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Rodolfo Bosi
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Home Archivi

Ecco dove scoppieranno le prossime guerre per l’acqua

21/07/2017
in Archivi, Governo del territorio, Natura, News, Piani territoriali
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Nel mondo sono in fase di progettazione o costruzione più di 1.400 nuove dighe o deviazione di corsi d’acqua e molte di queste gigantesche opere riguardano fiumi che scorrono attraverso più Stati, alimentando le potenzialità di gravi conflitti per l’acqua tra alcuni Paesi.

Il nuovo studio “Assessment of transboundary river basins for potential hydro-political tensions”, pubblicato su Global Environmental Change da un team di ricercatori spagnoli dell’Universidad Complutense de Madrid e del Water Observatory della Botín Foundation, statunitensi dell’Oregon State University e cileni del Centro de Estudios Avanzados en Zonas Áridas, utilizza un insieme di fattori sociali, economici, politici e ambientali per individuare le aree di tutto il mondo più a rischio di guerre “idro-politiche”.

Questo studio su bacini fluviali e conflitti fa parte del Transboundary waters assessment program dell’Onu e i ricercatori hanno realizzato un analisi globale commissionata loro dalla Economic commission for Europe dell’Onu come indicatore degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per la cooperazione in materia di acque.

Dallo studio emerge che, nei prossimi 15-30 anni, i rischi di conflitti sono proiettati a crescere in quattro hotspot regionali: Medio Oriente, Asia centrale, bacino Ganges-Brahmaputra-Meghna e i bacini dell’Orange e del Limpopo nell’Africa australe. Inoltre, il Nilo in Africa, gran parte dell’Asia meridionale, i Balcani nell’Europa sudorientale e Sud America settentrionale sono tutte aree nelle quali sono in costruzione nuove dighe e dove i Paesi limitrofi affrontano una crescente richiesta di acqua, dove mancano trattati applicabili o, peggio, non è stata ancora discussa la questione.

Uno degli autori dello studio, Eric Sproles, del College of Earth, ocean, and atmospheric sciences dell’Oregon State University, sottolinea che «se due Paesi hanno già concordato il flusso e la distribuzione dell’acqua quando c’è una diga a monte, non esiste in genere un conflitto, Questo è il caso del bacino del fiume Columbia tra gli Stati Uniti e il Canada, il cui trattato è riconosciuto come uno degli accordi più resilienti e avanzati al mondo.

Purtroppo, questo non è il caso di molti altri sistemi fluviali, nei quali vengono attivati diversi fattori, tra cui il forte nazionalismo, il contenzioso politico e la siccità o il cambiamento delle condizioni climatiche».

I ricercatori fanno notare che «il conflitto per l’acqua non è limitato al consumo umano. C’è una minaccia globale per la biodiversità in molti dei sistemi fluviali del mondo e il rischio di estinzione delle specie è moderato a molto alto nel 70% dell’area dei bacini fluviali transfrontalieri».

È il continente più popoloso, l’Asia, ad avere il maggior numero di dighe proposte o in costruzione su bacini transfrontalieri: 807, seguono l’America del Sud con 354; l’Europa con 148; l’Africa con 99; l’America del Nord con 8.

Ma lo studio avverte che «l’Africa ha un livello più elevato di tensione idro-politica, con fattori più aggravati». I ricercatori fanno l’esempio dei bacini del Nilo, una delle aree geopoliticamente più calde e controverse del mondo, e dell’Awash, dove l’Etiopia sta costruendo sui suoi altipiani diverse dighe sugli affluenti che toglieranno acqua ai Paesi a valle, compreso a una potenza regionale pericolosa e assetata come l’Egitto.

«A contribuire alla tensione sono la siccità e una popolazione crescente più dipendente da una fonte d’acqua che può diminuire», dicono con preoccupazione gli esperti.

I rischi di guerre per l’acqua sono molto elevate anche a causa delle dighe in costruzione o progettate nell’Asia meridionale e del sud-est, in particolare nel sub-continente indiano e in Indocina.

Oltre all’India e al Pakistan che si disputano le acque dell’Indo, un conflitto potrebbe scoppiare tra Cina e Vietnam per l’utilizzo dei fiumi Bei e Xi e tra il Myanmar e i Paesi vicino a causa della costruzione di dighe sugli affluenti dell’Irrawaddy.

Sembra invece molto più tranquilla la situazione lungo l’Amur, il fiume di confine tra Cina e Russia che era un fronte caldissimo ai tempi dell’Unione Sovietica e della Cina maoista.»

Sproles aggiunge: «Quando osservi una regione, la prima cosa che cerchi di identificare è se ci sia un trattato e, in caso affermativo, se sia uno che funziona per tutte le parti e se sia abbastanza flessibile da resistere al cambiamento.

È facile pianificare l’acqua se è la stessa ogni anno, a volte anche quando il suo livello è basso.

Ma quando le condizioni variano – e la siccità è un fattore chiave – la tensione tende ad aumentare ed è più probabile che avvenga un conflitto».

Lo studio dimostra che, oltre alla variabilità ambientale e alla mancanza di trattati, altri fattori che portano alle guerre per l’acqua comprendono l’instabilità politica ed economica e i conflitti armati.

Sproles conclude: «Una ragione per cui il trattato Columbia River Basin tra Stati Uniti e Canada ha funzionato bene è la relativa stabilità idrica.

Al contrario, i modelli climatici suggeriscono che il bacino del fiume Orinoco nel Brasile settentrionale e il bacino dell’Amazzonia nel Sudamerica superiore possano affrontare condizioni più secche, che potrebbero portare a più conflitti».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 19 luglio 2017 sul sito online “greenreport.it”)

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