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Home Aree agricole

Francia: per le coltivazioni Ogm l’onere della prova è al contrario

06/06/2014
in Aree agricole, Governo del territorio, News
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Immagine.logo Consiglio Costituzionale

Con questo titolo il 2 giugno 2014 sul quotidiano “La Repubblica” è stato pubblicato il seguente articolo di Carlo Petrini, conosciuto come Carlin (Bra, 22 giugno 1949), che è un gastronomo e scrittore italiano, fondatore dell’associazione Slow Food.

Immagine.Carlo Petrini

 Carlo Petrini

L’articolo riguarda definitivamente la proposta di legge che ai primi dello scorso mese di maggio il Parlamento francese ha approvato definitivamente e che vieta la coltivazione di varietà di mais geneticamente modificato, prevedendo la possibilità di ordinarne la distruzione in caso di mancato rispetto del provvedimento.

Lo ha reso rende noto la Coldiretti nel sottolineare che peraltro il Consiglio di Stato  d’oltralpe ha respinto le richieste di una sospensiva urgente del decreto governativo del 14 aprile che vieta la coltivazione del mais mon810 della Monsanto perché i giudici francesi hanno ritenuto che i ricorrenti non abbiano giustificato l’urgenza della sospensiva e che il decreto “non comporta un problema grave ed immediato per la situazione economica“.

Immagine.Consiglio di Stato francese

Questa settimana in Francia è successa una cosa su cui riflettere.

Non mi riferisco all’esito delle elezioni Europee, ma al pronunciamento del Consiglio Costituzionale francese che ha dichiarato la piena conformità alla costituzione transalpina della legge che vieta la coltivazione di mais OGM.

Questa è cronaca, ma dietro questa decisione c’è un modo inedito di considerare il rapporto tra le biotecnologie e l’autodeterminazione dei popoli ribaltando l’onere della prova in materia di circolazioni delle merci.

In Francia non esiste come da noi o in Germania una Corte Costituzionale che giudica le leggi, secondo il metro della Carta, una volta che sono già state approvate e sono entrate nel sistema giuridico del paese.

Conformemente alla tradizione che risale direttamente alla Rivoluzione, il parlamento è sovrano e una volta che si è pronunciato, non è accettabile che un potere diverso da quello legislativo intervenga a cambiare o abrogare le norme.

Immagine.logo Repubblica francese

Per questo, a partire dagli anni ’50, opera un Consiglio Costituzionale, il cui funzionamento è preliminare: se nel corso di un iter di approvazione si dubita che possa esserci un conflitto con la Costituzione, si può ricorrere al Consiglio, che esprime il suo parere prima dell’approvazione degli articoli.

Il ricorso presentato il 6 maggio scorso lamentava che una legge che proibisce la coltivazione di mais OGM sia una legge incostituzionale perché la Costituzione Francese espressamente riconosce i trattati internazionali come fonte superiore alla legge nazionale.

E i trattati fondativi dell’UE devolvono a quest’ultima la competenza in materia di agricoltura.

Dunque, scrivono i ricorrenti, una legge francese che va a intervenire tanto pesantemente in ambito agricolo, viola i trattati e quindi anche la Costituzione.

Il Consiglio ha respinto questa interpretazione e lo ha fatto in punta di diritto (penserete: ci mancherebbe!): esso ha infatti statuito che del conflitto tra le leggi francesi e i trattati si occupa la Corte Europea e che a questa ricorrono i giudici ordinari o amministrativi, non il Consiglio Costituzionale.

Insomma: la legge non è incostituzionale non perché il divieto di coltivare gli OGM sia conforme alla costituzione, ma perché non è il Consiglio Costituzionale a doversi pronunciare.

Ma non è tutto, adesso arriva la novità.

Il Consiglio va oltre e la cosa riprende interesse.

Esso considera infatti, prima di esprimere la propria decisione, l’articolo 5 della Carta dell’Ambiente (una legge costituzionale autonoma in Francia) e addirittura la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1789, laddove prescrive che una legge, per essere giusta, debba essere accessibile e comprensibile ai cittadini.

Riguardo a quest’ultimo punto, il riferimento è tranchant: l’articolo unico della legge di cui si discute (la coltivazione del mais OGM è vietata) non presenta profili di incertezza o di difficoltà di interpretazione.

Ma sono le considerazioni sull’articolo 5 della Carta dell’Ambiente a essere indicative di una precisa sensibilità giuridica a Parigi.

Quest’articolo definisce il principio di precauzione: quando le autorità hanno il dubbio che una pratica possa arrecare un danno grave e irreversibile all’ambiente, quantunque manchi la certezza scientifica di quel danno, debbono vegliare e possono adottare misure provvisorie di cautela, prevedendo accertamenti del rischio.

Qui non siamo più nel campo dell’ostica (e anche un po’ noiosa) procedura legislativa: qui siamo nel merito delle cose.

I ricorrenti sostengono che il fatto di vietare senza limite di tempo significa una grave incomprensione del principio di precauzione.

Ma, per il Consiglio Costituzionale, si sbagliano e lo afferma ribaltando un principio cardine del sistema mondiale di libero scambio.

Si dice infatti che tra i paesi che fan parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, la circolazione delle merci non si può interdire ad libitum: chi vuole proibire l’ingresso di una merce o l’adozione di una pratica nella produzione di cibo deve farsi carico di dimostrare che essa è in qualche misura pericolosa.

 Immagine.logo OMC

Altrimenti, salvo un periodo di quarantena durante il quale si possono cercare le prove di tale pericolosità, mancando le evidenze, si presume un pericolo non ci sia.

Dunque, nel dubbio, via libera alle merci. 

 Il Consiglio Costituzionale francese, semplicemente ribalta questa interpretazione generalmente accettata, stabilendo che se è vero che la legge dice che la coltivazione del mais GM è proibita, è altrettanto vero che non dice che lo è per sempre.

Questo che cosa significa?

Che la porta è aperta alla dimostrazione che l’ambiente e le coltivazioni non GM sono al sicuro dall’inquinamento genetico che può venire da questi semi tecnologici, ma l’onere della prova è invertito.

Chi vuole superare il divieto, per convinzione o convenienza può farlo, certo, su basi scientifiche, ma non può più comodamente contare sul fatto che la moratoria abbia necessariamente una scadenza. 

Come finirà la partita quando un giudice chiederà alla corte di Lussemburgo di pronunciarsi sul conflitto tra questa legge francese e i trattati dell’UE è presto per dirlo.

Tuttavia possiamo riconoscere nel pronunciamento del Consiglio Costituzionale una rivendicazione di autodeterminazione molto civile e pacata, però ferma nel dire che non è chi vuole conservare il patrimonio agricolo e alimentare esistente a dover dimostrare la pericolosità delle novità tecnologicamente più avanzate, per ottenerne il bando, bensì i produttori di queste ultime a dover fornire le prove della loro innocuità, per ottenerne l’ammissione.

 

 

 

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