Ha vinto Donald Trump.
Ha vinto una neo-destra, con evidenti venature e suggestioni neofasciste, che spaventa e attrae la stessa destra neoliberista “tradizionale”, che l’ha incubata, facendo il miracolo di far passare la globalizzazione capitalista e il baratro sociale, l’ineguaglianza intollerabile che ha creato, per un’invenzione di una sinistra diventata centro, che, nel nome della produttività e della crescita, dell’austerità a senso unico, ha abbandonato la classe operaia e media, che così vota a destra.
Una storia già vista che da tragedia potrebbe ripetersi in tragica farsa.
Forse si sarebbe dovuto ascoltare, capire, organizzare questa disperazione, questa rabbia, in America come in Europa e in Italia, invece di spostarsi al centro e di cercare di occupare il terreno di una destra che si sposta sempre più a destra, assumendone politiche e concetti, pensando che l’unico orizzonte politico e sociale sia quello neocapitalista, che al turboliberismo non ci sia alternativa.
Stanotte gli americani hanno fatto un salto nel buio che rende oscuro determinare il futuro del resto del mondo.
È il definitivo fallimento della corsa al centro, dello sposalizio del tiepido liberalismo di sinistra democratico con l’establishment.
È anche il fallimento della scelta socialdemocratica europea di diventare qualcosa di indefinito in nome di una governabilità che non c’è e che, quando c’è, è nelle mani delle grandi imprese e del capitalismo finanziario.
È quello che ha incarnato Hillary Clinton – forse il peggior candidato che l’apparato del Partito democratico americano potesse proporre – ed è stato uno sbaglio terribile aver “truccato” le primarie per sconfiggere Bernie Sanders, il socialista che, come dicevano tutti i sondaggi (per quanto oggi possano valere), avrebbe agevolmente sconfitto Trump.
Ma evidentemente, Bernie e i suoi giovani di Occupy Wall Street facevano più paura alla leadership democratica di The Donald.
Agli americani è stato chiesto di votare il meno peggio; il risultato è che in molti tra i democratici che avevano votato Obama e tra i progressisti che volevano votare Sanders sono rimasti a casa e i repubblicani, i conservatori, hanno votato il peggio, credendo fermamente che sia il meglio.
Meglio della antipatica e algida candidata democratica, del suo imbarazzante marito donnaiolo, delle sue e-mail menzognere, dei suoi vestiti alla moda, delle sue guerre sporche in Libia e Siria, del suo scarso coraggio contro petrolieri e multinazionali…
È per questo che hanno votato per un miliardario bugiardo, provocatore, antipatico, imbarazzante, donnaiolo, molestatore, amico dei petrolieri e delle multinazionali, facendo felici Putin e un bel mazzo di leader europei e mondiali che condividono la stessa visione autoritaria del potere e della società.
Un capolavoro di incoerenza frutto della politica del meno peggio, della mancanza di alternative progressiste (che vengono distrutte appena emergono) che ha prodotto il peggio come alternativa.
Come ha detto Caroline Kennedy: «Abbiamo il presidente che ci meritiamo».
Ma Trump è il presidente che si merita il tremebondo Partito democratico americano che ha scelto/imposto una candidata sbagliata e che ha così mandato al macero l’eredità di Obama che stiamo già rimpiangendo.
Festeggia la destra europea e ne ha ben ragione, perché guarda da tempo incredula il suicidio di quella che era la sinistra socialdemocratica e liberale europea, già avviata inesorabilmente sulla china della stessa sconfitta, avendo scelto come orizzonte il modello centrista americano, rappresentando le stesse élite, con in più il fatto che con quella destra che sta per sconfiggerla e che l’ha sconfitta ci ha già fatto spesso un’alleanza suicida che ne ha eroso credibilità, ideali, tradizioni ed elettorato.
Trump vince anche in Stati che hanno votato a favore della legalizzazione della marijuana e di altri quesiti referendari che in Europa sarebbero considerati di estrema sinistra: sono gli stessi elettori che si troveranno a fare da domani i conti con un Congresso americano dominato dalla destra repubblicana, con un presidente che ha ricevuto l’appoggio del Ku Klux Klan e dei peggiori suprematisti e neonazisti bianchi, che probabilmente limiterà l’aborto fino a tentarne l’abolizione, che frenerà i diritti dei gay, che toglierà ogni forma di assistenza sociale ai poveri e alla stessa classe bianca impoverita che lo ha votato in massa, che muoverà guerra ai migranti, che si vendicherà sulle minoranze etniche e sulla stampa e i media che hanno appoggiato in massa la Clinton.
Festeggiano le lobby dei combustibili fossili, le Big Oil e i King Coal, del fracking e del nucleare.
Festeggiano gli inquinatori e gli eco-scettici di ogni risma.
Piangono lacrime amare gli ambientalisti americani, i Sioux nel loro accampamento di Standing Rock dove volevano impedire la realizzazione di un oleodotto nelle loro terre sacre.
Sono probabilmente terrorizzate le imprese delle energie rinnovabili, dell’innovazione, il mondo della ricerca scientifica, le organizzazione che lottano per i diritti civili e contro la povertà.
Scende il gelo sulla Conferenza Onu sul clima in corso a Marrakech, che si trova a fare i conti con un convitato di pietra enorme: il nuovo presidente del più potente Paese del mondo ha più volte ribadito che non rispetterà l’Accordo di Parigi e che considera il cambiamento climatico un’invenzione dei cinesi per danneggiare l’economia americana.
Da stamani la delegazione statunitense alla Cop22 non è praticamente in grado di impegnarsi su nulla di concreto.
Il mondo è cambiato e cambierà in modi imprevedibili.
Probabilmente in peggio.
Molto peggio.
Gli ambientalisti di tutto il pianeta devono prepararsi ad una lunga lotta in trincea.
Ma qualcuno dovrebbe cominciare a ripensare la politica della corsa al centro che non c’è più, la politica del meno peggio.
Perché così vince il peggio.
(Articolo di Umberto Mazzantini, pubblicato con questo titolo oggi 9 novembre 2016 sul sito online “greenreport.it”)