Articolo di Marco Ponti, professore di economia del Politecnico di Milano, pubblicato il 27 dicembre 2014 su “Il Fatto Quotidiano”.
Marco Ponti
Quando si parla di Tav vi sono una serie di elementi fuori discussione, cioè non “di parte”, benché il progetto resti controverso e non più di Alta velocità (nome improprio).
Era nato come una linea di alta velocità, cioè principalmente destinata ai passeggeri, tra Torino e Lione.
Poi, data l’esiguità delle previsioni ufficiali per i passeggeri (16 treni al giorno su 250 di capacità della linea), è stato degradato a progetto merci.
Infine, data l’evidente non necessità di una linea veloce per le merci, al solo tunnel di base, con costi previsti passati da circa 23 miliardi a 9.
I dati sul traffico merci sono eloquenti: la linea esistente, recentemente rimodernata, ha una capacità ufficiale di 20 milioni di tonnellate annue.
Attualmente ne passano 4 e il traffico complessivo (autostrada compresa) è in declino da prima della crisi.
Del progetto è stata fatta un’analisi costi-benefici da parte dei promotori a posteriori rispetto alla decisione politica di realizzarlo (e con queste premesse appare difficile un responso negativo).
L’analisi è stata criticata per eccesso di ottimismo da molti studiosi indipendenti, per vistosi errori tecnici e ottimismo delle previsioni di traffico.
A tali circostanziate critiche non è mai stata data risposta.
Si noti tra l’altro che gli studiosi critici di quell’analisi chiedevano solo che si facessero studi indipendenti e comparativi per decidere priorità di spesa, non per dire dei “sì” o dei “no”, e ciò secondo le migliori prassi internazionali.
Neppure a questa istanza è stata data risposta.
Per quanto riguarda gli aspetti finanziari del progetto, cioè il rapporto costi pubblici-ricavi, cruciale in una fase di scarsità di risorse pubbliche, non esiste alcuno studio, se non uno che calcola questi risultati solo in base ai costi e ai ricavi di esercizio, senza includervi i costi di investimento(!).
Lo studio dell’opera non è nemmeno giunto al livello di progetto esecutivo, per cui l’incertezza dei costi rimane elevata anche a livello di preventivo.
E il contributo finanziario europeo appare “auspicato”, ma tutt’altro che certo.
La corte dei conti francese ha espresso una valutazione fortemente negativa sul progetto, rinforzata recentemente da perplessità molto più generali su tutta la politica ferroviaria del Paese.
La revisione delle priorità effettuata per le grandi opere francesi (pur dopo l’esclusione da tale revisione di questo progetto, in quanto “internazionale”), ha valutato come non prioritaria la prosecuzione della linea dal tunnel a Lione, “per insufficienza di traffico” (questa tratta, avendo anche il traffico locale, sarà comunque più trafficata del solo tunnel di base).
Ora, le proteste ambientaliste o pseudo tali, sono spesso opportunistiche, fatte al fine di ottenere compensazioni delle più inverosimili (si veda il caso di Firenze e di Bologna).
Nel caso del Tav Torino-Lione tuttavia appaiono nel complesso motivate ed informate.
Ma il ricorso alla violenza in tali proteste appare del tutto funzionale agli interessi dei promotori dell’opera (“cui prodest?” non è una domanda peregrina, a volte).
Infatti giustamente “lo Stato non può cedere alla violenza…” e questa violenza, secondo chi scrive, potrebbe effettivamente prendere una deriva terroristica.
Certo che la mamma dei cretini è sempre incinta, ma forse alcuni di questi non sono tanto cretini, anche se a pensar male si va all’inferno.