Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente articolo dell’Ing. Donato Cancellara, Responsabile del Circolo Territoriale VAS Vulture-Alto Bradano.
Nella nostra Basilicata, per oltre 4 anni, molti impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile (FER) sono spuntati come “funghi velenosi” senza che fossero recepiti integralmente i criteri previsti dal Decreto Ministeriale 10 settembre 2010 con il quale il Ministero delle Attività Produttive aveva emanato le “Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”.
Il citato DM prevedeva 90 giorni, dalla sua data di entrata in vigore, perché le singole Regioni individuassero le aree idonee per la collocazione degli impianti FER.
Dopo quattro anni, con la L.R. n. 18 del luglio 2014, derivante da uno stravolgimento della proposta di legge iniziale che avrebbe voluto modificare il P.I.E.A.R. (L.R. n.1/2010), tramite un susseguirsi di emendamenti concepiti probabilmente per affossarla, c’è stata un’accelerazione tramite la fissazione del termine di 60 giorni, dalla data di entrata in vigore della norma regionale, per l’individuazione delle aree idonee ad accogliere gli impianti appartenenti alla tanto bistrattata Green Economy.
Già in passato venne evidenziato che, probabilmente, non vi era alcuna volontà di introdurre provvedimenti regionali stringenti per osteggiare la speculazione energetica legata alle FER perché gli stessi si sarebbero scontrati con gli appetiti legati all’incentivazione statale del settore delle FER.
Finalmente, si fa per dire, il 7 luglio scorso viene pubblicata la Delibera di Giunta Regionale n. 903 relativa all’individuazione della aree e dei siti non idonei alla installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Molti si chiederanno: cambierà qualcosa nello scenario della Basilicata in relazione a mega impianti industriali alimentati da fonti rinnovabili?
A nostro avviso trattasi di un provvedimento di “poca” sostanza e che richiama l’attenzione su aree che sono già tutelate dalla normativa nazionale, regionale e dalle Direttive dell’UE.
A poco serve l’aver previsto, tramite un provvedimento ad hoc, dei richiami ad aree già tutelate o già sottoposte a vincoli ope legis.
Le aree e i siti non idonei, individuati dalla D.G.R. n. 903/2015, non comporta un “divieto assoluto”, ha dichiarato l’Assessore regionale all’Ambiente Berlinguer, “ma dopo il nostro provvedimento, in alcune aree prima di andare ad installare impianti, bisognerà rifletterci bene. Basti pensare alle zone in cui ci sia dissesto idrogeologico o dove venga praticata un’agricoltura intensiva; alle aree di particolare interesse naturalistico o storico, alle aree rurali. In tutte queste zone, ben individuate, viene sconsigliato installare quel tipo di impianti”. (cfr. https://www.youtube.com/watch?v=i4tESuD7rao).
Le aree non idonee sono state individuate sulla base di un parziale recepimento delle indicazioni dettate dal D.M. 10 settembre 2010 contemplando anche le aree non idonee già individuate dal PIEAR e per alcuni beni sono stati ampliati i buffer di riferimento.
Non sono idonee le aree interessate da vincoli di tutela del paesaggio, del patrimonio storico, artistico e archeologico; i siti inseriti nel patrimonio mondiale dell’Unesco; le aree protette (parchi e riserve naturali); le aree comprese nella Rete ecologica Natura 2000; le Oasi WWF; le aree interessate dal dissesto idraulico e idrogeologico; le aree agricole interessate da produzioni Doc e le aree agricole a certe precise condizioni.
Ci chiediamo: per individuare tali aree e siti non idonei, c’era bisogno di una Delibera di Giunta Regionale peraltro non vincolante?
Caso mai sarebbe servito un provvedimento regionale per introdurre delle limitazioni nella forma di divieto non assoluto, ma che andassero oltre quanto già previsto dalle normative nazionale ed europee come il D. Lgs. n. 42/2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, la Direttiva 92/42/CEE denominata “Direttiva Habitat” relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, la Direttiva 2009/147/CE ecc.
Pur senza porsi in contrasto con la normativa nazionale ed europea, si nota uno spiraglio in questa direzione per aver previsto, nella DGR n. 903/2015, un ampliamento dei buffer di riferimento per alcuni beni, ma veramente poco è stato fatto per le aree agricole per le quali sono considerate non idonee unicamente quelle in cui sono previste produzioni Doc o sono caratterizzate da elevata capacità d’uso del suolo.
Queste risicate restrizioni in area agricola sono veramente poca cosa a fronte di quanto previsto dal D.M. 10.09.2010 che all’allegato 3 “Criteri per l’individuazione di aree non idonee”, alla lettera f), prevede tra le aree non idonee quelle “agricole interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualità (produzioni biologiche, produzioni Dop, Igp, Stg, Doc, Docg, produzioni tradizionali)”.
A fronte di tale scenario prospettato dal decreto ministeriale sin dal 2010, la Regione Basilicata ha preferito indicare “in punta di piedi” solo le aree agricole in cui sono previste produzioni Doc e le aree ad elevata capacità d’uso del suolo.
Si è preferito usare una frase sibillina con la quale si evidenzia che “non sono state comprese le aree interessate da altre produzioni (D.O.P., I.G.P., S.T.G. ecc.) in quanto non è stato possibile identificare il prodotto con un territorio specifico di produzione”.
Purtroppo, non sono state recepite le richieste inviate dall’Associazione Intercomunale Lucania, dall’A.Mi.C.A. e dal Comune di Palazzo San Gervasio, nell’agosto 2014, al Presidente della Regione Basilicata, agli Assessori regionali, al Presidente del Consiglio regionale e al Presidente della Commissione Ambiente.
Richieste in cui si evidenziava la necessità di inserire, tra le aree non idonee, anche le superfici agricole interessate da produzioni biologiche oltre che le superficie agricole in favore delle quali sono stati erogati aiuti statali o comunitari a sostegno del settore agricolo.
Tra le disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo vi sono indubbiamente gli aiuti comunitari a favore di alcune superfici agricole la cui destinazione, nel rispetto del sostegno comunitario ricevuto, non deve essere diversa da quella agricola (vedi aiuti comunitari tramite la Politica Agricola Comune, c.d. Pac., oggi ancor più attuale con la nuova Pac. 2014-2020).
Il preservare quantomeno i terreni agricoli, oggetti di aiuti comunitari, si pone in linea anche con il progetto agricoltura “Futuro giovane” predisposto dall’Agia-Cia Basilicata che tra le varie proposte prevede quella di impedire che i terreni agricoli, che hanno beneficiato della P.A.C., possano aver una destinazione diversa da quella agricola per almeno dieci anni.
Ritornando alla D.G.R. n. 903/2015 e alle aree agricole non idonee, sicuramente non necessitano alcuna precisazione quelle aree in cui sono previste produzioni Doc, mentre occorre chiarire cosa si intende per aree ad elevata capacità d’uso del suolo.
Un frase che sembra dire tanto, ma in realtà coinvolge una misera superficie agricola dell’intera Basilicata poiché la DGR prevede che tali aree siano quelle individuate dalla 1° Categoria della Carta della capacità d’uso dei suoli a fini agricoli e forestali (vedi immagine).
Carta della capacità d’uso dei suoli a fini agricoli e forestali (I Suoli della Basilicata – 2006).
In base alla Carta regionale della capacità d’uso dei suoli, sono da ritenersi aree non idonee solo quelle colorate in giallo chiaro.
È possibile osservare che la quasi totalità della Regione Basilicata non rientra in questa tipologia.
O meglio, non rientra sulla base dei dati forniti dalla Carta regionale risalente ad un lavoro sui Suoli della Basilicata del 2006 a cui la D.G.R. n. 903/2015 rimanda esplicitamente.
In realtà, i tecnici agronomici che collaborano con la nostra associazione, sono di tutt’altro parere circa la classificazione dei suoli e l’assegnazione della 1° Categoria.
Ci chiediamo: non sarebbe stato opportuno lasciare la classificazione della capacità d’uso dei suoli ad attente e meticolose indagini agronomiche e pedologiche, da richiedere caso per caso, piuttosto che aver la pretesa di apprezzare su larga scala (1:500.000) ciò che invece andrebbe valutato e studiato tramite specifiche indagini in sito?
Al di là di queste osservazioni, la D.G.R. n. 903/2015 precisa che sono aree non idonee, per gli impianti solari termodinamici e fotovoltaici di grande generazione, anche quelle già indicate dal PIEAR cioè quelle aree interessate da terreni destinati a colture intensive e quelle investite da colture di pregio.
Con riferimento ai 226,7 ettari interessati dalla proposta progettuale di una centrale “solare termodinamica”, alle porte di Palazzo San Gervasio, si riscontrano aree agricole interessate da terreni ad elevata fertilità in cui si pratica un’agricoltura intensiva con l’obiettivo di raggiungere il massimo rendimento per ettaro.
Trattasi di un’agricoltura quasi interamente protesa alla commercializzazione di prodotti cerealicoli e orto irrigui di qualità.
Queste precisazioni e tanto altro sono già state attenzionate, tramite apposite perizie, alle Autorità regionali competenti da oltre un anno.
Svariate sono le perplessità sulla citata DGR n. 903/2015, la palla passa ai politici regionali lucani che hanno a cuore la difesa del Territorio, dell’Ambiente, del Paesaggio e della Salute dei cittadini.
Donato Cancellara
Associazione VAS Onlus per il Vulture – Alto Bradano
Associazione Intercomunale Lucania
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