vi si parla di burocrazia e di Alpi Apuane, di paesaggio e di interessi, di coerenza e d’ipocrisia”.
La lettera che il segretario del PD toscano, ha spedito al Corriere fiorentino in replica all’articolo scritto da Paolo Baldeschi per eddyburg, (ripreso il 23 febbraio dal quotidiano fiorentino), ha già avuto una puntuale risposta dal nostro collaboratore su queste pagine.
Esso si presta però a qualche considerazione di carattere più generale sul ruolo che quel partito sta svolgendo in Toscana, e su quello che i diversi attori stanno giocando. Voglio intervenire in proposito con un’osservazione e alcune brevi domande.
L’osservazione.
Afferma Parrini: «Di ogni legge dovremmo sempre tracciare, cosa che spesso non si fa, una Vib, una valutazione di impatto burocratico. Cioè dovremmo continuamente domandarci se i sacrosanti obiettivi che perseguiamo li stiamo perseguendo col minimo costo burocratico indispensabile o col massimo costo burocratico immaginabile. Non so se questo punto di vista sia renziano o meno. Non mi interessa. Basta che sia di buonsenso. E a me sembra lo sia».
Il riferimento del segretario del PD toscano alla burocrazia sembra del tutto allineato con il “senso comune”, e non con il “buonsenso”: per riferirci alla distinzione gramsciana: con la visione del mondo inculcata dall’ideologia dominante, e non dal personale pensiero critico.
Cerchiamo di essere chiari, e di comprendere per che cosa, in un regime democratico, serva la burocrazia.
Essa serve a dare le indispensabili basi tecnica all’azione pubblica, a conoscere prima di decidere, a esprimere la volontà delle decisioni politiche in modo coerente ed efficace, a definire regole certe e chiare, a vigilare sulla loro attuazione e a consentire al potere giudiziario di intervenire quando vengono violate.
Proprio per l’importanza della sua funzione in un regime democratico, nei paesi in cui il “pubblico” funziona (Gran Bretagna, Francia, Germania) la burocrazia pubblica gode della massima considerazione, autorevolezza, prestigio, ed è invece ridotta a un ruolo servile nelle autocrazie
È ovvio che la burocrazia è invece considerata un ostacolo per qualunque operatore economico che anteponga i propri interessi a quelli della collettività.
Così come è un ostacolo per ogni politico, sia esso eletto dal popolo o nominato dal suo boss, che anteponga gli interessi suoi o della sua parte a quelli della collettività e veda quindi nella burocrazia un ostacolo al pieno dispiegamento della sua discrezionalità.
La concezione della burocrazia che Parrini rivela nella sua lettera non è peraltro riducibile al “renzismo”.
Essa discende dall’ideologia globale che si è affermata come dominante nell’ultimo trentennio, e di cui Matteo Renzi esprime (per ora) il coronamento nella provincia italiana.
Si tratta infatti di un’ideologia che ha cominciato ad affermarsi, in Italia ben prima dell’impadronimento da parte di Renzi delle spoglie della vecchia sinistra: dal giorno in cui “destra” e “sinistra” furono concordi nel ritenere che la governabilità sia preferibile alla democrazia e che quest’ultima possa, e a volte debba, essere sacrificata alla prima.
Chi è avvezzo a guardare alla cittá da un punto di vista non meramente “tecnico”, ma tenendo conto delle relazioni di potere, ne ha visto l’inizio nella decisione di far scegliere i segretari comunali direttamente dai sindaci, e nel progressivo trasferimento di poteri dagli organi collegiali (e quindi pluralisti) delle istituzioni a quelli ristretti o di vertice (quindi oligarchici o monocratici).
Il buon Matteo è solo (per ora) l’espressione finale del ciclo apertosi, in Italia quando aveva appena smesso i pantaloncini corti.
Nel caso specifico del Pit toscano c’è da dire solo che Parrini non sembra averlo letto con attenzione.
Il piano non solo non introduce nuovi procedimenti (se non quando i piani comunali dovranno adeguarsi al piano), ma porterà, se approvato con la validazione del ministero, a diverse significative semplificazioni per i cittadini e gli operatori economici.
Il vero obiettivo sono quindi i vincoli, che si vorrebbero abolire.
La domanda.
È vero o non è vero che nella sesta commissione consiliare, i consiglieri del PD (loro, non altri) hanno proposto al Consiglio regionale, come ultimo “emendamento” al piano paesaggistico, l’eliminazione di qualsiasi limitazione dell’attività di escavazione sulle Apuane e più in generale la trasformazione di tutte le “direttive” rivolte agli enti locali in “indirizzi”?
Quest’ultima proposta è del tutto aberrante.
Coincide con la delega piena di cospicui interessi pubblici, collettivi, comuni, all’imperio delle convenienze private.
Ridurre i “comandi” che la Regione trasmette ai comuni in semplici suggerimenti significherebbe annullare l’efficacia del piano.
L’approvazione formale di quella proposta degli esponenti del PD coinciderebbe con la sepoltura della politica di tutela avviata dall’assessore Marson e dal presidente Rossi.
Se le nuove norme della Regione toscana fossero in tal modo stravolte bisognerebbe concludere che solo il velo dell’ipocrisia resterebbe a separare i sedicenti difensori del piano dai suoi più tenaci, e onesti, avversari.