La storia dell’alimentazione rappresenta una delle chiavi di lettura dell’identità di una nazione, delle sue evoluzioni culturali, anche quale conseguenza di relazioni con altre popolazioni.
Rispetto ad altre espressioni culturali l’alimentazione è in grado di esprimere in modo facile e intuitivo il radicamento identitario che è implicito nella prassi alimentare di ciascuno di noi e che, negli ultimi anni, ha giustificato una politica accorta di preservazione delle peculiarità agroalimentari dei nostri territori, promuovendo la diffusione di marchi di qualità (DOP, IGP, DOC e STG) direttamente legati alle origini geografiche e alle tradizioni culinarie della filiera enogastronomica europea.
Uno spirito di conservazione che si scontra quotidianamente con il progressivo processo di livellamento legato alla globalizzazione che, pur favorendo l’incontro e l’integrazione culturale, spesso annulla le peculiarità locali, innescando una competizione al ribasso sia in termini qualitativi che, conseguentemente, identitari.
“Noi siamo ciò che mangiamo” (“Man ist, was man isst”), asseriva nella seconda metà dell’800 il filosofo Ludwig Feuerbach facendosi interprete di un concetto che negli ultimi anni si è particolarmente consolidato nell’immaginario collettivo, affiancandosi a locuzioni cristallizzate dalla sapienza popolare come il celebre motto “mangia come parli” che bene esprime il ruolo del cibo come metafora di integrazione e trasformazione, in quanto risorsa indispensabile per la vita e motore identitario del quotidiano; un quotidiano che, tuttavia, è al tempo stesso stabile e mutevole, così come mutano e si evolvono nel tempo la lingua, le mode e le consuetudini (cfr. C. Scaffidi, Mangia come parli. Com’è cambiato il vocabolario del cibo, Bra 2014, con prefazione di Tullio De Mauro).
Anche per queste ragioni un evento per definizione globalizzante come l’Expo Milano 2015, Nutrire il Pianeta, Energia per la vita (che per la terza volta dal 1851 torna ad essere ospitato in Italia, 104 anni dopo l’edizione torinese del 1911) ha scelto ambiziosamente di confrontarsi “sulla storia dell’Uomo e sulla produzione di cibo, nella sua doppia accezione di valorizzazione delle tradizioni culturali e di ricerca di nuove applicazioni tecnologiche”.
Si è così cercato di conciliare la dialettica apparentemente ossimorica tra innovazione e tradizione, facendo sì che esse fossero finalmente intese come tappe di un “percorso culturale, di crescita e di cambiamento che valorizza l’interazione tra i popoli nel rispetto del Pianeta” (http://www.expo2015.org/it/cos-e/storia).
L’Expo di Milano, dunque, con il suo “capitale” di valori e di visitatori italiani e stranieri, offre una opportunità di straordinaria importanza per la promozione del nostro patrimonio culturale, consentendo di indagarne la profondità materiale, artistica e storica attraverso uno degli aspetti più comuni del nostro vivere quotidiano: la produzione, il consumo, la sociologia e la ritualità del cibo.
Con questi intenti la Direzione generale Musei ha individuato per l’edizione 2015 delle GEP il seguente tema portante: “La Cultura è il cuore dell’Europa. Ritualità e storia dell’alimentazione attraverso l’arte italiana”.
Com’è nello spirito dell’iniziativa, le GEP si pongono come obiettivo quello di implementare la tradizionale offerta culturale sia rendendo fruibili al pubblico con aperture straordinarie luoghi normalmente inaccessibili sia offrendo eventi speciali e visite guidate inedite a monumenti, musei e aree archeologiche, al fine di sottolineare la centralità della cultura quale essenziale fattore di coesione sociale, da cui ripartire verso nuovi modelli di sviluppo sostenibile.
Le tematiche in discorso si prestano a molteplici approfondimenti e sviluppi prospettici, da declinare assecondando le peculiarità, le risorse e l’inventiva dei singoli Istituti.
Ad un approccio di tipo storico-artistico legato all’analisi stilistica e iconografica di opere più o meno direttamente correlate alle tematiche dell’alimentazione possono, ad esempio, corrispondere approfondimenti legati maggiormente agli aspetti materiali ed economici della produzione\trasformazione degli alimenti e, conseguentemente, della loro circolazione.
Come si è accennato al principio, l’indagine delle radici delle nostre tradizioni alimentari anche in termini identitari può essere un accattivante strumento di correlazione dialettica tra passato e contemporaneità; così come, in una prospettiva antropologica (di tipo sia culturale che biologico) e storica di lunga durata, può risultare illuminante l’esame delle interrelazioni esistenti tra l’evoluzione delle pratiche alimentari e, più in generale, i progressi tecnologici, anche al fine di comprendere e giustificare le origini di alcune delle più comuni intolleranze oggi diffuse.
Il tutto a partire dalla consapevolezza profonda che la storia dell’umanità coincide con quella dell’alimentazione e che l’uomo è tale anche in virtù della sua capacità di cucinare, come ha efficacemente ricordato Massimo Montanari, sulla scia di una lunga tradizione di studi che, nel corso del ’900, ha visto confrontarsi l’antropologia sull’opposizione tra categorie come natura e cultura, crudo e cotto: “Cucinare è attività umana per eccellenza, è il gesto che trasforma il prodotto di natura in qualcosa di profondamente diverso: le modificazioni chimiche indotte dalla cottura e dalla combinazione degli ingredienti consentono di portare alla bocca un cibo, se non totalmente artificiale, sicuramente costruito” (M. Montanari, Il cibo come cultura, Roma-Bari 2004, p. 36).
Come oggi tutti ben sappiamo, la produzione del cibo comporta, inevitabilmente, una trasformazione più o meno radicale del paesaggio naturale e/o un adeguamento di quello antropico legato all’introduzione e alla diffusione di nuove tecniche o di nuove colture.
Tema, quest’ultimo, che si presta ad essere approfondito con l’ausilio del nostro patrimonio storico culturale, sia per evidenziare strumenti ed esiti correlati alla plasmazione per fini alimentari del territorio, sia per esibire le testimonianze materiali (archeologiche, iconografiche, letterarie ecc.) correlate all’introduzione nel corso del tempo di nuovi alimenti e/o di nuove prassi alimentari.
La stessa circolazione degli alimenti costituisce, com’è ben noto, un fulcro economico e strategico di primaria importanza, veicolo di scambi e, inevitabilmente, di contatti e di interazioni culturali, come testimoniano le molte “vie del sale” (prima fra tutte per fama: la Salaria) legate ai circuiti della transumanza, o, su di una scala globale ben più ampia, la celebre “via delle spezie”, porta d’eccellenza verso l’Oriente.
Percorsi oggi reinterpretati attualizzandoli grazie alla riscoperta delle tradizioni enogastronomiche che, più o meno in tutta la Penisola, hanno consentito di proporre a vario titolo “vie dell’olio” o “del vino”.
Relitti, frammenti di anfore da trasporto, resti bioarcheologici (carpologici, malacologici, pollinici o faunistici) o residui chimici ricostruiti attraverso analisi molecolari, accanto al più tradizionale approccio tipologico, iconografico, letterario ed epigrafico (ove possibile) sono alcuni tra i molti indizi disponibili ad essere valorizzati per ricomporre il quadro conoscitivo dell’evoluzione delle pratiche alimentari, dalla preistoria fino alla modernità.
Una indagine che può passare anche attraverso la materialità corporea, consentendo di ricostruire parametri come la dieta e gli stress alimentari per tramite di analisi chimiche su distretti ossei particolarmente significativi, come i denti o – dove il caso, l’uomo o la natura lo consentono come si è verificato ad esempio per il celebre uomo del Similaun – grazie allo studio diretto di tessuti molli mummificati.
Al termine di questa rapida rassegna dei molteplici approcci possibili, accanto agli aspetti propriamente economici, materiali e fisiologici correlati a testimonianze come quelle appena menzionate, è necessario annoverare infine anche le componenti “immateriali” correlate alla sociologia e alla ritualità del cibo.
L’alimentazione oltre ad essere necessariamente una pratica quotidiana è, salvo rare eccezioni, anche una fondamentale prassi sociale, sia nelle fasi che sovrintendono all’acquisizione \ produzione \ trasformazione \ conservazione delle risorse che, poi, ovviamente, in quelle che presiedono al loro consumo, in una prospettiva che può essere al contempo individuale e collettiva.
Produzione, consumo ed eventuale condivisione possono essere strettamente collegate all’organizzazione familiare e a quella sociale della comunità, creando un legame più o meno diretto tra il modo in cui si mangia e il posto occupato nella società.
Aspetti documentati in vario modo dal nostro patrimonio culturale, dall’organizzazione e disposizione di un semplice focolare preistorico alla strutturazione e all’organizzazione delle cucine e delle sale da pranzo nelle residenze nobiliari medievali e moderne.
I set da banchetto e da simposio ricorrenti nelle sepolture dell’Italia antica presuppongono non solo l’apparato correlato allo svolgimento della cerimonia funebre ma anche l’immagine traslata dell’ultimo banchetto e/o dell’ultimo simposio di cui è partecipe il defunto, all’atto del congedo dai suoi congiunti.
Una condizione in parte legata anche al suo status, che gli consentiva idealmente di imbandire quell’ultimo pasto e quell’ultimo brindisi che, si auspicava, egli avrebbe continuato a celebrare nell’eternità, come attesta la ricorrenza del motivo nell’iconografia funeraria dell’Italia preromana.
Un immaginario che perdura trasformandosi nel tempo, fino ad acquisire ricodificandosi la conformazione del “cenacolo” cristiano, nel quale la prassi cattolica ha sublimato la metafora del banchetto attraverso la cerimonia dell’eucaristia, in cui il pane ed il vino assurgono a proiezione del corpo e del sangue di Cristo, offerti come sacrificio per la salvezza degli uomini.
Una sublimazione che introduce l’ultima chiave di lettura precedentemente accennata, quella rituale e religiosa, ruotante intorno al cibo come fulcro della prassi rituale e/o offerta alla divinità, attraverso atti cerimoniali come il sacrificio o la dedica nei santuari di alimenti o di loro potenziali surrogati, assecondando un atteggiamento documentato sin dalla preistoria e ancora oggi comunemente attestato a livello folklorico.
Un racconto corale e tematico
Quanto si è precedentemente accennato ha suggerito l’individuazione e la definizione di una serie di aree tematiche specifiche intorno alle quali favorire la strutturazione dei singoli eventi, in modo da comporre un racconto collettivo e prismatico delle quasi infinite prospettive di lettura e di valorizzazione cui si presta il nostro Patrimonio culturale.
La Direzione Generale Musei ha pertanto individuato cinque macro-argomenti variamente correlati al più ampio tema della storia dell’alimentazione, cui si aggiunge a complemento un sesto ambito appositamente pensato per quegli istituti le cui peculiarità contenutistiche hanno meno attinenza con le tematiche in discorso ma che, comunque, hanno la possibilità di veicolare lo spirito generale delle GEP valorizzando aspetti inediti o poco conosciuti del loro Patrimonio:
1) Il paesaggio e le “vie” del cibo
L’interazione dell’uomo con la natura nelle fasi di acquisizione, produzione e circolazione delle risorse alimentari.
2) L’immagine e l’immaginario del cibo
L’immagine del cibo nel tempo, nelle sue molteplici trasformazioni, in relazione al gusto e all’estro dei vari possibili ambiti culturali.
3) Cibo e cultura
Il cibo come mezzo di integrazione e di confronto e come strumento per la [ri]costruzione dell’identità culturale.
4) Sociologia dell’alimentazione
Il cibo come dispositivo di socializzazione e di espressione\esibizione sociale.
5) Ritualità, religiosità e sacralità del cibo
Tradizioni, rituali e religiosità del cibo tra passato e contemporaneità.
6) La Cultura è il cuore dell’Europa
Iniziative e aperture straordinarie, visite guidate sperimentali, eventi non direttamente correlati alle tematiche dell’alimentazione ma corrispondenti allo spirito delle GEP.
Coordinatore scientifico del progetto:
dott. Valentino Nizzo
Direzione Generale Musei
valentino.nizzo@beniculturali.it
Per informazioni
eventi@beniculturali.it