Gli Economic Partnership Agreement (EPA) sono accordi che vengono stipulati ogni 5 anni e che puntano a ridefinire le regole commerciali tra i due gruppi di paesi: nascono in alternativa agli accordi multilaterali o bilaterali tra stati.
Nei primi mesi del 2007 gli accordi sono entrati in una fase piuttosto critica, perché sei gruppi sub-regionali dei paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) sono entrati nella fase 2: il risultato è stata una serie di nuovi Accordi di Libero Mercato (Free Trade Agreements – FTA) che hanno sostituito le precedenti Convenzione di Lomé (che è stato lo strumento di gestione del partenariato tra Comunità europee/Unione europea e Paesi ACP dal 1975 al 2000) e Convenzione di Cotonou firmata nella capitale economica del Benin il 23 giugno 2000, che ha preso il posto della precedente Convenzione di Lomé nel gestire i rapporti di cooperazione allo sviluppo tra i paesi ACP ed i paesi dell’Unione Europea.
La Convenzione di Cotonou era stata conclusa per la durata di venti anni, con una clausola che prevede delle revisioni intermedie ogni cinque anni: regolava principalmente l’aiuto allo sviluppo, il commercio, gli investimenti internazionali, i diritti umani ed il buon governo.
Rispetto alla Convenzione di Lomé, in ambito politico, una novità è stata l’inserimento dei rappresentanti della società civile dei paesi in via di sviluppo tra gli interlocutori del partenariato.
La novità più importante ha riguardato l’aspetto economico, tramite la creazione di aree regionali di libero scambio che si sarebbero dovute aprire al commercio senza barriere con l’Unione Europea: questa decisione è stata molto contestata, ma senza dubbio la liberalizzazione commerciale sembra essere stata la nuova linea di condotta dell’UE nei suoi rapporti con i paesi in via di sviluppo.
Ma forti critiche agli EPA sono state mosse dal Movimento new-global che afferma:
- Sono accordi economici liberisti che l’Europa vuole imporre all’Africa. I paesi produttori Europei chiedono ai governi dei paesi in via di sviluppo la cancellazione di qualunque dazio in modo da proteggere i propri prodotti.
- La produzione destinata all’esportazione nei paesi Europei è in realtà finanziata dai governi e quindi lo scenario commerciale che si prefigura con l’adozione degli E.P.A. è assolutamente a sfavore dei paesi in via di sviluppo già fortemente penalizzati da un modello economico senza regole.
- L’agenzia delle Nazioni Unite ha fatto uno studio per simulare gli effetti del primo anno di applicazione degli E.P.A.: il Burundi perderebbe 19 milioni di dollari pari al 3% del PIL, il Kenya 300 milioni.
In considerazione di quanto sta succedendo è stato fatto il seguente
Appello alle associazioni, alle reti sociali, agli istituti missionari e a tutte le donne e gli uomini di buona volontà
L’Unione Europea, anche a motivo della crisi economica, persegue una politica sempre più aggressiva per forzare i paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) a firmare gli EPA (Economic Partnership Agreements – Accordi di partenariato economico).
Una trattativa questa durata quasi dieci anni; la UE esige che entro il 1 ottobre 2014 gli accordi siano siglati (questo è il primo passo che precede la vera e propria firma che può avvenire anche a diversi mesi di distanza dopo la soluzione di tutti gli aspetti legali).
Le relazioni commerciali tra la UE e i paesi ACP sono state regolate dalla Convenzione di Lomé (1975-2000) e poi di Cotonou (2000-2020) con la clausola che i prodotti ACP – prevalentemente materie prime – potessero essere esportati nei mercati europei senza essere tassati.
Questo però non valeva per i prodotti europei esportati nei paesi ACP, che dovevano invece sottostare a un regime fiscale di tipo protezionistico.
Ora, la UE chiede ai paesi ACP di eliminare le barriere protezionistiche in nome del libero scambio perché così richiede il WTO (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) che persegue la politica di totale liberalizzazione del mercato.
Con gli EPA infatti le nazioni africane saranno costrette a togliere sia i dazi che le tariffe oltre ad aprire i loro mercati alla concorrenza.
La conseguenza sarà drammatica per i paesi ACP: l’agricoltura europea (sorretta da 50 miliardi di euro all’anno) potrà svendere i propri prodotti sui mercati dei paesi impoveriti.
I contadini africani, infatti, (l’Africa è un continente al 70% agricolo) non potranno competere con i prezzi degli agricoltori europei che potranno svendere i loro prodotti sussidiati.
E l’Africa sarà ancora più strangolata e affamata in un momento in cui l’Africa pagherà pesantemente i cambiamenti climatici.
La UE vuole concludere in fretta questo negoziato vista l’importanza strategica dell’accordo soprattutto per il rincaro delle materie prime che fanno molta gola alle potenze emergenti (i BRICS), in particolare Cina, India e Brasile già così presenti in Africa.
Per di più gli EPA aprirebbero nuovi mercati per i prodotti europei, ma anche nuovi spazi per investimenti e servizi.
Il tentativo dell’Unione Europea di siglare gli EPA con i 6 organismi regionali coinvolti – Comunità dei Caraibi (Cariforum), Africa Centrale (CEMAC), Comunità dell’Africa Orientale (EAC) e Corno d’Africa, Africa Occidentale (ECOWAS), Comunità di sviluppo dell’Africa Australe (SADC) e infine i paesi del Pacifico – sta conoscendo significativi ostacoli.
Al momento, la UE ha firmato un accordo definitivo solo con i quindici stati dei Caraibi.
Le altre aree si sono rifiutate di firmare in blocco e la UE ha perseguito la politica di firmare EPA provvisori con i singoli paesi: 21 hanno finora siglato gli accordi anche se pochi hanno firmato, dando un chiaro segnale della inaccettabilità degli accordi e della fallibilità diplomatica dell’UE su questo fronte, e che sin dalla Conferenza di Lisbona (2007) si doveva presagire.
In questo clima il Coordinamento per i Negoziati EPA, promosso dall’Unione Africana (UA), ha invitato tutti a non firmare per ora gli accordi EPA, ma di aspettare dopo il vertice Africa-UE che si terrà il prossimo aprile.
Noi, donne e uomini impegnati nella lotta per il rispetto dei diritti umani, missionari e laici, riteniamo che gli EPA siano profondamente ingiusti per queste ragioni:
– in un’Africa già così debilitata, questi accordi costituirebbero un colpo mortale per l’agricoltura africana, in particolare per l’industria della trasformazione e della lavorazione dei prodotti agricoli, che può e deve arrivare a sfamare la propria gente;
– l’eliminazione dei dazi doganali nei paesi ACP, che costituiscono una bella fetta del bilancio statale, metterebbero in crisi gli stati ACP;
– gli accordi fatti dalla UE con i singoli stati d’Africa hanno la conseguenza di spaccare le unità economiche regionali essenziali per una seria crescita dell’Africa;
– non è vero che sia il WTO a esigere gli EPA, che sono invece frutto delle spinte neoliberiste di Bruxelles;
– la UE deve rendersi conto che l’Africa sta guardando ai BRICS , in particolare a Cina, Brasile e India come partner più allettanti che l’Europa.
Noi guardiamo anche con grande preoccupazione ai negoziati di libero scambio (DCTFA) con tre importanti paesi del Nordafrica: Egitto, Tunisia e Marocco, ai quali bisogna aggiungere la Giordania.
La UE vorrebbe negoziare la liberalizzazione dei settori agricoli, manifatturieri, ittici nonché l’apertura dei mercati pubblici alle compagnie europee.
A nostro parere questo costituirebbe una minaccia diretta alle aspirazioni sociali e democratiche promosse dalle ‘primavere arabe’. Questi accordi rinchiuderebbero le economie di questi paesi in un modello di crescita rivolta all’esportazione e aprirebbero i mercati di quei paesi alle multinazionali europee.
L’Europa non può permettersi un negoziato del genere dopo il fallimento del Processo di Barcellona, firmato il 28 novembre 1995, con 15 paesi del Mediterraneo che voleva instaurare un’area di libero scambio nel Mare nostrum.
Siamo alla vigilia delle elezioni europee.
Noi chiediamo che questi negoziati sia con i paesi ACP sia con i paesi del Mediterraneo diventino soggetto di dibattito pubblico.
Non è concepibile che una potenza economica come la UE non abbia una seria politica estera verso i paesi più impoveriti, verso soprattutto il continente a noi più vicino: l’Africa.
Ci appelliamo a tutti quei gruppi, associazioni, reti, istituti missionari che hanno già lavorato sugli EPA a riprendere a martellare i nostri deputati a Bruxelles.
Non possiamo non ascoltare l’immenso grido dei poveri.
È in ballo la vita di milioni di persone, ma anche il futuro della UE.
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padre Alex Zanotelli – missionario comboniano
Vittorio Agnoletto – medico, network internazionale Flare
Maurizio Ambrosini – professore universitario Scienze Politiche Milano
Sylvie Coyaud – giornalista Il Sole-24Ore/Oggi Scienza
Angelo Del Boca – storico
Padre Benito De Marchi – Londra -GERT
Nicoletta Dentico – presidente OISG, Osservatorio Italiano Salute Globale
Padre Martin Devenish – Gran Bretagna – GERT:Gruppo Europeo di Riflessione Teologica
prof. Carmelo Dotolo – Roma- GERT
Cristiana Fiamingo – docente di Storia e Istituzioni dell’Africa, Università degli Studi di Milano
Raffaele Masto – scrittore e giornalista di Radio Popolare. Autore del Blog: “Buongiornoafrica.it”
Nora Mc Kean – associazione Terranuova
Silvestro Montanaro – giornalista e scrittore
Antonio Onorati – Centro Internazionale Crocevia
Moni Ovadia – scrittore, attore, regista
Pietro Raitano – direttore Altreconomia
padre Efrem Tresoldi – direttore della rivista Nigrizia
Antonio Tricarico – presidente Re Common
padre Joaquim Valente da Cruz – Portogallo -GERT
padre Fernando Zolli – Commissione Giustizia e Pace degli Istituti Missionari in Italia
Alberto Zoratti e Monica Di Sisto – Fairwatch
padre Franz Weber – Austria – GERT