Su questo stesso sito il 10 gennaio 2015 è stato pubblicato un articolo dal titolo “Villa Heriot e Venezia in svendita”, che dava fra l’altro notizia della vendita del Fontego dei Tedeschi a Benetton. (https://www.rodolfobosi.it/villa-heriot-e-venezia-in-svendita/).
Il successivo 21 aprile 2015 è stato pubblicato un articolo dal titolo “L’odissea veneziana del Fontego dei Tedeschi tra pubblico e privato”, che dava notizia del progetto di trasformazione in un centro commerciale e del ricorso al Consiglio di Stato della associazione Italia Nostra(https://www.rodolfobosi.it/lodissea-veneziana-del-fontego-dei-tedeschi-tra-pubblico-e-privato/).
Come riportato dallo stesso Consiglio di Stato “trattasi di un edificio a blocco, con un grande cortile interno scoperto di forma quadrata, sul quale si affacciano le logge di distribuzione ai vari piani, originariamente concepito come luogo di accoglienza e di scambi commerciali per i mercanti provenienti dalla Germania e dal nord Europa, successivamente ristrutturato ed adibito, negli anni ‘30, a sede centrale delle Poste.
Da ultimo dismesso ed acquistato dalla società che oggi vuole risanarlo, restaurarlo ed adibirlo a centro commerciale.”
Con deliberazione n. 676 del 23/11/2011 la Giunta Comunale ha infatti deciso di sottoscrivere una convenzione con la società “Edizione” S.r.l., finalizzata alla riqualificazione e rifunzionalizzazione, in deroga alla strumentazione urbanistica vigente, del Fontego dei Tedeschi.
Nella convenzione la “Edizione” S.r.l. dichiara di voler destinare l’immobile ad uso commerciale per una superficie di vendita non inferiore a mq. 6.800, impegnandosi a riconoscere al Comune di Venezia l’utilizzo del “campiello” per eventi culturali per almeno 10 giorni all’anno e, nel contempo, a versare allo stesso Comune un contributo in denaro a titolo di beneficio pubblico di sei milioni di Euro.
Il progetto originario di riqualificazione è stato in seguito modificato sulla base del parere emesso nel corso della seduta dell’8 maggio 2012 dal Comitato Tecnico Scientifico istituito presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali: con deliberazione n. 18 dell’11 marzo 2013 il Consiglio Comunale ha approvato il progetto di riqualificazione e rifunzionalizzazione del Fontego dei Tedeschi, in deroga alla strumentazione urbanistica vigente, sulla scorta di una serie di pareri favorevoli, ed in particolare:
- della autorizzazione del Soprintendente di Venezia e Laguna, prot. n. 17/02 del 6 dicembre 2012, con la quale si è assentita l’esecuzione degli interventi previsti nel progetto;
- dei pareri della Commissione edilizia integrata del 19 dicembre 2012 e della Soprintendenza di cui al verbale della conferenza di servizi PG n. 2013/24222 dell’11 gennaio 2013.
L’Associazione Italia Nostra Onlus ha impugnato dinanzi al TAR Veneto tutti gli atti sopra indicati ricorso n. 1080 del 2013.
Sono stati successivamente rilasciati il permesso di costruire in deroga (con prot. 63161 del 10.2.2014) e l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal dirigente comunale preposto (prot. n. 74769 del 18/02/2014), pur essi impugnati da Italia Nostra con un separato ricorso n. 557 del 2014.
I due ricorsi sono stati riunificati e respinti con Sentenza del TAR n. 1532 del 18 dicembre 2014 con le seguenti motivazioni.
La nozione di interesse pubblico prescinde dalla natura pubblica o privata del bene ed ha a riferimento l’esistenza di una “fruibilità collettiva” ritenuta meritevole di tutela che, a sua volta, può risultare compatibile anche con una destinazione commerciale degli edifici.
Dall’esame dei contenuti progettuali emerge che l’intervento di riqualificazione non altera né la densità edilizia né l’altezza dell’edificio, risultando rispettate le prescrizioni di cui al connaturato disposto dell’art. 14 del Dpr 380/2001 e degli artt. 7 e 8 del DM 1444/1968.
I contenuti progettuali specificatamente contestati (trasformazione delle falde di copertura in copertura orizzontale a vetro, finalizzata a creare una sala polivalente contornata da un’area di passeggio calpestabile; apertura di un grande “foro circolare” nelle mura della corte interna, tra il primo e il secondo piano, tale da lasciare percepire la presenza delle scale mobili) costituiscono parametri tecnici e progettuali di dettaglio che, in quanto tali, non possono essere valutati a sé stanti e a prescindere dal complesso dell’intervento in relazione al quale l’Amministrazione comunale ha ritenuto di applicare l’istituto del permesso in deroga di cui all’art. 14; né l’intervento potrebbe, in ragione dei contenuti sopra descritti, essere considerato una ristrutturazione, poiché l’immobile è già stato oggetto di un’importante ristrutturazione nel corso degli anni trenta, intervento finalizzato a ospitare la sede delle Poste e, a seguito del quale, sono stati conservati “solo in minima parte i materiali originari”.
L’associazione Italia Nostra ha allora impugnato la sentenza del TAR n. 1532/2014, ma anche questo ricorso è stato respinto con Sentenza del consiglio di Stato n. 2761 del 5 giugno 2015.
A commento della pronuncia del Consiglio di Stato sul sito di Italia Nostra il 5 giugno 2015 è stato pubblicato con questo titolo il seguente articolo.
(Immagine: in questa forma il Fontego non sarà più visibile date le trasformazioni al tetto che ora sono state autorizzate).
Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello di Italia Nostra contro la sentenza del TAR che considerava legittima la trasformazione del Fontego dei Tedeschi in centro commerciale e tutte le modifiche edilizie connesse all’operazione.
Il nostro appello al Consiglio di Stato era l’unica arma che rimaneva per impedire che uno storico edificio veneziano venisse deformato nella sua natura architettonica e sottratto all’uso pubblico per divenire un ennesimo centro commerciale ad uso dei turisti e a beneficio delle società proprietarie.
Avremo modo nei prossimi giorni di esaminare la sentenza e di commentarla nei dettagli.
Per ora riportiamo qui il comunicato stampa con il quale il Comune dà la notizia ai media, citando alcune parole dalla sentenza.
Secondo quelle parole, le deroghe concesse dal Comune ai proprietari sarebbero giustificate dalla “effettiva sussistenza dell’interesse pubblico” e dagli “effetti benefici per la collettività che dalla deroga derivano“.
In aggiunta, il Consiglio ritiene che i sacrifici per l’immobile siano “minimi” mentre l’edificio verrebbe “restituito alla città con la destinazione originaria del 1500, che era proprio quella commerciale“.
La differenza tra uso di fondaco nel 1500 e uso di centro commerciale Vuitton nel 2015 è evidentemente troppo sottile per contare qualcosa.
Ritorneremo presto sull’argomento con i dettagli.
Leggi il comunicato stampa del Comune.
COMUNICATO STAMPA
Fontego dei Tedeschi: il Consiglio di Stato riconosce legittimi gli atti di Comune e Soprintendenza
L’Avvocatura civica del Comune di Venezia ha reso noto che oggi il Consiglio di Stato ha depositato la sentenza (n. 2761/2015) relativa all’appello proposto da Italia Nostra sulla vicenda del Fontego dei Tedeschi.
Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello confermando dunque la sentenza del Tar Veneto che aveva riconosciuto la totale legittimità degli atti del Comune di Venezia e della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Venezia e Laguna che riguardano la riqualificazione dello storico Palazzo sul Canal Grande, fino a pochi anni fa sede delle Poste ed ora di proprietà del Gruppo Benetton (Società Edizione srl).
In particolare il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il permesso di costruire in deroga in quanto
ha rilevato l’effettiva sussistenza dell’interesse pubblico, costituito “dagli effetti benefici per la collettività che dalla deroga derivano (...)” visto che vengono assicurate “la fruizione pubblica degli spazi e l’apertura per iniziative culturali”.
Il Consiglio di Stato, inoltre, ha ritenuto che “il sacrificio delle previsioni pianificatorie, è comparativamente minimo rispetto ai miglioramenti derivanti all’immobile stesso”, che viene in questo modo restituito alla città con la destinazione originaria del 1500, che era proprio quella commerciale.
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Riportiamo di seguito per esteso la Sentenza del Consiglio di Stato n. 2761 del 5 giugno 2015.
02761/2015REG.PROV.COLL.
02167/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2167 del 2015, proposto da: Associazione Italia Nostra Onlus, in p.l.r.p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Paolo Mantovan, Alessio Petretti, con domicilio eletto presso Alessio Petretti in Roma, via degli Scipioni, 268/A;
contro
Comune di Venezia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Nicolo’ Paoletti, Antonio Iannotta, Nicoletta Ongaro, Maurizio Ballarin, Marzia Masetto, con domicilio eletto presso Nicolo’ Paoletti in Roma, via Barnaba Tortolini, 34; Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali e del Turismo, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Società Edizione Srl, in p.l.r.p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Paolo Stella Richter, Bruno Barel, con domicilio eletto presso Paolo Stella Richter in Roma, viale Mazzini,11;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA: SEZIONE II n. 01532/2014, resa tra le parti, concernente approvazione progetto di riqualificazione e rifunzionalizzazione del complesso immobiliare Fontego dei Tedeschi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Venezia, del Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali e del Turismo, e della Società Edizione Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2015 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Mantovan, Petretti, Paoletti, Masetto, Stella Richter e l’avv. dello Stato Salvatorelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Comune di Venezia, giusta deliberazione della Giunta Comunale n. 676 del 23/11/2011, sottoscriveva una convenzione con la società Edizione Srl, finalizzata alla riqualificazione e rifunzionalizzazione, in deroga alla strumentazione urbanistica vigente, del Fontego dei Tedeschi, storico edificio sul canal grande. Nella convenzione, Edizione Srl dichiarava di voler destinare l’immobile ad uso commerciale per una superficie di vendita non inferiore a mq. 6.800, impegnandosi a riconoscere al Comune di Venezia l’utilizzo del “campiello” per eventi culturali per almeno 10 giorni all’anno e, nel contempo, a versare allo stesso Comune un contributo in denaro a titolo di beneficio pubblico di sei milioni di Euro, contributo omnicomprensivo anche agli effetti dell’art. 28 della L. reg. n. 15/2004.
Il progetto originario di riqualificazione veniva in seguito modificato sulla base del parere emesso nel corso della seduta dell’8 maggio 2012 dal Comitato Tecnico Scientifico istituito presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Seguiva la deliberazione n. 18 dell’11 marzo 2013 con la quale il Consiglio Comunale approvava il progetto di riqualificazione e rifunzionalizzazione del Fontego dei Tedeschi, in deroga alla strumentazione urbanistica vigente, sulla scorta di una serie di pareri favorevoli, ed in particolare: l’autorizzazione del Soprintendente di Venezia e Laguna, prot. n. 17/02 del 6 dicembre 2012, con la quale si è assentita l’esecuzione degli interventi previsti nel progetto; i pareri della Commissione edilizia integrata del 19 dicembre 2012 e della Soprintendenza di cui al verbale della conferenza di servizi PG n. 2013/24222 dell’11 gennaio 2013.
L’Associazione Italia Nostra Onlus impugnava dinanzi al TAR Veneto tutti gli atti sopra indicati. Deduceva, in ordine alla delibera consiliare n. 18/2013, l’esistenza dei vizi conseguenti alla violazione dell’art. 14 del Dpr 380/2001, degli artt. 7 e 8 del DM del 02/04/1968, nonché dell’art. 3 della L. n. 241/90, dell’art. 14 del Dpr 380/2001 e dell’art. 13 delle NTA della variante al PRG. Secondo l’associazione ricorrente, la riqualificazione dell’edificio ai fini commerciali non integrava fattispecie di interesse pubblico, circostanza che determinerebbe il venir meno di un presupposto essenziale per applicare l’istituto del permesso di costruire in deroga, ed anzi la natura commerciale dell’iniziativa si porrebbe in frontale contrato con l’interesse pubblico che giustifica la deroga citata.
Con riferimento all’impugnazione dell’autorizzazione della Soprintendenza segnalava la violazione degli artt. 2 del Dpr n. 791/1973 nonché dell’art. 29 del D.Lgs. 42/2004 e, nel contempo, la violazione dell’art. 3 della L. n. 241/90 nonché l’eccesso di potere per travisamento dei fatti.
Nell’impugnare i provvedimenti diretti a sancire la compatibilità paesaggistica deduceva, oltre ai vizi di invalidità derivata, l’esistenza dei profili di illegittimità riconducibili alla violazione dell’art. 146 del D.Lgs. 42/2004 e all’eccesso di potere per illogicità e invalidità derivata e l’eccesso di potere per travisamento dei fatti.
Nel giudizio si costituiva il Comune di Venezia che eccepiva preliminarmente l’irricevibilità per tardività dell’impugnazione di tutti gli atti sopra citati in quanto in precedenza pubblicati o comunque conosciuti dalla ricorrente, e al contempo, l’inammissibilità per carenza di legittimazione attiva dell’Associazione Italia Nostra.
In subordine all’accoglimento di dette eccezioni preliminari, e nel merito del ricorso, contestava le censure della ricorrente, chiedendo una pronuncia di rigetto.
Anche la Società Edizione Srl, in qualità di soggetto controinteressato, si costituiva in giudizio e rilevava, in via preliminare, l’assenza di legittimazione ed interesse dell’Associazione Italia Nostra in ordine ai profili urbanistici ed edilizi, estranei alla tutela ambientale nell’ambito della quale la stessa Associazione è legittimata ad agire. Eccepiva, altresì, l’irricevibilità per tardività delle censure, nonché la natura endoprocedimentale della maggior parte degli atti impugnati.
Si costituiva altresì il Ministero per i Beni e le Attività Culturali per il tramite dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia.
Venivano emanati successivamente il permesso di costruire in deroga (prot. 63161) e l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal dirigente comunale preposto (prot. n. 74769 del 18/02/2014).
Detti ultimi atti erano impugnati da Italia Nostra con autonomo ricorso.
Definitivamente decidendo su entrambi i ricorsi, il TAR, prescindendo dall’esame di tutte le eccezioni preliminari proposte, in dichiarata considerazione della manifesta infondatezza nel merito di entrambi i ricorsi, affermava che:
a) la nozione di interesse pubblico prescinde dalla natura pubblica o privata del bene ed ha a riferimento l’esistenza di una “fruibilità collettiva” ritenuta meritevole di tutela che, a sua volta, può risultare compatibile anche con una destinazione commerciale degli edifici. Nel caso di specie – secondo il TAR – “nella delibera impugnata è possibile evincere l’esistenza proprio di detti presupposti e, ciò, nella parte in cui si rileva che con l’intervento in questione si recupera uno dei più antichi edifici storici della città e si consente la fruizione pubblica gratuita di ampi spazi. Sempre dall’esame della delibera è possibile evincere, e precisamente nel punto 3 della convenzione accessoria al permesso di costruire, come la società Edizione Srl si sia impegnata a garantire l’uso pubblico del “campiello” per ospitare eventi culturali per almeno 10 giorni l’anno, nonché a “consentire all’Amministrazione comunale la fruizione diretta e gratuita della sala eventi all’ultimo piano utile … che sarà fruibile direttamente e gratuitamente dall’Amministrazione comunale per proprie iniziative istituzionali”;
b) dall’esame dei contenuti progettuali, emerge che l’intervento di riqualificazione non altera né la densità edilizia né l’altezza dell’edificio, risultando rispettate le prescrizioni di cui al connaturato disposto dell’art. 14 del Dpr 380/2001 e degli artt. 7 e 8 del DM 1444/1968;
c) i contenuti progettuali specificatamente contestati (trasformazione delle falde di copertura in copertura orizzontale a vetro, finalizzata a creare una sala polivalente contornata da un’area di passeggio calpestabile; apertura di un grande “foro circolare” nelle mura della corte interna, tra il primo e il secondo piano, tale da lasciare percepire la presenza delle scale mobili) costituiscono parametri tecnici e progettuali di dettaglio che, in quanto tali, non possono essere valutati a sé stanti e a prescindere dal complesso dell’intervento in relazione al quale l’Amministrazione comunale ha ritenuto di applicare l’istituto del permesso in deroga di cui all’art. 14; né l’intervento potrebbe, in ragione dei contenuti sopra descritti, essere considerato una ristrutturazione, poiché l’immobile è già stato oggetto di un’importante ristrutturazione nel corso degli anni trenta, intervento finalizzato a ospitare la sede delle Poste e, a seguito del quale, sono stati conservati “solo in minima parte i materiali originari”; inoltre la Soprintendenza ha previamente svolto un’attività istruttoria alla quale è seguita una valutazione di “compatibilità” strettamente ancorata al contesto monumentale in questione accompagnata dalla necessità di rispettare particolari prescrizioni.
Avverso la sentenza ha proposto Appello Italia Nostra. La sentenza meriterebbe riforma per i seguenti motivi:
SUL PERMESSO DI COSTRUIRE IN DEROGA
- Contrariamente a quanto affermato dal TAR, il progetto di riqualificazione non sarebbe tale da portare alla realizzazione di un’opera di interesse pubblico, meritevole di deroghe rispetto alle previsioni di Piano. Se è vero che la convenzione prevede l’utilizzo della corte interna per eventi culturali almeno 10 giorni all’anno e della sala eventi per iniziative istituzionali del Comune, sarebbe d’altronde innegabile che la fruizione di tali spazi è eventuale, parziale e temporanea, e comunque subordinata ad un previo accordo fra le parti. Il TAR del resto non avrebbe fornito alcun elemento in ordine all’effettivo svolgimento di una comparazione fra tutti gli interessi pubblici in rilievo.
- Quanto al limite della densità edilizia, il TAR avrebbe sostanzialmente fatto propria la difesa comunale, e con essa, il vizio di fondo che inficia il calcolo dei parametri: in particolare il volume dell’edificio sarebbe stato calcolato, prima e dopo l’intervento di riqualificazione, con criteri diversi e male applicati, con il risultato che, nonostante le oggettive addizioni, il volume esistente risulterebbe maggiore di quello di progetto. L’errore tecnico dipenderebbe dal calcolo delle altezze che, poiché comprensivo secondo il nuovo criterio, di volumi prima non computabili, determinerebbe la sovrastima dei volumi esistenti. Per il resto, il TAR non avrebbe spiegato come mai l’aumento di volume debba considerarsi interno e non esterno alla sagoma. La struttura di travi d’acciaio che sorregge il nuovo padiglione vetrato sarebbe alta 3 metri, in guisa da generare un volume esterno di 990 metri cubi. In ogni caso il concetto di densità edilizia di cui all’art. 7 del DM 1444/68 sarebbe da riferire al volume dell’intero edificio, senza distinzione alcuna tra interno ed esterno. Il TAR avrebbe errato anche in relazione ai limiti di altezza di cui all’art. 8 del DM 1444/68: pur riconoscendo che l’esistenza del corpo aggiunto (cd lucernario-lanterna) determina incremento di 1,6 metri dell’altezza, ne avrebbe contraddittoriamente escluso la rilevanza considerandola una superfetazione; inoltre avrebbe erroneamente applicato l’art. 8 cit., qualificando l’intervento come di “nuova costruzione” invece che di “risanamento”.
- Ancora, il TAR avrebbe errato nel ritenere consentita la deroga ai caratteri costruttivi del tetto, atteso il tenore dell’art. 14 del dpr 380/2001, che consente deroga esclusivamente ai limiti di densità edilizia e di altezza.
SULL’AUTORIZZAZIONE STORICO ARTISTICA
- A fronte delle censure di: a) non sussumibilità dell’intervento nelle definizioni di restauro e risanamento conservativo a motivo delle aggiunte (su tutte, il padiglione di copertura vetrata della corte con terrazza panoramica, ed il foro circolare) in contrasto con gli artt. 2 comma 7 del dPR 791/73 e 29 comma 4 del d.lgs 42/2004; b) del difetto di motivazione del parere del sovrintendente, rispetto alle indicazioni del Comitato tecnico scientifico per i beni architettonici e paesaggistici, che aveva richiesto un intervento più limitato; c) della denunciata erroneità del convincimento secondo il quale il Fontego sarebbe stato ricostruito negli anni 30 del secolo scorso; il TAR si sarebbe limitato ad evidenziare:
– che il Fontego è stato oggetto di un’importante ristrutturazione nel corso degli anni trenta, intervento finalizzato a ospitare la sede delle Poste, a seguito del quale, sono stati conservati “solo in minima parte i materiali originari”;
– che il progetto di Edizione s.r.l. è diretto a modificare le opere realizzate a seguito della ristrutturazione conclusasi nel luglio del 1939 soppressiva dell’originaria destinazione commerciale, e ciò, anche mediante la valorizzazione di una superficie esistente sotto il lucernario, riqualificata, da pavimentazione di transito per la manutenzione della copertura, a soppalco di vetro aperto sui lati, funzionale all’accesso all’altana e fruibile gratuitamente come sala eventi per le iniziative del Comune;
– in ordine al parere del sovrintendente, ed al censurato difetto di motivazione, il TAR ha poi affermato che il parere della Soprintendenza, nell’ipotesi di una valutazione di compatibilità con delle opere con le esigenza di tutela monumentale del vincolo non richiede una particolare motivazione, essendo al riguardo sufficiente l’affermazione che l’intervento è compatibile con la normativa di tutela della città di Venezia e della sua laguna.
L’impianto motivazionale riportato, oltre che scarno, sarebbe erroneo, poiché, a dire dell’appellante: 1) la destinazione commerciale non sarebbe venuta meno negli anni 30 a seguito di ristrutturazione, ma già durante la dominazione napoleonica (1797 -1809), epoca in cui il Fondaco venne trasformato in uffici; 2) le modifiche esterne non interesserebbero parti del Fontego costruite negli anni 30 e costituenti alterazione dell’originario aspetto: il lucernario era preesistente agli anni 30; le due falde del tetto (ora divenute terrazza panoramica) non erano state modificate in quegli anni ma erano originarie, il foro circolare incide su muri che si sarebbero mantenuti inalterati sino ad oggi. Ma anche ove le opere incidessero su parti non originarie, esse non potrebbero definirsi di restauro o risanamento conservativo, ed in ogni caso violerebbero l’art. 2 del dPR 79/73 che pretende la conservazione integrale delle strutture storiche, nonché l’art.29 del dlgs 42/2004 che definisce “restauro” le operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene. Tali non potrebbero certo considerarsi la copertura vetrata, la terrazza panoramica ed il foro circolare. Inoltre, l’evidenziata discrezionalità tecnica del sovrintendente non varrebbe ad esonerarlo dal dovere di motivare in ordine alle cautele indicate ed ai dubbi manifestati dal Comitato tecnico scientifico, in particolare proprio in relazione al padiglione di copertura della corte centrale.
SULL’AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA
-Quanto all’autorizzazione paesaggistica il TAR ha affermato che “la valutazione di compatibilità paesaggistica non è stata assunta, come sostiene la ricorrente, avendo a riferimento la valutazione di compatibilità monumentale, ma al contrario sulla base dell’istruttoria dell’autorità preposta alla tutela del paesaggio, e ciò perché “la Soprintendenza, nel momento in cui ha ritenuto di esprimere il parere positivo sulla compatibilità paesaggistica aveva come presupposto l’avvenuto svolgimento dell’attività istruttoria da parte della Commissione Edilizia integrata, che si era, peraltro, sul punto pronunciata”. In realtà – secondo l’appellante – dal testo del parere contenuto nel verbale della conferenza di servizi dell’11 gennaio 2013 emergerebbe il contrario, ossia che la sovrintendenza ha espresso parere paesaggistico favorevole, esclusivamente in ragione dell’accertata compatibilità storico monumentale, così operando una sovrapposizione dei due piani.
Quanto al parere della Commissione Edilizia integrata, il TAR ha affermato che “non sussiste nemmeno l’asserito travisamento dei fatti in cui sarebbe incorsa la Commissione Edilizia sopra citata, e ciò poiché la terrazza – di cui parte ricorrente asserisce l’esistenza – è stata sostituita da una diversa struttura nell’ambito della quale figura un’altana da collocarsi sopra la copertura a falde”. Eppure – secondo l’appellante – tutti gli atti parlerebbero di una “terrazza panoramica” e non di un’altana, sicché l’affermazione si risolverebbe in una sostanziale omissione di pronuncia del TAR circa la compatibilità paesaggistica della citata terrazza.
– Nel giudizio si è costituita la Edizione s.r.l. Ripropone le eccezioni di tardività e difetto di legittimazione attiva “assorbite” dal primo giudice. Nel merito replica: la motivazione del sovrintendente sarebbe sufficiente, avuto riguardo alla materia ed alla discrezionalità che la contraddistingue; il richiamo alla definizione di “restauro” sarebbe inconferente nella misura in cui non tiene conto della peculiarità ed atipicità dell’intervento; l’istruttoria sarebbe stata accurata e particolarmente rigorosa, vieppiù dopo l’intervento del Comitato tecnico scientifico; quanto alle censure avverso l’autorizzazione paesaggistica, esse sarebbero improntate ad un esasperato formalismo, noncurante della collegialità espressa in conferenza di servizi.
Si è anche costituito il Comune di Venezia. Evidenzia che ciò che maggiormente rileva per il permesso in deroga è la finalità pubblica che con un determinato intervento si intende perseguire, e nella specie la finalità sarebbe quella di salvaguardare un edificio in pessime condizioni di manutenzione rendendolo fruibile alla collettività ed all’ente per fini istituzionali. Replica, sul piano tecnico, alle considerazioni dell’appellante relative al rispetto del parametro di densità edilizia, osservando come esso debba distinguersi dal parametro volumetrico; esclude che l’intervento possa qualificarsi come ristrutturazione, non venendo in rilievo un organismo edilizio in tutto o in parte diverso; insiste sull’esistenza di una radicale trasformazione dell’edificio avvenuta negli anni ‘30. Con riferimento, infine, all’autorizzazione paesaggistica, chiarisce che “l’altana” nient’altro è che la tipica terrazza veneziana posta di norma su una falda di copertura, com’è nel caso di specie, senza alterazione alcuna dello skyline.
Le parti hanno discusso delle descritte questioni all’udienza camerale del 21 aprile 2015 fissata per l’esame della domanda cautelare. All’esito, la causa è stata trattenuta per la definitiva decisione, previo avviso alle parti, ex art. 60 c.p.a.
DIRITTO
Viene all’attenzione del collegio il recupero e riqualificazione del “Fontego dei Tedeschi”, immobile risalente ai primi anni del 1500, oggi di proprietà della società Edizione s.r.l.
Trattasi di un edificio a blocco, con un grande cortile interno scoperto di forma quadrata, sul quale si affacciano le logge di distribuzione ai vari piani, originariamente concepito come luogo di accoglienza e di scambi commerciali per i mercanti provenienti dalla Germania e dal nord Europa, successivamente ristrutturato ed adibito, negli anni ‘30, a sede centrale delle Poste. Da ultimo dismesso ed acquistato dalla società che oggi vuole risanarlo, restaurarlo ed adibirlo a centro commerciale.
Il recupero e la riqualificazione, comportando aumento di altezza e volume, del tipo di copertura, nonché mutamento della precedente destinazione d’uso, hanno richiesto deroga ai sensi dell’art. 14 del TU edilizia, a mente del quale “il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia”.
Interessando inoltre un bene monumentale paesaggisticamente vincolato, il progetto ha altresì comportato la necessaria acquisizione del parere della Sovrintendenza.
L’immobile da recuperare è stato anche oggetto di un procedimento di accertamento dello “stato di alterazione delle unità edilizie”, ai sensi dell’art. 4 delle NTA della variante al PRG per la città antica di Venezia, dal quale è emerso che lo stesso è stato “trasformato in modo irreversibile” a seguito degli interventi di ristrutturazione eseguiti negli anni ‘29-‘39 per l’insediamento della sede centrale delle Poste.
Ciò premesso, possono esaminarsi le singole censure dell’appellante, non essendo necessario, in ragione del tenore della decisione, lo scrutinio delle eccezioni preliminari riproposte dalle parti resistenti a seguito dell’assorbimento già operato dal giudice di prime cure.
A – In ordine ai presupposti per il rilascio di un permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali:
Secondo l’appellante il progetto di riqualificazione non sarebbe tale da portare alla realizzazione di un’opera di interesse pubblico, meritevole di deroghe rispetto alle previsioni di Piano. Se è vero che la convenzione prevede l’utilizzo della corte interna per eventi culturali almeno 10 giorni all’anno e della sala eventi per iniziative istituzionali del Comune, sarebbe d’altronde innegabile che la fruizione di tali spazi è eventuale, parziale e temporanea, e comunque subordinata ad un previo accordo fra le parti. Il TAR del resto non avrebbe fornito alcun elemento in ordine all’effettivo svolgimento di una comparazione fra tutti gli interessi pubblici in rilievo.
Il motivo è privo di fondamento.
Il Comune ha diffusamente e specificatamente motivato sul punto, ed il TAR ha correttamente statuito in proposito. L’edificio in questione è di proprietà privata, ragion per cui ciò che occorre verificare è se vi sia un interesse pubblico che possa concorrere con quello privato al recupero ed allo sfruttamento commerciale. Non è necessario che l’interesse pubblico attenga al carattere pubblico dell’edificio o del suo utilizzo, ma è sufficiente che coincida con gli effetti benefici per la collettività che dalla deroga potenzialmente derivano, in una logica di ponderazione e contemperamento calibrata sulle specificità del caso, ed esulante da considerazioni meramente finanziarie.
Nel caso di specie, l’amministrazione locale non solo ne ha dedotto l’esistenza, ma lo ha sostanziato e giustificato, evidenziando come “l’intervento di riqualificazione e rifunzionalizzazione del Fontego “risponde ai criteri di interesse pubblico in quanto:
– recupera uno dei più antichi ed ampi edifici storici della Città Antica, qualificato come bene culturale, con la riproposizione dell’originaria destinazione commerciale propria del Fondaco, integrata con la destinazione culturale;
– apre al pubblico l ‘intero edificio del Fondaco, anche per le parti rimaste inaccessibili per decenni durante l’uso dei servizi postali;
– consente la fruizione pubblica gratuita di ampi spazi interni al Fondaco per iniziative culturali e di promozione turistica;
– non comporta alcun onere finanziario al Comune di Venezia, anzi procura allo stesso notevoli risorse finanziarie straordinarie;
– attiva investimenti privati ingenti, con creazione, a regime, di nuovi posti di lavoro stimati in non meno di 400 posti di lavoro diretti oltre quelli dell’indotto;
– consolida i servizi offerti dalla Città storica al mercato internazionale“.
Considerazioni – quelle esposte – del tutto ragionevoli, ove si consideri che gli aspetti edilizi oggetto di deroga, riguardano un edificio già esistente, divenuto di proprietà privata a seguito di dismissione dal patrimonio dello Stato, in attuali precarie condizioni di manutenzione, del quale si chiede il recupero nel rispetto dei vincoli paesaggistici e storico artistici. Si vuol cioè dire che il “sacrificio” delle previsioni pianificatorie e dell’ordine in esse precostituito – consistente nella modifica della destinazione d’uso ed in un modestissimo incremento dell’altezza con conseguente incremento volumetrico, ferma la salvaguardia dei valori monumentali e paesaggistici – ha un peso comparativamente minimo rispetto ai miglioramenti che ne derivano in relazione ad una serie di concorrenti interessi pubblici pure affidati alla cura dell’autorità amministrativa locale (recupero, accessibilità, fruibilità, incremento occupazionale, etc.)
Non meritano condivisione le ulteriori affermazione dell’appellante che, più che dolersi della nuova destinazione commerciale dell’immobile, stigmatizza il carattere eventuale, parziale e temporaneo della fruizione collettiva, comunque subordinata ad un previo accordo fra le parti.
Dalla lettura della convenzione emerge che il previo accordo annuale fra le parti riguarda le modalità ed i programmi e non certo la sussistenza dell’obbligazione in capo al proprietario, che è prevista con carattere di certezza.
A1 – In ordine alla legittimità dei contenuti della deroga:
Secondo l’appellante, quanto al limite della densità edilizia, il TAR avrebbe sostanzialmente fatto propria la difesa comunale, e con essa, il vizio di fondo che inficia il calcolo dei parametri: in particolare il volume dell’edificio sarebbe stato calcolato, prima e dopo l’intervento di riqualificazione, con criteri diversi e male applicati, con il risultato che, nonostante le oggettive addizioni, il volume esistente risulterebbe maggiore di quello di progetto. L’errore tecnico dipenderebbe dal calcolo delle altezze che, poiché comprensivo, secondo il nuovo criterio, di volumi prima non computabili, determinerebbe la sovrastima dei volumi esistenti. Per il resto, il TAR non avrebbe spiegato come mai l’aumento di volume debba considerarsi interno e non esterno alla sagoma. La struttura di travi d’acciaio che sorregge il nuovo padiglione vetrato sarebbe alta 3 metri, in guisa da generare un volume esterno di 990 metri cubi. In ogni caso il concetto di densità edilizia di cui all’art. 7 del DM 1444/68 sarebbe da riferire al volume dell’intero edificio, senza distinzione alcuna tra interno ed esterno. Il TAR avrebbe errato anche in relazione ai limiti di altezza di cui all’art. 8 del DM 1444/68: pur riconoscendo che l’esistenza del corpo aggiunto (cd lucernario-lanterna) determina incremento di 1,6 metri dell’altezza, ne avrebbe contraddittoriamente escluso la rilevanza considerandola una superfetazione; inoltre avrebbe erroneamente applicato l’art. 8 cit., qualificando l’intervento come di “nuova costruzione” invece che di “risanamento”.
Ancora, il TAR avrebbe errato nel ritenere consentita la deroga ai caratteri costruttivi del tetto, atteso il tenore dell’art. 14 del dpr 380/2001, che consente deroga esclusivamente ai limiti di densità edilizia e di altezza.
Le censure non sono convincenti.
Quanto al rispetto dei limiti della deroga individuati negli articoli 7, 8 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, occorre procedere per punti:
A mente dell’art. 7 “per le operazioni di risanamento conservativo ed altre trasformazioni conservative, le densità edilizie di zona e fondiarie non debbono superare quelle preesistenti, computate senza tener conto delle soprastrutture di epoca recente prive di valore storico-artistico”.
L’appellante, asserisce che, poiché il progetto di restauro e risanamento prevede un aumento di volume, ne deriverebbe automaticamente un aumento della densità edilizia.
I due piani però non sono sovrapponibili. Gli indici urbanistici adottati dal Comune di Venezia nell’ambito del regolamento edilizio ed utilizzati per la pianificazione urbanistica non contengono il riferimento alla densità edilizia fondiaria, ma quello all’ indice di utilizzazione fondiaria (Uf), espressa dal rapporto tra superficie lorda di pavimento Sp e superficie fondiaria Sf.
La superficie lorda di pavimento è determinata con riferimento agli edifici esistenti, dividendo il volume dell’edificio per l’altezza virtuale definita dal coefficiente di m. 3. Il risultato individua la potenzialità edificatoria massima teorica dell’edificio in termini di Sp (insuperabile anche ai sensi del D.M. n. 1444/68). Trattasi di un parametro cioè che, per come è concepito, consente margini ampliativi della superficie, nel rispetto dell’indice.
Una volta individuato il parametro inderogabile nell’indice di utilizzazione fondiaria, è chiaro che il volume reale non per questo diventa un dato urbanistico irrilevante, ma lo stesso diviene suscettibile di deroga, essendo previsto nella strumentazione urbanistica e non trovando specifici limiti nell’art. 7. Del resto, se l’art. 7 avesse voluto fare semplicemente riferimento ad un volume massimo non avrebbe utilizzato il concetto, molto più complesso ed elastico, di “densità”, concetto di relazione indicante il rapporto tra una data grandezza e l’estensione su cui essa si distribuisce.
Quanto all’altezza, anche a voler considerare l’intervento quale semplice risanamento conservativo non implicante trasformazioni, ed a voler considerare inderogabile l’altezza preesistente, deve comunque rilevarsi che, nel caso di specie, l’altezza del corpo di fabbrica è rimasta invariata e si è progettata una modifica morfologica della copertura con montaggio della “lanterna” centrale ad una quota più alta di 1,60 metri, con una soluzione progettuale ed una linea che non tradisce la ratio che ispira l’art. 8 del D. M 1444/68 e l’art. 14 del TU edilizia, il primo teso ad imporre limiti nella pianificazione del territorio, il secondo finalizzato a consentire ragionevoli e temperate deroghe ai quei limiti ove l’organo rappresentativo della collettività locale ravvisi un interesse pubblico prevalente.
Ancora – secondo l’appellante – il TAR avrebbe errato nel ritenere consentita la deroga ai caratteri costruttivi del tetto, atteso il tenore dell’art. 14 del dpr 380/2001, che consente deroga esclusivamente ai limiti di densità edilizia e di altezza. Anche in questo caso il principio di ragionevolezza vuole che, se sono consentite deroghe a parametri urbanistici rilevanti, come la densità, l’altezza, la distanza, oggetto di specifica normazione e standardizzazione su base nazionale, a fortiori possono essere consentite deroghe alle caratteristiche costruttive di alcuni elementi, ovviamente ove sia previamente acquisita la valutazione della competente Sovrintendenza.
B – Sull’autorizzazione storico artistica:
L’impianto motivazionale, dell’amministrazione in prima battuta e del TAR in sede di accertamento giurisdizionale, sarebbe, oltre che scarno, erroneo, poiché, a dire dell’appellante: 1) la destinazione commerciale non sarebbe venuta meno negli anni 30 a seguito di ristrutturazione, ma già durante la dominazione napoleonica (1797 -1809), epoca in cui il Fondaco venne trasformato in uffici; 2) le modifiche esterne non modificherebbero affatto parti del Fontego costruite negli anni 30 e costituenti alterazione dell’originario aspetto: il lucernario era preesistente agli anni 30; le due falde del tetto (ora divenute terrazza panoramica) non erano state modificate in quegli anni ma erano originarie, il foro circolare incide su muri che si sarebbero mantenuti inalterati sino ad oggi. Ma anche ove le opere incidessero su parti non originarie, esse non potrebbero definirsi di restauro o risanamento conservativo, ed in ogni caso violerebbero l’art. 2 del dPR 79/73, che pretende la conservazione integrale delle strutture storiche, nonché l’art.29 del dlgs 42/2004, che definisce “restauro” le operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene. Tali non potrebbero certo considerarsi la copertura vetrata, la terrazza panoramica ed il foro circolare. Inoltre, l’evidenziata discrezionalità tecnica del sovrintendente non varrebbe ad esonerarlo dal dovere di motivare in ordine alle cautele ed ai dubbi indicati e manifestati dal Comitato tecnico scientifico, in particolare proprio in relazione al padiglione di copertura della corte centrale.
Anche queste censure sono infondate.
Occorre innanzitutto fare chiarezza su un punto: dagli atti emerge che l’amministrazione (e non, o non solo, il costruttore) ha attivato un peculiare procedimento teso specificatamente a verificare, attraverso indagini storiche e tecniche, se l’edificio abbia o meno subito trasformazioni nel tempo, ed in che misura. La Commissione scientifica comunale ha accertato che l’immobile è stato irreversibilmente trasformato nel periodo 1929 – 1939 per l’insediamento della sede centrale delle Poste. In particolare, le trasformazioni consistono: nella demolizione di rilevanti porzioni delle murature portanti preottocentesche con inserimento del nuovo sistema portante reticolare in cemento armato; nella nuova distribuzione interna degli ambienti; nella completa demolizione dei solai preottocenteschi originari del mezzanino e del primo piano e nel quasi completo rifacimento dei rimanenti solai; nella completa demolizione della struttura originaria del tetto, sostituita da travi reticolari in cemento armato, e nella parziale modifica della sagoma della copertura in corrispondenza della ex “sala telegrafo”.
Anche il muro interno alla corte ove è progettualmente previsto il foro circolare è stato oggetto di trasformazione (la circostanza è comprovata da ispezioni e sondaggi effettuati in corso di lavori).
Ciò chiarito, e non essendovi motivi per dubitare dell’attendibilità delle conclusioni cui è giunta la commissione di esperti (del resto l’appellante, in questa sede, non è andato oltre la mera contestazione), è evidente che le valutazioni della sovrintendenza in ordine alla compatibilità degli elementi progettati (tetto, terrazza, foro circolare) hanno tenuto conto della non originarietà dal punto di vista storico-artistico di alcune parti dell’edificio, per questa via giungendo ad autorizzare, in sostituzione di quelle parti, l’inserimento di elementi di moderna e qualificata architettura, che comunque assicurino, unitamente alla funzionalità, l’armonia e la bellezza dell’insieme.
La motivazione non è affatto stringata ed insufficiente, essendo la stessa da leggere unitamente alla corposa istruttoria che l’ha preceduta. Tra l’altro, il progetto attuale, è già il frutto di una rielaborazione di una precedente idea progettuale oggetto di valutazione negativa, ed è stato autorizzato con una fitta serie di cautele e prescrizioni, puntualmente richiamate dal permesso di costruire in deroga, ed in particolare:
– realizzazione dell’interrato nel rispetto delle condizioni stabilite dalla sovrintendenza per i beni archeologici;
– presentazione, prima della rimozione delle tamponature esistenti e dell’apertura di fori, del progetto esecutivo, con indicazione dei materiali utilizzati;
– adeguato approfondimento tecnico per la realizzazione del foro circolare in modo da limitare l’impatto architettonico sulla percezione della fabbrica;
– accurato studio del piano di calpestio all’ultimo livello, in modo che possa configurarsi elemento “aggiunto”;
– garanzia della leggibilità dei sistemi costruttivi caratterizzanti gli interventi conservativi e di restauro del grande lucernario in ferro e vetro;
– compiuto sviluppo progettuale esecutivo del piano di calpestio in legno, cui si accede dal lucernario, con esplicito riporto delle quote di riferimento;
– compatibilità dei materiali utilizzati;
– sottoposizione di qualsiasi, pur lieve modifica in itinere, anche migliorativa, alla previa autorizzazione della sovrintendenza.
C – Quanto all’autorizzazione paesaggistica:
Secondo l’appellante, dal testo del parere contenuto nel verbale della conferenza di servizi dell’11 gennaio 2013 emergerebbe che la sovrintendenza ha espresso parere paesaggistico favorevole esclusivamente in ragione dell’accertata compatibilità storico monumentale, così operando una sovrapposizione dei due piani. Il parere della Commissione Edilizia integrata sarebbe frutto di un travisamento poiché non avrebbe preso in considerazione la compatibilità paesaggistica della terrazza panoramica.
Anche questi motivi sono infondati.
La Soprintendenza ha sinteticamente espresso il proprio parere di compatibilità paesaggistica nella Conferenza di Servizi all’uopo costituita, sulla base dell’esame della documentazione progettuale, dell’istruttoria dell’ufficio e del parere favorevole della Commissione Edilizia comunale, secondo quanto previsto dall’art.146, comma 7, del d.lgs. n. 42/2004 e dall’art. 29, comma 3, del Regolamento Edilizio: “l’amministrazione effettua gli accertamenti circa la conformità dell’intervento proposto con le prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani paesaggistici e trasmette al soprintendente la documentazione presentata dall’interessato, accompagnandola con una relazione tecnica illustrativa nonché con una proposta di provvedimento” al fine di accertare “la compatibilità rispetto ai valori paesaggistici riconosciuti dal vincolo ed alle finalità di tutela e miglioramento delle qualità del paesaggio individuati dalla dichiarazione i notevole interesse pubblico“.
La commissione edilizia comunale ha valutato l’impatto visivo di tutte le opere proposte e dichiarato la sostanziale inalterazione della prospettiva dello skyline percepibile dall’esterno anche a distanze notevoli, poiché di fatto non vi è alcuna vistosa alterazione della copertura, in quanto il progetto conserva sostanzialmente tutte le falde di copertura oblique del perimetro esterno dell’edificio.
E’ evidente che la conferenza di servizi – sede in cui il parere finale è stato reso dal sovrintendente – è modulo che agevola il confronto ed il dialogo verbale, a discapito degli scritti. La stringata motivazione del parere vincolante conclusivo, riportata in verbale, è quindi in gran parte effetto del peculiare modus operandi.
Quanto ai contenuti specifici della stringata motivazione, ed al riferimento contenuto nella stessa alla valenza e pregnanza della precedente autorizzazione storica artistica, v’è da dire, in un approccio realistico, che, avuto riguardo alla specificità dell’intervento di risanamento conservativo progettato, i rigorosi e stringenti contenuti del vincolo di tutela monumentale assorbivano in gran parte quelli paesaggistici.
Relativamente all’asserito travisamento indotto dall’equivocità del termine “altana” utilizzato dalla Commissione comunale, può condividersi quanto osservato dalla difesa della società resistente, ossia che “è noto e pacifico in ambito edilizio che il termine “altana” indica la tipica terrazza veneziana posta di norma su una falda di copertura, come nel caso di specie”.
In conclusione l’appello è respinto.
Avuto riguardo alla peculiarità e complessità delle questioni, appare equo compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/06/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)