Dalla camera della morte alla stanza della vita.
Quattro decadi dopo la chiusura della tonnara di Favignana, passati dodici anni dall’ultima “mattanza”, là dove venivano uccisi e lavorati fino a 10mila tonni rossi a stagione oggi si salvano le delicate tartarughe marine.
Accade in una piccola aula dell’ex stabilimento di tonni Florio, ora trasformato in museo industriale, dove in cinque grandi vasche del Centro di recupero tartarughe di Favignana in quella che un tempo era una semplice cucina ora nuotano le caretta caretta in riabilitazione.
Sono tutte ferite, recuperate in acque siciliane, ad alcune manca una pinna, altre stavano soffocando strozzate dalle lenze o dalla troppa plastica ingerita.
“È significativo – dice Salvatore Livreri Console, direttore dell’Area marina protetta delle Egadi, la più grande d’Europa e che ora gestisce il Centro – qui una volta arrivavano i tonni uccisi nella camera della morte della mattanza, tecnica tradizionale e sanguinaria portata avanti per anni.
Oggi invece, fra le stesse mura, proviamo a salvare tartarughe marine in difficoltà spesso minacciate da pesca e inquinamento da plastica“.
Fra le tartarughe che i biologi e i veterinari del centro hanno curato c’è anche Aretusa, 20 anni, fu trovata in difficoltà lo scorso febbraio con una lenza attorcigliata a una pinna anteriore che le impediva di nuotare.
Ieri, sotto gli occhi di curiosi turisti, ha finalmente ritrovato la libertà.
I biologi – dopo averla taggata con un innovativo sistema satellitare “turtle tracking” sperimentato dall’Università di Pisa che permetterà di seguire i suoi spostamenti ogni volta che riemergerà – l’hanno liberata in una spiaggia di Favignana: davanti all’acqua cristallina ad Aretusa sono bastati pochi secondi per ritrovare il suo mare e scomparire in profondità.
“È una bella soddisfazione – dice Paolo Arena, veterinario del Centro di recupero – in questa zona della Sicilia, nonostante sia molto ben protetta, ogni anno tra il numero sos che abbiamo attivato e le segnalazioni alla capitaneria di porto ci arrivano circa una sessantina di caretta caretta.
Qui sono soprattutto di passaggio: spesso però rimangono ferite tra impatti con imbarcazioni, ami e lenze, ma soprattutto soffrono a causa della plastica scambiata per cibo“.
Nel vicino centro di primo soccorso di questi rettili i responsabili conservano un vasetto per ogni tartaruga aiutata: dentro ci sono i pezzi di plastica, spesso impressionanti per dimensioni, defecati dagli animali.
“E’ una piaga. Quasi il 90% di quelle recuperate da noi ha plastica in corpo” dice Arena preoccupato.
Eppure nell’isola siciliana si respira aria di speranza.
Qui, nella regina delle Egadi un tempo famosa per rais e tonnare, da quest’anno grazie alle quote tonno ricominceranno a pescare ma senza più i metodi truculenti della camera della morte dove venivano spinti e uccisi i pesci.
“C’è una nuova sensibilità ambientale – sostengono dal Centro – Da quest’anno l’isola è anche plasticfree e molte persone ci aiutano segnalandoci i problemi del mare“.
Uno, fondamentale per la salvaguardia delle creature marine, è stato risolto: grazie ai dissuasori finanziati da Riomare la pesca a strascico in certe aree è diminuita del 98%.
La stessa azienda, con 500mila euro, ora ha deciso di sostenere anche i progetti per salvare tartarughe e foca monaca.
“Il mare non è una risorsa infinita – dice Luciano Pirovano, responsabile sostenibilità Riomare – lo sappiamo bene noi che peschiamo.
Abbiamo visto come negli anni overfishing e pesca illegale abbiano messo in sofferenza gli oceani già in ginocchio per cambiamento climatico e plastica e così abbiamo deciso di aiutare le Egadi a dare una speranza alle tartarughe.
Quando ci hanno detto che il centro di recupero sarebbe stato nell’ex tonnara ci è sembrato strano, poi però ci siamo resi conto dell’importanza del messaggio responsabile e sostenibile che potevamo lanciare“.
Anche perché le caretta caretta che nuotano nelle acque del Mediterraneo, così come le posidonie che tappezzano i fondali, da sole possono essere un prezioso indicatore della salute dei mari.
L’Ue racconta che su più di 1300 esemplari di questa specie analizzati quasi il 60% ha ingerito usa e getta.
La maggior parte di questi rifiuti però non arrivano da Favignana, ma sono trasportate qui dalle correnti.
“Un problema, l’inquinamento da plastica, che puntualmente aumenta con la stagione turistica” aggiunge il direttore Console.
Con l’estate alle porte, a partire dal 23 maggio giornata mondiale delle tartarughe, i biologi del Centro si preparano a ricevere dozzine di richieste di salvataggio.
“Però prima ci affretteremo a liberare le altre tartarughe curate” chiosano.
La prossima potrebbe essere Jane, 5 anni e una pinna in meno a causa dell’uomo: curata nell’ex stabilimento della morte è pronta a riprendersi il mare e la vita.
(Articolo di Giacomo Talignani, pubblicato con questo titolo il 23 maggio 2019 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)