Riceviamo e volentieri pubblichiamo il saggio sull’enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco che ci ha inviato Ermete Ferraro, membro del Consiglio Nazionale di VAS e nuovo Presidente della Rete Campana per la Civiltà del Sole e della Biodiversità: è stato da lui dedicato ad Antonio d’Acunto che aveva a lungo auspicato questo pronunciamento della Chiesa in materia ambientale.
Ermete Ferraro
0 . Premessa
Venti mesi fa pubblicai sul mio blog “Un’ecologia cristiana per un’agape cosmica”. [i]
Già allora, infatti, si parlava dell’intenzione espressa da Papa Francesco, determinato a scrivere un’enciclica sulle questioni ecologiche che, ovviamente, suscitava grandi aspettative in uno come me che, radicato nei valori cristiani e nonviolenti, da oltre trent’anni é impegnato in campo ambientalista ed eco-pacifista.
Lo stimolo a scrivere quell’articolo mi venne soprattutto leggendo – sul sito nazionale di V.A.S. [2] – un interessante scritto del mio amico e maestro Antonio d’Acunto.
La sua fiduciosa attesa per quella lettera papale, espressa da un laico intimamente ‘francescano’ come lui, insieme ad alcune riserve manifestate sull’impostazione tradizionale della Chiesa cattolica in materia, mi indussero allora ad unirmi alla sua speranza e, al tempo stesso, a rispondere anche alle sue perplessità.
Oggi che, finalmente, ho il piacere di avere tra le mani ed apprezzare il testo della splendida enciclica “Laudato sì”[3] purtroppo non posso condividere la mia soddisfazione con questo grande amico, che ci ha lasciati alcuni mesi fa.
Ma poiché sono certo che egli può connettersi con coloro che gli hanno voluto bene e cercano di proseguire sulla strada da lui segnata, mi rivolgerò direttamente ad Antonio, confrontandomi con lui su quanto e come questa lettera di Papa Francesco abbia risposto alle sue aspettative, ma anche ai suoi dubbi.
1. “Comunità Umana” : contrapposta o estranea alla “Natura”?
Caro Antonio, il primo elemento di criticità da te avanzato riguardava il fatto che nei documenti del Magistero della Chiesa il valore della ‘Comunità Umana’ restasse svincolato da quello della Natura e della Biodiversità, a causa di una persistente visione antropocentrica.
Allora ti risposi nel mio articolo: “ … limitarsi a contrapporre una visione “biocentrica” a quella “antropocentrica” riesce solo a radicalizzare il discorso, contrapponendo l’interesse dell’ambiente a quello dell’umanità. Eviterei pertanto di fondare un dialogo su impostazioni estreme tipo “deep ecology” – tanto dirompenti quanto oggettivamente estranee al Cristianesimo – per puntare su un approccio che ho chiamato “teocentrico”: una saggia terza via tra un antropocentrismo miope ed un rozzo biocentrismo.” [4].
Ebbene, mi sembra proprio che la risposta che viene dall’enciclica di Papa Francesco vada in questa direzione, anche se ovviamente è più ampia e soddisfacente.
Uno dei punti qualificanti, più volte da lui ribadito, è proprio il concetto di interconnessione fra le varie sfere riguardanti i comportamenti umani, e quindi tra la violenza sulla natura e quella sull’uomo.
“La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi.” [5].
Egli ci parla quindi dell’“intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta”, esprimendo “la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso.”[6].
La conclusione da trarre è che: “Poiché tutte le creature sono connesse tra loro, di ognuna dev’essere riconosciuto il valore con affetto e ammirazione, e tutti noi esseri creati abbiamo bisogno gli uni degli altri.” [7] .
Mi sembra una posizione molto chiara, che supera la visione rigidamente antropocentrica che ha per troppo tempo portato i Cristiani a sottovalutare la responsabilità ambientale dell’uomo.
Il Pontefice afferma solennemente che: “Queste situazioni provocano i gemiti di sorella terra, che si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo, con un lamento che reclama da noi un’altra rotta”[8].
Direi che ciò risponde alla tua obiezione sul distacco tra il valore attribuito alla ‘comunità umana’ rispetto a quello riconosciuto agli ecosistemi naturali, dal momento che, ribadisce Papa Francesco: “il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi.” [9].
Tu dirai che questo non cancella secoli d’insistenza della Chiesa sulla supremazia dell’uomo, ma un evidente esempio di quella “saggia terza via tra antropocentrismo miope e rozzo biocentrismo”, da me auspicata, sono affermazioni di Papa Francesco come questa:
“… l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra. Secondo la Bibbia, queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato. L’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando di riconoscerci come creature limitate. Questo fatto ha distorto anche la natura del mandato di soggiogare la terra (cfr Gen 1,28) e di coltivarla e custodirla (cfr Gen 2,15). Come risultato, la relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è trasformato in un conflitto (cfr Gen 3,17-19).” [10]
Caro Antonio, è evidente che l’enciclica “Laudato sì”- pur restando sul solco del Magistero e quindi dell’insegnamento in materia ambientale degli ultimi tre papi – va ben oltre, riconoscendo esplicitamente errori e limiti di una visione antropocentrica:
”Anche se è vero che qualche volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature. Questa responsabilità di fronte ad una terra che è di Dio, implica che l’essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo […] Oggi la Chiesa non dice in maniera semplicistica che le altre creature sono completamente subordinate al bene dell’essere umano, come se non avessero un valore in sé stesse e noi potessimo disporne a piacimento. […] Il Catechismo pone in discussione in modo molto diretto e insistito quello che sarebbe un antropocentrismo deviato: « Ogni creatura ha la sua propria bontà e la sua propria perfezione […] Le varie creature, volute nel loro proprio essere, riflettono, ognuna a suo modo, un raggio dell’infinita sapienza e bontà di Dio. Per questo l’uomo deve rispettare la bontà propria di ogni creatura, per evitare un uso disordinato delle cose ».[11]
2. ‘Solidarietà’ cristiana solo per l’umanità?
Caro Antonio, nel tuo articolo di quasi due anni fa, pur apprezzando che nei più recenti documenti della Chiesa si facesse riferimento al concetto di bene comune ed al principio di solidarietà, obiettavi però che ci si riferiva solo alla “persona umana”, senza abbracciare in questo spirito di fraternità tutte le altre creature viventi, seguendo l’esempio del Santo d’Assisi che tu tanto amavi.
Ma anche su questo punto l’enciclica di Papa Francesco mi sembra molto esplicita:
“Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale. […] Si avverte una crescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura, e matura una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta. […] oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri…” [xii]
Continuo a pensare che concetti come ‘bene comune’ o ‘comunità’, nel magistero della Chiesa non possono non riferirsi in senso stretto all’umanità che, posta dal Signore come ‘custode’ di ciò che Egli aveva già creato, ha indubbiamente un prioritario dovere di solidarietà nei confronti dei propri simili.
Mi sembra peraltro del tutto naturale, nella misura in cui risponde al connaturato richiamo al bene comune della propria specie.
Ma questo non significa affatto che solidarietà e fraternità siano concetti ascrivibili solo alla sfera degli esseri umani, alle persone, poiché un pilastro del messaggio cristiano è proprio una visione ‘creaturale’, che ci pone tutti nella posizione di figli di un unico Padre nostro.
È pur vero che la storia della Chiesa dimostrato che non fosse affatto scontato che in quell’aggettivo ‘nostro’ fossero inserite anche le creature non-umane, considerate a lungo estranee a questa comune appartenenza-fratellanza.
Francesco d’Assisi ha però segnato un traguardo fondamentale in questa riscoperta della solidarietà tra specie, nel nome del Padre comune che ci fa sentire tutti ‘frati’ e ‘sore’.
Già dai primi secoli della Chiesa, del resto, c’erano stati esempi in tal senso, come quello di San Basilio Magno, vescovo e dottore, vissuto tra il 330 ed il 379 d.C., di cui è nota e spesso citata la c.d. “preghiera per gli animali”:
«Signore e salvatore del mondo, noi ti preghiamo anche per gli animali, che umilmente portano con noi il peso e il calore del giorno e offrono le loro semplici vite, aiutandoci a vivere bene. Noi ti preghiamo anche per le creature selvagge, che tu hai creato sapienti, forti, belle. Ti preghiamo per tutte le creature, anche quelle che non sono intelligenti, perché esse hanno una loro missione, sebbene noi siamo incapaci di riconoscerla. E supplichiamo la tua grande tenerezza, perché tu hai promesso di salvare insieme l’uomo e gli animali (cfr. Salmi, 36, 7) e hai concesso a tutti il tuo amore infinito» [xiii]
Ecco, il concetto centrale mi sembra proprio quello della ‘salvezza’, di cui non possono considerarsi unici destinatari gli uomini, che viceversa sono stati protagonisti d’innumerevoli e continue violenze ai danni di quel Creato di cui avrebbero dovuto essere custodi amorevoli.
“Queste situazioni provocano i gemiti di sorella terra, che si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo, con un lamento che reclama da noi un’altra rotta. Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli. Siamo invece chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza. […] Si rende indispensabile creare un sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia.” [xiv]
Il richiamo di san Basilio all’Antico Testamento – ed in particolare ai Salmi – ci riporta ad una fonte inesauribile di riferimenti per un’eco-teologia, come ho cercato di mostrare in un mio vecchio saggio. [xv]
Ma ci sono anche bellissimi passi dell’enciclica ‘Laudato sì’ che meritano di essere citati a tal proposito e che ci riportano ad una visione autenticamente francescana della relazione fraterna tra l’uomo e gli altri animali:
“Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea…” [xvi]
Papa Francesco è molto chiaro su questo punto.
Gli altri esseri viventi non dipendono dall’uomo né tanto meno sono funzionali all’uomo, poiché hanno un loro senso e valore autonomo e nessuno ci autorizza ad assoggettarli alle nostre esigenze per sfruttarli come pure risorse.
“Sarebbe però anche sbagliato pensare che gli altri esseri viventi debbano essere considerati come meri oggetti sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano. Quando si propone una visione della natura unicamente come oggetto di profitto e di interesse, ciò comporta anche gravi conseguenze per la società” [xvii] .
Più avanti, il pensiero del Papa sulla relazione uomo-animali non umani è ancora più esplicito: “D’altra parte, quando il cuore è veramente aperto a una comunione universale, niente e nessuno è escluso da tale fraternità. Di conseguenza, è vero anche che l’indifferenza o la crudeltà verso le altre creature di questo mondo finiscono sempre per trasferirsi in qualche modo al trattamento che riserviamo agli altri esseri umani. Il cuore è uno solo e la stessa miseria che porta a maltrattare un animale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre persone. Ogni maltrattamento verso qualsiasi creatura « è contrario alla dignità umana.” [xviii]
3. Distacco verso il mondo naturale e mancanza di ‘amore’ per la biodiversità?
Su questo terzo punto, caro Antonio, hai molto insistito.
Il titolo stesso del tuo articolo era un richiamo affinché la Chiesa si pronunciasse in modo meno vago, affermando con chiarezza che un cristiano non può limitarsi ad un generico rispetto per l’ambiente.
“Amare e salvare il Creato” era la formula che tu suggerivi e che oggi io vedo effettivamente rispecchiata nell’enciclica di Papa Francesco.
Non c’è dubbio, del resto, che sia difficile parlare di amore laddove esso non sia gratuito ma interessato.
L’uomo che salva l’ambiente solo per garantire la sopravvivenza a sé ed ai suoi figli è sicuramente saggio, ma non certo esempio di quell’amore autentico e cosmico che dovrebbe caratterizzare un credente.[xix]
Amare le altre creature in sé e per sé – non nella misura in cui sono utili all’umanità – era ciò che anche tu ritenevi essenziale perché si potesse parlare di una vera ecologia cristiana.
Ma, come già allora replicavo: “Se le Chiese non hanno saputo (e in parte non sanno ancora) esprimere con sufficiente energia e convinzione una netta condanna morale verso chi aggredisce, depreda, mette a rischio e sfrutta senza limiti la Madre Terra, la colpa non è delle Sacre Scritture né dell’assenza di una dottrina etica sulla responsabilità ambientale dell’umanità. A prescindere dall’illuminato Magistero di tanti Pontefici (da Giovanni XXIII a Paolo VI; da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI), ricordo che c’è comunque un ben preciso articolo del Catechismo della Chiesa Cattolica che è dedicato al “rispetto dell’integrità della Creazione”. [xx]
Credo che il testo di “Laudato sì” dia una risposta soddisfacente all’esigenza che manifestavi, perché l’intero Creato è rappresentato come uno dei modi in cui Dio ci comunica il suo amore la sua vicinanza:
“Insistere nel dire che l’essere umano è immagine di Dio non dovrebbe farci dimenticare che ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua. Tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio” [xxi]
Poco più avanti, all’inizio della terza parte dell’enciclica – intitolata “Il mistero dell’universo” – ci troviamo di fronte ad un’altra bellissima affermazione di Papa Francesco:
“Per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale.” [xxii]
Nel magistero della Chiesa, quindi, non c’è mai stato un distacco verso il mondo naturale, semmai insistenza su un rapporto disuguale.
Secondo una lettura parziale e strumentale delle Sacre Scritture, infatti, esso è stato a lungo considerato il terreno sul quale l’umanità poteva esercitare il proprio ‘dominio’.
Ma coltivare (ebr.: šâmar) e custodire (ebr.:‘avad) sono i termini biblici più adatti per indicare questo rapporto in cui non c’è dominanza ma cura, attenzione, rispetto.
Lo stesso termine custodia potrebbe suggerire estraneità rispetto a qualcosa che ci è stato affidato, ma la natura non è altro da noi, perché ne facciamo parte, per cui non le siamo ‘sopra’ o ‘accanto’, bensì ‘dentro’.[xxiii]
Ecco perché, Antonio, questa enciclica fa molto bene a parlare fin dal titolo di “cura della casa comune”, ma anche a chiarire che la Terra non è una realtà avulsa da quella di chi vi abita, visto che tutto fa parte di un’unica creazione, che ha una sua coerenza e che risponde solo al Creatore, non certo alle esigenze dell’uomo.
Una delle leggi del Creato è proprio quella della biodiversità, la cui salvaguardia, caro Antonio, è stato fino all’ultimo un elemento centrale del tuo impegno ecologista.
“Anche le risorse della terra vengono depredate a causa di modi di intendere l’economia e l’attività commerciale e produttiva troppo legati al risultato immediato. La perdita di foreste e boschi implica allo stesso tempo la perdita di specie che potrebbero costituire nel futuro risorse estremamente importanti, non solo per l’alimentazione, ma anche per la cura di malattie e per molteplici servizi. […] Ma non basta pensare alle diverse specie solo come eventuali “risorse” sfruttabili, dimenticando che hanno un valore in sé stesse. Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre. La stragrande maggioranza si estingue per ragioni che hanno a che fare con qualche attività umana. Per causa nostra, migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio. Non ne abbiamo il diritto.” [xxiv]
Papa Francesco non ricorre a giri di parole.
Dichiara semplicemente ed esplicitamente che non abbiamo alcun diritto di saccheggiare la natura in nome del nostro utile, dal momento che gli esseri viventi non sono mere risorse da sfruttare, bensì realtà da rispettare ed amare fraternamente.
4. Aggredire la natura è un peccato da condannare?
Mancando un esplicito “comandamento dell’amore” verso la Natura e la diversità biologica, argomentavi, le Chiese non riescono a condannare moralmente chi le aggredisce, in nome d’un modello di sviluppo basato sullo ‘sfruttamento’ delle risorse.
Ebbene, il passo appena citato dell’enciclica – riprendendo il Magistero dei precedenti pontefici – mi sembra invece dimostrare che proprio l’attuale modello di sviluppo è individuato come causa sia delle ingiustizie socio-economiche, sia del degrado ambientale e della crescente minaccia alla biodiversità.
Basta guardarsi intorno, scrive papa Francesco, per rendersi conto di quanto devastante sia stato l’impatto umano sull’ambiente:
“Osservando il mondo notiamo che questo livello di intervento umano, spesso al servizio della finanza e del consumismo, in realtà fa sì che la terra in cui viviamo diventi meno ricca e bella, sempre più limitata e grigia, mentre contemporaneamente lo sviluppo della tecnologia e delle offerte di consumo continua ad avanzare senza limiti. In questo modo, sembra che ci illudiamo di poter sostituire una bellezza irripetibile e non recuperabile con un’altra creata da noi.” [xxv]
Il problema di fondo – fin da quando Adàm decise d’infrangere il suo rapporto di comunione con Adamàh (in ebr., la Terra) e col suo stesso Creatore – resta quello della ybris dell’uomo, che vuol mettersi al posto di Dio per plasmare la Terra a propria immagine e somiglianza.
La ‘grande bellezza’ del Creato non gli basta più, per cui decide di sostituirla, di replicarla o comunque di manipolarne la realtà, per affermare il proprio dominio.
Ma anche quando una crescente e diffusa sensibilità ambientale ha di fatto costretto l’umanità a confrontarsi con gli effetti negativi prodotti da questa pretesa di dominio, la sua preoccupazione troppo spesso si è limitata a valutare le conseguenze di questo comportamento irresponsabile e predatorio sulla propria stessa salute e sopravvivenza, invece di prendere atto del danno provocato agli equilibri ecologici ed alla diversità biologica.
A tal proposito scrive Papa Francesco:
“Quando si analizza l’impatto ambientale di qualche iniziativa economica , si è soliti considerare gli effetti sul suolo, sull’acqua e sull’aria, ma non sempre si include uno studio attento dell’impatto sulla biodiversità, come se la perdita di alcune specie o di gruppi animali o vegetali fosse qualcosa di poco rilevante. La cura degli ecosistemi richiede uno sguardo che vada aldilà dell’immediato, perché quando si cerca solo un profitto economico rapido e facile, a nessuno interessa veramente la loro preservazione.[…] Neppure la sostituzione della flora selvatica con aree piantate a bosco, che generalmente sono monocolture, è solitamente oggetto di un’adeguata analisi. In realtà essa può colpire gravemente una biodiversità che non è albergata dalle nuove specie che si piantano. Anche le zone umide, che vengono trasformate in terreno agricolo, perdono l’enorme biodiversità che ospitavano.” [xxvi]
Non è certo la prima volta che un documento del Magistero delle Chiese cristiane si sofferma su questi aspetti, ma trovo molto apprezzabile la limpida affermazione – scientifica oltre che etica – di un oggettivo diritto della natura al rispetto dei propri equilibri, cui si contrappone la netta condanna dell’indifferenza e dell’utilitarismo dell’uomo nei confronti di ‘sorella Terra’.
Il fatto è, caro Antonio, che mentre la Chiesa ha raggiunto una piena consapevolezza della gravità di comportamenti anti-ecologici, il problema più difficile da superare è il ridotto livello di consapevolezza della comunità dei credenti.
In seguito a quella che il Papa chiama “globalizzazione dell’indifferenza”, essa subisce sempre più l’influenza negativa del pensiero unico laicista-liberista, improntato al primato dell’economia e ad una visione dell’Uomo che si pone al là del bene e del male, ritenendosi svincolato da qualsiasi norma etica e perfino dalle leggi naturali.
Non è quindi la Chiesa – pur con innegabili contraddizioni ed errori – ad impedire una crescita della coscienza ecologica e della sua stretta connessione con l’impegno per la giustizia sociale, bensì una diffusa visione materialista, scientista ed utilitarista che ha ben altre origini.
Papi, vescovi e semplici pastori, ad esempio, parlano ormai da mezzo secolo di un profondo rapporto tra “Giustizia, Pace ed Integrità del Creato”.
Viceversa, non è certo un caso che gli stessi che propugnano un modello di sviluppo che crea ingiustizie e provoca conflitti, anche bellici, siano strenuamente contrari ad un’autentica visione ecologica, che non si esaurisce certo in certo pseudo-ambientalismo superficiale e colpevolmente disattento alle cause strutturali dei guasti ambientali.
La Chiesa cattolica, con Papa Francesco, va ben oltre quando afferma che la battaglia verso chi degrada l’ambiente va di pari passo con quella nei confronti di chi sfrutta ed impoverisce l’uomo:
“Poiché tutte le creature sono connesse tra loro, di ognuna dev’essere riconosciuto il valore con affetto e ammirazione, e tutti noi esseri creati abbiamo bisogno gli uni degli altri. […] L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale. Di fatto, il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta […] Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri.” [xxvii]
5 . Va condannata l’insostenibilità socio-ambientale del falso sviluppo ?
Caro Antonio, la tua quinta ed ultima obiezione riguardava l’assenza di un’esplicita condanna da parte della Chiesa cattolica dell’attuale modello di sviluppo.
Pur criticando giustamente il sistema economico, sostenevi, essa non giunge ancora ad affermare “… l’incoerenza dello sviluppo in sé – per definizione illimitato – rispetto a risorse finite, che è il cardine della insostenibilità del modello antropocentro-liberal-capitalistico…” [xxviii].
Ebbene, dell’ambiguità del concetto stesso di ‘sostenibilità ambientale’ ho già scritto in un mio recente articolo [xxix], per cui evito di ripetermi.
Vorrei invece ribadire, anche alla luce dell’enciclica ‘Laudato sì’, che mi sembra difficilmente ascrivile al pensiero cattolico la diffusione di una visione dello sviluppo così devastante ed iniqua.
Come scrivevo già due anni fa, ritengo piuttosto che essa rappresenti il frutto avvelenato di una “cultura umanistico –illuminista, che si affida ciecamente alla ragione umana ed alla capacità della scienza e della tecnologia di ovviare ai guasti che la stessa umanità provoca quando si contrappone alla Natura, anziché assecondarla […] Lo stesso marxismo, pur esercitando una critica spietata d’un sistema economico basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, non ha sufficientemente contrastato la concezione di dominio dell’umanità sulla natura né la pretesa che lo sviluppo fosse illimitato” [xxx]
Non basta quindi superare il vecchio antropocentrismo (erroneamente attribuito alla tradizione giudaico-cristiana), se non si va oltre la sua versione laica, non meno pervasiva, per riscoprire i nostri legami con la Terra e rinsaldare quelli con i nostri fratelli. Citando ancora Papa Francesco:
“Bisogna rafforzare la consapevolezza che siamo una sola famiglia umana. Non ci sono frontiere e barriere politiche o sociali che ci permettano di isolarci, e per ciò stesso non c’è nemmeno spazio per la globalizzazione dell’indifferenza…Queste situazioni provocano i gemiti di sorella terra, che si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo, con un lamento che reclama da noi un’altra rotta. Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli. Siamo invece chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo progetto di pace, bellezza e pienezza.” [xxxi]
È difficile esprimere meglio di così questo concetto fondamentale, da cui emerge l’indissolubile legame fra l’impegno per la giustizia e la pace e quello per la salvaguardia dell’integrità ecologica.
Né si tratta di condanne generiche.
Il S. Padre chiama le cose col loro nome, spiegando come la speculazione finanziaria ed il disprezzo per la dignità delle persone procedano parallelamente ai guasti ambientali ed all’insorgere di sempre nuovi e più gravi conflitti armati.
“Nel frattempo i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente. Così si manifesta che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi. È prevedibile che, di fronte all’esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni. La guerra causa sempre gravi danni all’ambiente e alla ricchezza culturale dei popoli, e i rischi diventano enormi quando si pensa alle armi nucleari e a quelle biologiche.” [xxxii]
Per cambiare rotta, lo dicevi anche tu caro Antonio, non basta rivendicare diritti o fare battaglie civili e politiche, se non si punta a cambiare radicalmente la mentalità corrente, contrastando il pensiero unico che fa dipendere tutto dalla tecnologia.
Essa, infatti, è spesso riconosciuta come la causa di tanti guasti ambientali, ma al tempo stesso è ancora fideisticamente considerata il rimedio infallibile ed universale ad ogni male.
In tal senso, argomenta il Papa, un pensiero ecologico deve uscire da quegli schemi riduttivi e promuovere una cultura alternativa:
“La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico. Diversamente, anche le migliori iniziative ecologiste possono finire rinchiuse nella stessa logica globalizzata. Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale.” [xxxiii]
Penso che anche tu saresti d’accordo con questa riflessione e credo che forse concorderesti anche con quella successiva, secondo la quale non esiste vera ecologia senza una vera antropologia.
“Un antropocentrismo deviato non deve necessariamente cedere il passo a un “biocentrismo”, perché ciò implicherebbe introdurre un nuovo squilibrio, che non solo non risolverà i problemi, bensì ne aggiungerà altri. Non si può esigere da parte dell’essere umano un impegno verso il mondo, se non si riconoscono e non si valorizzano al tempo stesso le sue peculiari capacità di conoscenza, volontà, libertà e responsabilità.” [xxxiv]
Anche un laico come te, infatti, sa benissimo che la soluzione alla tragedia ambientale che incombe su di noi non risiede in un atteggiamento sprezzante verso l’uomo, puntando esclusivamente a salvaguardare il suo ambiente naturale.
Tu stesso hai parlato in termini di relazione di amore, di comunione, per cui un’ecologia senza l’uomo sarebbe una contraddizione.
Del resto, nessuno più di te, impegnato per decenni a difendere i diritti e la creatività delle persone umane, conosceva il saldo legame che ci lega al territorio e ci collega in una rete di relazioni ecologiche, sintetizzata nella spirale della biodiversità che hai voluto come simbolo della Civiltà del Sole.
“…, quando si parla di biodiversità, al massimo la si pensa come una riserva di risorse economiche che potrebbe essere sfruttata, ma non si considerano seriamente il valore reale delle cose, il loro significato per le persone e le culture, gli interessi e le necessità dei poveri.” [xxxv]
Ma la biodiversità, come la cultura e lo stesso valore delle persone, non sono risorse da sfruttare ma valori da difendere.
Ecco il senso della tua e nostra battaglia per affermare quella “civiltà del sole” che hai mirabilmente rappresentato in un tuo articolo di cinque anni fa:
“Nella Civiltà del Solare, la città respira come da natura e cresce la bellezza della sua immagine: scompaiono gli orrendi, rischiosi e malsani scenari di raffinerie, depositi di combustibile, megalitici impianti, ed i tetti da semplici e spesso orride coperture diventano luoghi verdi, rigeneratori di ossigeno, fonti energetiche. La campagna e l’agricoltura ritrovano l’identità perduta, generatrice e non distruttrice di risorse. Cambiano urbanistica ed architettura del nuovo: casa, fabbrica e luoghi sociali sono progettati e costruiti per essere energeticamente autosufficienti. Contro gli sprechi cambiano i materiali e le tecnologie impiegate. Cambiano la mobilità ed il trasporto, privato e pubblico, riformulati sul solare e sulle sue derivazioni. Crescono, con la specifica tecnologia, la capacità rigenerativa di materia, il ricircolo, la sinergia e la simbiosi anche funzionali con la depurazione delle acque. Un’identità nuova del lavoro e della sua funzione sociale e collettiva trova nella rivoluzione del solare una grande centralità, un fondamentale riferimento per un immanentismo filosofico, ideale, progettuale anche di nuova formulazione economica. L’intera economia si libera dai vincoli della dipendenza e del ricatto del mercato del combustibile e delle fonti energetiche, e lo scambio internazionale si attiva non sui vincoli della ‘bilancia commerciale’ e sulla speculazione monetaria ma sull’interesse reciproco e solidale. Le comunità locali, anche in identità semplici e familiari, diventano i fattori delle scelte, delle capacità di acquisire quella giusta energia sufficiente per le proprie necessità, di scambiarsela a ‘bassa tensione’ per non restarne mai prive con le altre vicine in una rete di comune, reciproco interesse. A regime, ai cittadini, alle famiglie, alle aggregazioni sociali e collettive, alle scuole, agli ospedali, ai luoghi di produzione e lavoro, arrivano ‘bollette’ dell’energia dove il costo del combustibile è sempre zero, perché è la Natura che lo dona a tutti ….” [xxxvi]
Penso proprio che il tuo meraviglioso affresco laico di una civiltà alternativa, caro Antonio, si coniughi bene con l’immagine d’insieme che otteniamo congiungendo i punti fondamentali dell’enciclica di Papa Francesco sulla “cura della casa comune”. Il che dimostra che è possibile ed auspicabile un dialogo del mondo ecologista con chi, con lui, è convinto che bisogna assolutamente cambiare direzione, prima che sia troppo tardi. Concludo perciò con un’ultima, significativa citazione da quell’eccezionale documento:
“Se la politica non è capace di rompere una logica perversa, e resta inglobata in discorsi inconsistenti, continueremo a non affrontare i grandi problemi dell’umanità. Una strategia di cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non basta inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale. Una politica sana dovrebbe essere capace di assumere questa sfida.” [xxxvii]
Caro Antonio, tu quella sfida l’hai raccolta e ci hai coinvolti in questa grande esperienza di movimento ecologico nato dal basso ma che guarda molto in alto. Ora tocca a noi andare avanti su quella strada, perché siamo convinti che prenderci cura della “casa comune” è una questione che ci coinvolge tutti e a tutti i livelli.
NOTE :—————————————————————————————————–
[i] Ermete Ferraro (2013) UN’ECOLOGIA CRISTIANA PER UN’AGAPE COSMICA , https://ermeteferraro.wordpress.com/2013/10/21/unecologia-cristiana-per-unagape-cosmica/ .
[2] Antonio D’Acunto (2013), PAPA FRANCESCO E L’ATTESA PER UNA NUOVA ENCLICLICA: ‘AMARE E SALVARE IL CREATO”, pubblicato il 14.10.2013 sul sito nazionale di V.A.S. (www.vasonlus.it )
[3] Papa Francesco (2015), Lettera enciclica LAUDATO SI’ sulla cura della casa comune > http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html
[4] Ferraro 2013, cit.
[5] Papa Francesco, LAUDATO SI’, cit., n.2
[6] Ivi, n. 16
[7] Ivi, n. 42
[8] Ivi, n. 53
[9] Ivi, n. 56
[10] Ivi, n. 66
[11] Ivi, nn .67-69
[xii] Ivi, nn. 14…19…49
[xiii] La preghiera è riportata nell’articolo: Franca Zambonini, “Diversamente giovani”, in: Famiglia Cristiana, 14.10.2007, p. 14
[xiv] LAUDATO SI’, cit., n. 53
[xv] Ermete Ferraro (2009), IL SALMO DEL CREATO, dalla preghiera di lode alla riflessione sulla relazione Uomo-Creatore, pp.20, pubblicato online su: “Filosofia ambientale” > http://wds.bologna.enea.it/articoli/09-03-ferraro-il%20salmo%20del%20creato.pdf
[xvi] Ivi, n. 11
[xvii] Ivi, n. 82
[xviii] Ivi, n. 92
[xix] Ermete Ferraro (2007) , ADAM-ADAMAH: UN’AGAPE COSMICA, lettura eco-teologica dell’Inno alla Carità (I Cor, 13) , pubbl. nel 2008 > http://wds.bologna.enea.it/articoli/08-01-10-ferraro-agape-cosmica.pdf
[xx] Ferraro 2013, cit.
[xxi] LAUDATO SI’, cit., n. 84
[xxii] Ivi, n. 76
[xxiii] Cfr.: “LA TERRA COME UN GIARDINO”, in. Mosaico di Pace, http://www.mosaicodipace.it/mosaico/a/39498.html
[xxiv] LAUDATO SI’, cit., nn. 32…33
[xxv] Ivi, n. 34
[xxvi] Ivi, nn. 35…36…39
[xxvii] Ivi , nn. 42…48…49
[xxviii] D’Acunto 2013, cit.
[xxix] Ermete Ferraro (2015), L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLA SOSTENIBILITA’, https://ermeteferraro.wordpress.com/2015/05/03/linsostenibile-leggerezza-della-sostenibilita/
[xxx] Ferraro 2013, cit.
[xxxi] LAUDATO SI’, cit., nn. 52-53
[xxxii] Ivi, nn. 56-57
[xxxiii] Ivi, n. 111
[xxxiv] Ivi, n.118
[xxxv] Ivi, n.190
[xxxvi] Antonio D’Acunto (2010), LA CIVILTA’ DEL SOLE, http://www.terraacquaariafuoco.it/index.php/la-civilta-del-sole/24-la-civilta-del-sole
[xxxvii] LAUDATO SI’, N. 197
——————————————-
(C) 2015 Ermete Ferraro (http:/ermeteferraro.wordpress.com )