Su proposta dal Ministro dei Beni e delle Attività culturali, Dario Franceschini, il Governo ha emanato il Decreto Legge n. 83 del 31 maggio 2014, contenente “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo“.
Sul cosiddetto decreto Cultura e Turismo, noto anche come Decreto ArtBonus, dopo l’approvazione alla Camera, il governo ha ottenuto la fiducia in Senato con 159 si e 90 no, nessun astenuto: l’approvazione da parte del Senato è arrivata in seconda lettura con la deposizione in aula della fiducia.
È stato così convertito nella Legge n. 106 del 29 luglio 2014 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del 30 luglio 2014.
In particolare, il provvedimento contiene le seguenti norme:
- ArtBonus – Misure per favorire il mecenatismo culturale attraverso un credito di imposta al 65% per gli anni 2014 e 2015 e al 50% per il 2016.
- Grande Progetto Pompei – Semplificazioni delle procedure.
- Reggia di Caserta – Tutela e la valorizzazione del complesso (Reggia, Parco Reale, giardino “all’inglese”, Oasi di San Silvestro e Acquedotto Carolino) avviando il progetto di riassegnazione degli spazi dell’intero complesso, da eseguire entro il 31 dicembre 2014.
- Fondazioni lirico-sinfoniche – Il fondo di rotazione per la concessione di finanziamenti trentennali alle fondazioni che hanno presentato il piano di risanamento è incrementato di 50 milioni di euro per l’anno 2014.
- Tax Credit per il Cinema – Al fine di attrarre investimenti esteri in Italia nel settore della produzione cinematografica, il limite massimo del credito d’imposta per le imprese di produzione esecutiva e le industrie tecniche che realizzano in Italia, utilizzando mano d’opera italiana, film o parti di film stranieri è innalzato da 5 a 10 milioni di euro. Lo stanziamento per le agevolazioni fiscali al cinema e agli audiovisivi è aumentato di 5 milioni di euro e passa da 110 a 115 milioni.
- Piano strategico “Grandi Progetti Beni Culturali” – Entro il 31 dicembre di ogni anno verrà adottato un piano strategico per i grandi progetti sui beni culturali, che individua beni o siti di eccezionale interesse per i quali sono necessari interventi di restauro e valorizzazione.
- Esercizi ricettivi – Per sostenere la competitività del turismo italiano e favorire la digitalizzazione del settore sono riconosciuti crediti d’imposta del 30% per la ristrutturazione edilizia e l’ammodernamento delle strutture ricettive e per le spese sostenute negli anni 2014, 2015, 2016, 2017 e 2018 per l’acquisto di siti e portali web, di programmi informatici integrabili all’interno di siti web e dei social media per automatizzare il processo di prenotazione e vendita diretta on-line di servizi e pernottamenti, di servizi di comunicazione e marketing per generare visibilità e opportunità commerciali sul web e sui social media e comunità virtuali, di App per la promozione delle strutture, dei servizi e del territorio e la relativa commercializzazione, di spazi e pubblicità per la promozione e commercializzazione di servizi, pernottamenti e pacchetti turistici sui siti e piattaforme web specializzate.
- Piano Mobilità Turistica – L’obiettivo è quello di favorire la raggiungibilità e fruibilità del patrimonio storico e ambientale con particolare attenzione ai centri minori ed al sud Italia. Per promuovere circuiti turistici di eccellenza il Mibact semplifica e snellisce le proprie procedure burocratiche.
- Guide turistiche – Previa intesa con le Regioni e le province autonome, entro il 31 ottobre 2014 verranno individuati i requisiti necessari per ottenere le abilitazioni specifiche per le guide turistiche nei siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico e il procedimento di rilascio.
- Strutture turistiche – Per favorire la nascita di nuove iniziative turistiche vengono semplificate le procedure amministrative di apertura delle attività ricettive.
- Musei – Si da l’avvio alla possibilità di creare soprintendenze autonome, senza maggiori oneri per la finanza pubblica, per i beni e i siti culturali di eccezionale valore. In questi ultimi e nei poli museali è prevista la figura dell’amministratore unico (il cosiddetto Manager museale), da affiancare al soprintendente, con specifiche competenze gestionali e amministrative in materia di valorizzazione del patrimonio culturale.
- Beni culturali – Si introduce una parziale liberalizzazione del regime di autorizzazione della riproduzione e della divulgazione delle immagini di beni culturali per finalità senza scopi di lucro quali studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero, espressione creativa e promozione della conoscenza del patrimonio culturale.
Per quanto riguarda la nuova figura dell’amministratore unico dei musei si rimanda all’articolo dal titolo “Le Muse messe al bando” pubblicato in data odierna su questo stesso sito. (https://www.rodolfobosi.it/le-muse-messe-al-bando/?preview=true&preview_id=14671&preview_nonce=7bda09d0b8)
Per quanto riguarda invece i Beni culturali si completa l’attenzione che oggi si vuol porre sui musei proprio con l’esame della parziale liberalizzazione dello scatto fotografico nei musei che è stata introdotta e accolta con grande entusiasmo dal popolo della rete, ma proposta dai vari media e reti sociali in decine di differenti versioni, durante le fasi del dibattito parlamentare.
La liberalizzazione dello scatto fotografico modifica sostanzialmente l’art. 108 del “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” emanato con Decreto Legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004.
Come racconta Antonella De Robbio, del Centro di Ateneo per le Biblioteche dell’Università di Padova, (in AIB Notizie http://aibnotizie.aib.it/derobbio-artbonus/) “in sintesi, il 28 luglio, dopo un dibattito al Senato durato tutto il giorno, alle 20.30, ArtBonus è stato definitivamente approvato con modificazioni (tramite votazione per appello nominale).
Antonella De Robbio
Il testo ha raccolto molte delle osservazioni che erano emerse nel dibattito alla Camera.
… Si tratta di un pacchetto di norme che il settore dei beni culturali attendeva da almeno un ventennio.
Uno degli aspetti di interesse che si pone al confine tra diritto d’autore e tutela dei beni culturali è il tema dei diritti di riproduzione sulle opere d’arte custodite nei 3400 musei italiani.
In Italia prima del decreto ArtBonus, la possibilità di riprendere opere d’arte nei musei (foto o video), anche per un privato cittadino, era soggetta a divieti o restrizioni.
Alcuni musei stranieri hanno norme restrittive in merito a riproduzione di opere e spesso richiedono pagamento di diritti di riproduzione.
La gestione dei diritti di riproduzione è spesso data in concessione ad agenzie fotografiche che si appoggiano a reti e banche dati di immagini a pagamento che rilasciano licenze differenziate a seconda degli scopi e usi.
Tuttavia sono numerose le istituzioni culturali e i musei che si sono dotati di politiche aperte o hanno aderito a progetti innovativi per la liberalizzazione delle immagini di opere d’arte.
Il decreto ArtBonus va in questa direzione e cambia in parte la vecchia regolamentazione.
La liberalizzazione dello scatto fotografico nei musei italiani è ora possibile con qualsiasi dispositivo elettronico privo di flash, cavalletto o stativo e nel rispetto delle persone in sala.
La foto deve però essere utilizzata per fini non di lucro e in tal caso può essere condivisa sulle reti sociali.
In modifica all’art. 108 del Codice il nuovo decreto pone due aperture interessanti.
Uno degli emendamenti in Senato è stato quello che ha escluso dalla liberalizzazione la riproduzione dei beni archivistici e bibliografici.
A scopo puramente informativo l’emendamento che ha cassato dal comma i beni archivistici e bibliografici è stato presentato e accolto da tutto il Partito Democratico, in sede di dibattito parlamentare.
Prima firmataria Flavia Nardelli Piccoli, segretaria della Commissione Cultura della Camera, ma sottoscritto da tutti i componenti del Partito Democratico di questa commissione e di quella delle Attività produttive (tra cui Pippo Civati e Matteo Orfini), un’accettazione trasversale alle diverse anime.
Flavia Nardelli Piccoli
È grazie a questo emendamento che sono stati tolti dal campo di applicazione della nuova norma i beni bibliografici e archivistici.
Del resto difficilmente un manoscritto può essere riprodotto “con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene,” e comunque la riproduzione di documenti di archivio o bibliografici dovrebbe essere attuata con le dovute cautele e eventuali regolamentazioni dovrebbero essere attuate sentiti i professionisti dei settori.
… Le foto sono state liberalizzate anche per la disseminazione su rete, ma per scopi di ricerca, studio, personali, non a scopo di lucro.
È la stessa relazione di accompagnamento a chiarire che “si consente la libera pubblicazione, ad esempio su blog o social network, di fotografie che riproducano beni culturali, tutte le volte in cui ciò avvenga senza scopo di lucro, neanche indiretto, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale.”
Del resto l’immagine divulgata in rete se a bassa risoluzione difficilmente può essere usata da terzi per fini di lucro.
Usare una foto di un’opera tramite lo scatto liberalizzato e inserirla in un ebook che poi viene venduto e messo in commercio, anche se il contenuto del libro è redatto per scopi didattici o di ricerca, rientra sempre nel fine di lucro.
In effetti se la pubblicazione viene venduta dalla casa editrice anche se universitaria è sempre lucro, perché si tratta di attività commerciale.
Del resto anche nei bilanci universitari una university press è considerata un’attività commerciale a tutti gli effetti.
In ogni caso molte agenzie fotografiche rilasciano licenze particolari, meno costose per usi di tipo editoriale.
Lo scopo di lucro non è solo la pubblicità o la vendita delle magliette o di cartoline come si legge in vari blog approssimativi.
Un editore persegue un fine di lucro, non fa beneficenza, a meno che non sia un editore Open Access.
In ogni caso è il detentore dei diritti – dell’opera riprodotta, non della mera riproduzione fotografica – in quanto titolare dei diritti come creatore dell’opera d’arte o titolare dei diritti perché acquisiti in rappresentanza del titolar, che decide se concedere l’uso della riproduzione per scopi diversi da quelli stabiliti dalla norma.
In ogni caso la nuova regolamentazione non cambia le regole per i soggetti terzi eventualmente interessati all’uso dell’immagine per fini di lucro che non sono in alcun modo esonerati dal pagamento del canone.
Ma attenzione, la norma è circoscritta al nostro Paese.
In musei di altri Paesi, o anche solo nei musei Vaticani, o nelle collezioni private va sempre indagato se e come è regolamentata la possibilità di effettuare riproduzioni delle opere.
Nei siti web di musei e gallerie sono presenti informazioni e note di copyright.
Il prof. Daniele Manacorda dell’Università degli Studi di Roma Tre si chiede (https://fotoliberebbcc.wordpress.com/tag/riproduzione-beni-culturali/): “Che cosa ha di rivoluzionario un simile provvedimento?”
Daniele Manacorda
“Nulla” si risponde e prosegue: “È assolutamente ovvio che i cittadini abbiano libero accesso alla riproduzione dei beni che costituiscono il LORO patrimonio culturale e sono custoditi nei musei PUBBLICI.
Eppure, la parola ‘rivoluzionario’ non è affatto sprecata, né enfatica.
Il provvedimento di Franceschini ha rimosso, infatti, un macigno, un malcostume imbellettato dall’ossequio a leggi primitive che aveva vietato da sempre le fotografie nei musei o nelle biblioteche statali e infettato le istituzioni locali. Il visitatore che entrava nel museo con la macchina fotografica in mano era guardato come un ladro dei fumetti, di quelli che girano con il grimaldello in mano e la mascherina sugli occhi.
Ladro in casa propria, ovviamente.
Dietro a questa vicenda ci sono due aspetti: uno economico, l’altro psicologico-culturale.
Quello economico si manifesta sotto la veste di stupide royalties, che dovrebbero andare ad incrementare la finanza pubblica, quando forse sarebbe facile impresa dimostrare che lo Stato probabilmente spende per incassare quei soldi più di quanto ne ricavi.
Personalmente ho sempre ritenuto che, quando la proprietà dei beni è pubblica, la Pubblica Amministrazione non dovrebbe tanto trarre redditi dal suo patrimonio, quanto metterlo a disposizione della società perché produca redditi.
Una concezione proprietaria del patrimonio culturale, diffusamente coltivata da parte delle istituzioni pubbliche, ha trasformato lo Stato in un bottegaio, declinando il tema del rapporto cultura-economia ad un livello di bassissimo profilo.
Va detto, tuttavia, che verso questo atteggiamento c’è stata una diffusa acquiescenza, anche da parte del mondo degli addetti ai lavori, come se fosse ovvio che, se lo Stato ha la proprietà di un bene, debba chiedere un copyright sull’uso delle immagini invece di mettere gratuitamente in rete le informazioni perché circolino e vivano: con beneficio dell’editoria culturale, certo, ma anche della crescita culturale collettiva e del senso di appartenenza.”
Il Prof. Daniele Manacorda non la pensa invece come Antonella De Robbio sul divieto di riproduzione dei beni archivistici e librari.
“L’aspetto psico-culturale si manifesta se andiamo a mettere il naso nella vicenda parlamentare che ha maldestramente peggiorato il testo governativo del decreto ministeriale, introducendo una assurda limitazione alla riproduzione dei beni archivistici e librari.
Il mantenimento del divieto di libera fotografia colpisce innanzitutto gli studiosi, e in particolare i più giovani, negando loro un notevole risparmio, in termini di tempo e denaro, a tutto vantaggio delle ditte private concessionarie del servizio di riproduzione, a norma della legge Ronchey.
«A ben guardare, però, il sistema dell’outsourcing nasceva per gestire i cosiddetti servizi aggiuntivi, come bookshop o caffetterie, e dunque per dotare gli istituti di quelle competenze di cui normalmente sono sprovvisti.
Questa delega diventa però del tutto superflua, anzi un vero ostacolo, se lo stesso servizio è perfettamente gestibile dagli utenti in autonomia grazie al mezzo digitale che, rispetto alla tecnologia analogica, ha reso la fotografia finalmente alla portata di tutti» .
Gli argomenti a sostegno del divieto di riproduzione dei beni archivistici e librari hanno sollevato dunque il problema economico e quello di tutela.
Ignari dell’esistenza dell’art. 108 del Codice dei Beni Culturali, che stabilisce la gratuità delle riproduzioni a scopo di studio, ci si è affrettati a dire che la piccola percentuale di quel balzello andava pur sempre a incrementare le sguarnite casse degli istituti.
L’argomento – dispiace dirlo – è di natura pezzente, e scarica sui ricercatori le inadempienze dell’amministrazione.
Ma la sua pretestuosità è rafforzata dal secondo cavillo burocraticamente sollevato all’attenzione dei nostri parlamentari (che ci sono caduti ‘con tutte le scarpe’).
La liberalizzazione riguarderebbe, infatti, la riproduzione dei beni senza contatto fisico, ed ognun sa che per fotografare un libro o un codice – a differenza di una statua, un quadro o un coccio in una vetrina – occorre sfogliarlo!
Impeccabile argomento: in base al quale i frequentatori dei nostri archivi dovranno rinunciare non a fotografare, ma finanche a leggere qualunque pezzo di carta, a meno che un funzionario del nostro Ministero (uno per studioso!) non stia compuntamente alle spalle di ciascun lettore pronto a girare le pagine del libro, come il voltaspartito ad un pianista!
Sorvoliamo per carità di patria su queste squallide lepidezze, e andiamo a vedere gli aspetti culturali che stanno dietro a questa vicenda.
«V’è il forte sospetto – scrive Modolo – che dietro a simili motivazioni economiche se ne celino altre di più subdole, e in particolare l’idea inconfessata che la proliferazione delle copie dei documenti, senza i limiti imposti da un tariffario che scoraggi di fatto la riproduzione, svilisca l’unicità dell’originale.
In quest’ottica archivi e biblioteche rischiano di somigliare più alle collezioni dei principi dell’evo moderno che limitavano o proibivano il disegno dei loro cimeli per imporne l’unicità.
Sono tracce di una concezione proprietaria e patrimoniale dei beni culturali, che è l’esatto opposto della moderna nozione democratica di bene pubblico.
La missione delle biblioteche e degli archivi è, infatti, sì quella di conservare, ma anche di garantire, agevolando le libere riproduzioni, la massima fruibilità dei documenti e dei loro contenuti a tutti quegli studiosi che, attraverso la ricerca, restituiscono un valore al materiale documentario, e in fin dei conti un senso alla loro stessa conservazione.
È questo che indica il combinato disposto degli artt. 9 e 33 della Costituzione».
Ma c’è dell’altro.
Non si creda, infatti, che la liberalizzazione delle fotografie nei musei sia invece indolore.
Anche all’estero, per tradizione assai più liberale delle nostre contrade, il fatto fa discutere.
Dopo il Louvre e il Moma anche la National Gallery di Londra ha recentemente liberalizzato quanto da sempre è permesso nel mitico Museo Nazionale archeologico di Copenhagen.
I responsabili della galleria hanno candidamente confessato che l’uso ormai pervasivo di smartphone e tablet rendeva difficile ai guardiani distinguere se si stesse o no fotografando qualcosa: insomma, più che di una presa di coscienza, la liberalizzazione ha un po’ il sapore di una resa.
Sorge il dubbio se questa giustificazione così sgangherata serva piuttosto a tacitare le ire di qualcun altro.
Di chi?
Ce lo fa capire un editoriale del Guardian, che ha moralisticamente stigmatizzato coloro che «preferiscono fotografare ed essere fotografati invece di guardare», mentre l’esperto Sam Cornish dal sito Abstract Critical deplora: «La cosa più grave è la cultura del ‘non guardare’ che le macchine fotografiche promuovono», dando così fiato a quegli ‘esimi palati’, che piangono per la dissacrazione che la fotografia introduce nei ‘loro’ templi portando con sé «la fine dell’ultimo bastione della contemplazione» (Michael Savage, critico d’arte).
Si sa, per certi supponenti […] i musei belli sono quelli vuoti.
Quei musei dove un visitatore, per qualunque motivo, voglia portarsi a casa un’immagine di quello che ha visto, magari per coltivare la propria cultura o solamente i suoi ricordi, sono veramente qualcosa di insopportabile!
A ben pensarci, sarebbe il caso di vietare le fotografie anche ai turisti per strada, così finalmente vedranno dal vero il Colosseo e la Fontana di Trevi!
A volte si ha davvero l’impressione che anche i più colti fra gli addetti ai lavori ritengano che sia un obiettivo sensato indurre in milioni di abitanti del pianeta coinvolti dal turismo culturale i nostri stessi comportamenti, invece di trovare le vie più efficaci perché il patrimonio parli anche a loro e da loro sia fatto parlare.
È assolutamente vero che la pratica ossessiva della fotografia turistica entra in conflitto con l’osservazione diretta e sposta compulsivamente l’attenzione dall’oggetto alla macchina per rinviarla ad un tempo e ad una situazione indefinita; ma sarebbe davvero paradossale se questo argomento venisse utilizzato con atteggiamento pedagogico per conculcare un diritto fondamentale.
D’altra parte, il pensiero antropologico ci aiuta a capire alcuni aspetti della paura dell’immagine, che ossessiona certi sacerdoti della tutela.
Come in alcune tribù sperdute nella giungla o nell’oceano, la fotografia scatena la paura che la macchina rubi le loro anime.
Per chi vive l’ossessione da possesso l’anima può effettivamente risiedere in un quadro.”
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Con la legge n. 109 del 29 luglio 2014 all’articolo 108 del D. Lgs. n. 42/2004 è stato aggiunto il seguente comma 3 Bis.
1. I canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle riproduzioni di beni culturali sono determinati dall’autorità che ha in consegna i beni tenendo anche conto:
a) del carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d’uso;
b) dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni;
c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni;
d) dell’uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente.
2. I canoni e i corrispettivi sono corrisposti, di regola, in via anticipata.
3. Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro. I richiedenti sono comunque tenuti al rimborso delle spese sostenute dall’amministrazione concedente.
3-bis. Sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale:
1) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni bibliografici e archivistici attuata con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l’esposizione dello stesso a sorgenti luminose, né, all’interno degli istituti della cultura, l’uso di stativi o treppiedi;
2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro, neanche indiretto.
4. Nei casi in cui dall’attività in concessione possa derivare un pregiudizio ai beni culturali, l’autorità che ha in consegna i beni determina l’importo della cauzione, costituita anche mediante fideiussione bancaria o assicurativa. Per gli stessi motivi, la cauzione è dovuta anche nei casi di esenzione dal pagamento dei canoni e corrispettivi.
5. La cauzione è restituita quando sia stato accertato che i beni in concessione non hanno subito danni e le spese sostenute sono state rimborsate.
6. Gli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per l’uso e la riproduzione dei beni sono fissati con provvedimento dell’amministrazione concedente.
Dott. Arch. Rodolfo Bosi